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Mapuche, le trappole del governo

di Stella Spinelli - 13/10/2010



 


Lo sciopero della fame dei dieci indigeni rimasti fedeli alla protesta iniziata il 12 luglio è finito. Il governo prepara le manovre per concretizzare le promesse, ma sarebbero solo escamotage per imbrigliare i diritti mapuche

Con la fine dello digiuno dei dieci mapuche prigionieri nel carcere di Angol - l'ultimo gruppo di indigeni che, dopo l'accordo raggiunto con quelli di Concepción, Lebu e Temuco, ancora portava avanti uno sciopero della fame iniziato il 12 luglio scorso - si è conclusa una delle tappe più difficili della vita politica del presidente Sebastián Piñera. Dopo una complessa e ardua negoziazione, capeggiata dal segretario generale alla presidenza, il ministro Cristián Larroulet, e dal sottosegretario Caludio Alvarado, La Moneda ha infatti potuto passare alla seconda tappa di questo lungo processo che da sempre vede contrapposti il governo e la popolazione indigena più numerosa del paese andino.

Adesso inizia la resa dei conti effettiva, ossia il tradurre in fatti tutte le promesse strappate in queste ultime settimane. La prima è dare carattere istituzionale al mondo indigeno, ossia "riconoscere loro uguaglianza e pari dignità", e poi verrà il Plan Araucanía, le moltissime riforme discusse il 24 settembre nella tavola rotonda di Ñielol, quando i rappresentanti della comunità Mapuche si sedettero per discutere una via per la pace. Una mesa de dialogo a cui si è arrivati, però, solo dopo l'attenuazione del motivo scatenante dello sciopero: ossia la Legge antiterrorista ereditata dalla dittatura di Augusto Pinochet e con la quale si è soliti giudicare in Cile ogni rivendicazione indigena. Ecco, grazie alle pressioni interne e internazionali provocate dalla huelga, il Parlamento è stato costretto ad apportare alcune modifiche sostanziali alla ley, quali: il divieto di applicarla ai minorenni e una riduzione di pena per il delitto di incendio. E gli indigeni in sciopero erano tutti accusati di aver appiccato il fuoco a una proprietà terriera e ad alcuni macchinari agricoli e per questo rischiavano fino a cento anni di carcere.

Per tutti e 35 i mapuche che hanno affrontato il lungo digiuno, comunque, saranno riformulati i capi di accusa in base alla normale legge ordinaria, condizione sine qua non per porre fine allo sciopero. Una promessa che era già stata strappata dagli altri 25 indigeni che avevano già 'deposto' le armi il 2 ottobre. "Sappiamo che l'accordo raggiunto non è sufficiente, ma abbiamo deciso di patteggiare tenendo conto del grave stato di salute degli scioperanti", ha spiegato subito dopo il protavoce mapuche, Jorge Huenchullán.

E intanto, il comitato interministeriale capeggiato dal ministro della Pianificazione, Felipe Kast, si è già messo a lavoro per creare, in collaborazione con la Segreteria di presidenza, un progetto di riforma della Corporación Nacional de Desarrollo Indígena (Conadi) e la creazione dell'Agenzia di sviluppo indigeno.

Tutte misure che il Mapuche Express, l'organo di stampa ufficiale dei 700mila indigeni cileni, non ha perso tempo a definire "trappole giuridiche" e "lucchetti costituzionali". In un articolo pubblicato ieri, domenica 10 ottobre, si punta il dito contro l'intera classe di potere politico cilena, da Piñera alla Concertacion, che, messa in allerta dall'acutizzarsi del conflitto con gli indios, è sempre più decisa a decapitare ogni diritto dei popoli originari, grazie a una riforma che non farà che creare un lucchetto costituzionale che poi spalancherà le porte all'approvazione di una lunga serie di leggi anti-indios. E questo nel giro di tre mesi.

Si tratterebbe, infatti, di un riconoscimento costituzionale a doppio taglio, dato che in realtà i contenuti della riforma sono l'esatto contrario di quanto stabilito dal Convegno 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, ratificato dal Cile nel settembre 2008. Perché, riprendendo un progetto che era già in discussione al tempo della Bachelet, ossia nella primavera del 2009, l'intento è sottomettere il diritto indigeno, il Convegno 169 e gli altri trattati alla Costituzione, che definisce la nazione cilena "una, indivisibile e multiculturale". In questo modo, i Mapuche perderebbero lo status di soggetto giuridico e con questo ogni diritto ad essa legato e che va a toccare terre e acque ancestrali. "Lo Stato riconosce l'esistenza dei popoli indigeni che abitano il loro territorio e il diritto delle sue comunità, organizzazioni, membri...". Vale a dire: degni di diritto non sono direttamente i popoli, bensì solo le comunità e i singoli. Nel testo si riconosce alle comunità indigene il diritto a "conservare, rafforzare e sviluppare la propria identità, cultura, lingua, istituzioni e tradizione e a partecipare nella vita economica, sociale, politica e culturale del paese nella forma che stabilisce l'ordinamento nazionale". Nessun riconoscimento al diritto che i popoli hanno di amministrare secondo la propria legge ancestrale i propri territori. La Costituzione del Cile precisa: "La Legge protegge la proprietà sulle terre delle persone e delle comunità indigene e i loro diritti a sfruttarne le acque in conformità con quanto stabilito dalla Costituzione e dalle leggi" e quindi addio a quei diritti riconosciuti dai trattati internazionali. Stessa cosa per il diritto consuetudinario dei nativi. Il testo afferma: "I popoli indigeni potranno organizzare la loro vita in accordo ai loro costumi, sempre che questi non contravvengano la Constitución e le leggi" dello Stato cileno. E per le riforme approvate alla Legge antiterrorista il giudizio non è meno severo: "Si tratta di ritocchi di maquillage. Tutto qui".

Un conflitto, quello in Cile, che è ancora molto, ma molto lontano dal risolversi.