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Il nobel anticinese

di Gianni Petrosillo - 12/10/2010



L’assegnazione del premio nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo è l’ennesima provocazione contro l’Impero di Mezzo e la sua classe dirigente.
A quest’ultima non viene perdonato di aver imboccato la strada della sovranità politica e militare nella presente fase multipolare e quella dello sviluppo economico orientata a ridare speranza ad un popolo di più di 1,3 mld di individui, a lungo tenuto ai margini del mondo. Altre ragioni non esistono nell’elargizione di questa onorificenza ad un reduce di Piazza Tienanmen, recluso dal 2009 e condannato ad 11 anni di prigione per aver complottato contro lo Stato e le sue istituzioni. Liu Xiaobo (questo il nome del ricompensato dagli svedesi) ha, dunque, subito la sorte che tocca (e sarebbe toccata in qualsiasi altro posto del globo) a chiunque metta a repentaglio la sicurezza nazionale e la stabilità del governo, ottenendo l’appoggio infido e interessato di Stati esteri. Il circo mediatico occidentale alimenta da anni il mito della rivolta studentesca di Pechino ed ha inserito tale episodio nel martirologio che sostiene la sua liturgia dirittoumanista. Anzi, rileggendo gli eventi cinesi del 1989 alla luce di quanto accaduto recentemente in altre zone del pianeta (Serbia nel 2000, Georgia 2003, Ucraina 2004 e 2005, Kirghizistan 2005), siamo indotti ad inscrivere quel passaggio, sebbene miseramente fallito, tra i golpe colorati ante litteram che si dispiegheranno con una strategia conclamata nell’Europa dell’est e in Asia centrale solo negli anni 2000. Ma quei giovani intellettuali orientali che pensavano di poter riformare la loro società attraverso l’ideologia dei diritti umani e le libertà civili non erano portatori di una fattiva proposta politica con la quale coinvolgere ampi settori della popolazione e fare breccia nel potere ufficiale. Mi piace qui riportare le parole del poeta italiano, recentemente scomparso, Edoardo Sanguineti sulla rivolta di Tienanmen: “Quelli erano veramente dei ragazzi - poveretti - sedotti da mitologie occidentali, un poco come quelli che esultarono quando cadde il muro; insomma, ragazzi che volevano la Coca-Cola”. E poveretti sono anche gli studenti iraniani, quelli ucraini, quelli georgiani, quelli serbi ecc ecc. che vorrebbero  barattare o hanno già barattato il loro futuro con gli status symbol materiali e le narrazioni irrealistiche di una cultura "esotica" che si è servita di tali proiezioni libertarie e favolistiche per corrompere le loro coscienze e colonizzare le loro vite. Questi giovani, almeno quelli in buona fede, non hanno compreso che proprio nello scarto tra accesso astratto a tali diritti e beni ed effettiva fruibilità degli stessi sta tutto l’inganno dell’ideologia dominante di un certo tipo di capitalismo americanizzato  (dei funzionari privati del capitale e quindi non più borghese) col quale noi abbiamo imparato a fare i conti. Per questo occorre sempre diffidare di qualsiasi organizzazione, partito, leader politico che nel pretendere di modernizzare il proprio paese non si dimostri in grado di coniugare l'innovazione e il cambiamento con le migliori tradizioni della propria cultura e l'originalità del proprio corpo sociale. Se questa volontà manca è perchè l'esigenza della trasformazione non nasce dalle viscere stesse di quella società in ribollimento ma viene in essa importata, tramite falsi timonieri, da forze estranee e nemiche. Le vere rivoluzioni sono quelle che sanno abbattere, ripulire, trasformare ma anche preservare, conservare e mantenere intatta l’identità ancestrale di un popolo.