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Pearl Harbor e 11 settembre: due catastrofi provvidenziali

di Leonardo Incorvaia - 05/10/2010

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E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.   
E’ notizia di questi giorni che il presidente iraniano Ahmadinejad, parlando alle Nazioni Unite, abbia, e non per la prima volta, accusato gli Stati Uniti di essersi “procurati da soli” il disastro dell’11 settembre. Immediata, sdegnata uscita dall’aula dei rappresentanti statunitensi ed europei.
Eppure... eppure non è certamente stato il presidente iraniano il primo ad insinuare tale grave, orribile dubbio: sull’argomento lo scrittore statunitense D. R. Griffin ha scritto un interessantissimo libro che evidenzia le numerose, inoppugnabili incongruenze della tragedia.
Vediamone alcune: innanzitutto la non intercettazione, da parte dell’aviazione militare americana, dei velivoli di linea dirottati: se un volo commerciale non rispetta il piano di volo, scatta immediato l’allarme, ma non basta: il personale di bordo dell’American Airlines 11 tramite radio di bordo era riuscito ad avvertire che era in atto un dirottamento così come erano riusciti a segnalarlo, tramite cellulare, alcuni passeggeri dell’United Airlines 93: come mai la migliore aviazione militare del mondo non è intervenuta?
Ma andiamo avanti: lo schianto degli aerei contro le torri non è simultaneo e, ancora, i tempi tecnici per l’intervento dell’aviazione militare c’erano: ormai lo sapevano anche le pietre che nei cieli americani erano in volo aerei dirottati.
Sul fatto che strutture come le torri gemelle non potessero venir giù come castelli di carte anche se colpite da aeromobili si è ampiamente dibattuto ma, attenzione: alle 10,05 crolla la torre sud e alle 10,28 la torre nord... e allora, come si spiega che alle 17, 20 crolla il World Trade Center 7, non colpito dagli aerei?
Si dice che un quarto aereo abbia colpito il Pentagono ma, a parte i danni veramente esigui e non certamente paragonabili al crollo delle torri, non è stato trovato alcun relitto d’aereo nei pressi dell’edificio, non soltanto ma il segretario alla Difesa Rumsfeld in un’intervista del 12 ottobre 2001 si lasciò sfuggire una frase riguardo al “missile usato dai terroristi per colpire il Pentagono”...
In realtà, le incongruenze, anzi le vere e proprie assurdità nell’intera vicenda sono moltissime e fanno il paio, si può dire, con la fola delle armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein, mai trovate. E’ un fatto, però, che le due cose, 11 settembre e armi di distruzione di massa in mano agli iracheni, costituirono il pretesto per l’invasione dell’Iraq.
A questo punto, viene in mente un altro pretesto... pardon, un altro episodio, assai più lontano nel tempo e nello spazio, verificatosi alle Hawaii nel dicembre 1941 e precisamente a Pearl Harbor.
All’epoca, l’America riforniva il Giappone di petrolio e minerale di ferro ma, dopo l’invasione da parte dell’Impero del Sol Levante di Manciuria e Indocina, gli Stati Uniti, affiancati naturalmente dall’Inghilterra, imposero ai nipponici uno strettissimo embargo (similmente a quanto avvenne in Europa con l’Italia, sempre per la questione coloniale); al riguardo, una semplice considerazione o domanda, che dir si voglia e non è una domanda retorica, vorremmo veramente che qualcuno ci desse chiarimenti in merito: come mai nessuno, né gli Usa né altre potenze all’epoca, alzò mai un dito né disse mai una parola contro la politica coloniale inglese, francese, olandese... una risposta, prego.
Il Giappone tentò in tutti i modi di evitare il confronto con l’America: nell’ottobre ‘41 il principe Konoye propose al presidente Roosvelt un incontro ad Honolulu, presenti anche i responsabili dell’esercito e della marina nipponici ma tale proposta venne rifiutata: è impensabile, a questo punto, che il governo americano potesse nutrire dubbi sull’inevitabilità o quanto meno la possibilità di un conflitto. Occorre inoltre aggiungere che l’attacco a Pearl Harbor non era affatto dato per scontato ma subordinato all’esito delle trattative nippo-americane; nonostante la consegna assoluta dell’ammiraglio Yamamoto al silenzio radio, tale consegna non fu rispettata appieno e messaggi radio nipponici furono captati dagli americani che avevano già decrittato da oltre un anno i cifrari giapponesi; nonostante la rotta più lunga adottata da Yamamoto per evitare di essere avvistati, segnali dell’avvicinamento della flotta giapponese furono captati dagli americani e inspiegabilmente ignorati, nonostante tutte le avvisaglie di possibili ostilità; è assolutamente inconcepibile, alla luce del semplice buonsenso, che una squadra navale come quella agli ordini dell’ammiraglio Yamamoto potesse avvicinarsi a una base come Pearl Harbor senza essere in qualche modo avvistata.
E dunque? Gli americani non avevano alcuna voglia di farsi trascinare nuovamente in una guerra in Europa, il ricordo del Primo Conflitto Mondiale con i suoi massacri era ancora troppo presente nella coscienza popolare e forse, in fin dei conti, Nazismo e Fascismo non costituivano una grande preoccupazione per gli statunitensi, anzi: il Duce non era affatto malvisto in America... ma il Giappone faceva parte del Tripartito e se avesse attaccato gli Stati Uniti, meglio ancora se proditoriamente, sarebbe stato giocoforza dichiarare guerra a Italia e Germania.
Non vogliamo andare oltre, abbiamo già dato sufficienti spunti di riflessione: Roosvelt voleva entrare in guerra, perchè temeva che una vittoria dell’Asse in Europa unita all’espansionismo nipponico avrebbero potuto pregiudicare più o meno gravemente gli interessi dell’America o addirittura una entrata in guerra successiva e magari in condizioni di inferiorità.
Pearl Harbor e 11 settembre: due “catastrofi” alla fine rivelatesi provvidenziali, per l’America, forse troppo, forse in modo sospetto e a chi obietta che tali accadimenti sono costati migliaia di vittime innocenti non possiamo che controbattere che il rischio di versare sangue innocente non ha mai fermato la belva umana, in nessuna epoca.