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Killzone. Autostrade della morte

di Claudio Asciuti - 04/10/2010



Nel panorama della letteratura giallo-spionistica italiana, un posto preminente è in mano oramai da anni a Alan D. Altieri, e ai suoi eroi, italiani come Andrea Calarno, o inglesi come Russell Kane; non il clichè odierno dell’investigatore sfigato di sinistra e magari ex terrorista, ma piuttosto il “duro” alla Mike Hammer, o se vogliamo rimanere in territori nazionali, simile agli eroi di Scerbanenco: l’investigatore Duca Lamberti e il mercenario Ulisse Ursini.  Infatti Killzone. Autostrade della morte (Tea, pag. 262, euro 12,00) raccoglie un’ulteriore variazione su quest’ultimo tema: Kane è medico e sniper, esperto cecchino ex 22 Reggimento SAS, cioè Special Air Service, il corpo scelto britannico, e nel corso di diversi romanzi si è mutato nell’ambigua figura del mercenario, o come si suol dire oggi, del contractor.
Ma Kane appartiene più ai soldati di fortuna di un tempo che a quelli d’oggi: non ci si batte più per il Regno Unito, ma neanche per la bandiera a stelle e strisce; non per onore e gloria, ma per denaro; è un destino che se non si persegue, sembra comunque perseguitare; eppure nel fondo rimane l’idealità di una volta che spinge a portare la missione a tutti i costi, cercando nel contempo di raddrizzare almeno le storture più evidenti del nostro sinistrato mondo. Il fatto che Kane sia un cecchino infallibile ma anche un medico porta, nella logica alteriana, ancora più in là la contraddizione di chi continua ad essere diviso fra caduceo e fucile di precisione.     
I racconti raccolti in quest’antologia, la terza, dopo  la fantascientifica Armagheddon (2009) e la noir Hellgate (2010), pubblicati dal 2006 ad ora, si muovono attraverso questa linea di confine: Dry Thunder, l’inedito scritto appositamente per l’antologia, ci descrive, agganciandosi all’ultimo romanzo, Victoria Cross, Russell Kane impegnato a uscire nella trappola in cui era caduto e dato per morto; in Monsone, ambientato nelle Filippine in una scuola per le forze armate lo vediamo incontrare Chance Renard, il “Professionista”, ex Legione Straniera, l’altro eroe europeo, creatura del maestro dello spionaggio Stefano Di Marino; in Joshua Tree, la “demolizione controllata”, di una torre radio “nello stesso modo in cui sono crollate le Torri Gemelle” al centro del parco nazionale avvelenato dall’inquinamento, è la richiesta di una banda afroamericana di Los Angeles al soldo della musica gangsta e delle multinazionali, non senza che lo sniper riesca a fare giustizia; ne Il giorno dell’artiglio lo troviamo a muoversi addirittura in un Afghanistan da incubo, dove si salda il gioco internazionale fra coltivatori di oppio che fingono di essere taliban e cartelli della droga americani che fingono di essere specialisti dei servizi yankee, “esportatori di democrazia” pronti a massacrare innocenti, e dove solo un assassino a contratto può riuscire ad eliminare i vertici degli uni e degli altri; in Family Day Kane viene ingaggiato da un miliardario oramai moribondo per entrare in contatto con i suoi tre figli, divenuti ognuno a modo proprio veri delinquenti, che una volta ucciso il padre, vorrebbero spartirsi l’eredità ma finiscono con l’essere preda dello sniper, impegnato in una battaglia oramai personale; mentre in Zona Zero la storia ambientata ancora fra le gangsta afroamericane prende uno sviluppo horror, in relazione alla presenza della figura di Melissa Parker, spettro moderno e mondializzato, creatura di un altro italiano, Danilo Arona, maestro questa volta dell’horror. Una densa antologia dall’altissima tensione e dai colpi di scena che non lasciano un attimo di respiro, grazie anche ad uno stile che, formalizzato per adeguarsi ad una struttura che richiama la sceneggiatura cinematografica, pur senza esserlo, è quanto di più diverso si possa immaginare da quello dei narratori italiani (di solito anemico e anodino, e quindi asettico, o simil-letterario e magniloquente, scollato dal contesto).
Se vogliamo fare un parallelo, dobbiamo prendere invece il nome di Carlo Emilio Gadda da un lato, dall’altro quello di Edoardo Sanguineti: un mistilinguismo che nulla ha a che vedere con la smania italiana per l’esterofilia, ma che muovendosi in contesti stranieri è costretto a utilizzare il gergo straniero. Ma Altieri non soffre di complesso d’inferiorità nei confronti dei grandi maestri americani e inglesi, e neppure di quel fastidioso perbenismo che permea spesso i nostri scrittori, vagheggiatori della ricomposizione di un ordine  borghese e un po’ atlantico: piegandosi, invece, nella direzione (politicamente scorretta) di uno sguardo che ci porta sempre centro dell’impero yankee, dove chi comanda, come in Il giorno dell’artiglio, è un neocon-teocon, araldo della guerra preventiva al terrore. Vate della strategia di bombardamento Shock & Awe, Colpisci & Terrorizza. Da un trionfo all’altro. Teorico supremo della de-baathificazione dell’Iraq. Eminenza nera del presidente degli Stati Uniti, quello ex-alcolizzato dislessico che parla con dio...