Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Grecia: sentenza per Alexis

Grecia: sentenza per Alexis

di Alessandro Iacuelli - 14/10/2010


Chissà cosa penseranno, in Italia, i parenti delle vittime di agenti delle forze dell'ordine. Perché quanto appena avvenuto nella vicina Grecia, e non su un altro pianeta, ha il sapore di una giustizia che da noi è perennemente negata, o almeno aggirata. Il poliziotto Epaminondas Korkoneas, 39 anni, che il 6 dicembre 2008 uccise il quindicenne Alexis Grigoropulos, è stato infatti condannato all'ergastolo.

Come si ricorderà, l'uccisione di Alexis, nel 2008, provocò una fortissima ondata di disordini in patria e proteste all'estero. Subito dopo l'uccisione, causa un colpo di pistola sparato dall'agente, migliaia di persone si riversarono per le strade di Atene, scontrandosi con la polizia, danneggiando auto e appiccando fuoco ai negozi; furono giorni che saranno ricordati come i più forti disordini in Grecia degli ultimi decenni. Le proteste erano certamente anche alimentate da un vasto risentimento per le difficoltà economiche e la disoccupazione giovanile e si estesero presto ad altre città greche: durarono per settimane, contribuendo a far cadere il governo conservatore circa un anno dopo.

Oggi, il tribunale centrale della città di Amfissa, ha stabilito che Korkoneas uccise di proposito il ragazzo di quindici anni, nel distretto di Atene di Exarchia. Il secondo poliziotto a processo, Vassileos Saraltiotis di 32 anni, è stato condannato a dieci anni per complicità. L'avvocato della famiglia del ragazzo ha definito "storica" la sentenza che a suo dire onora la memoria del giovane. Mentre il legale dell'agente condannato ha annunciato ricorso in appello. Secondo il tribunale, che non ha riconosciuto le attenuanti a Korkoneas, l'agente sparò intenzionalmente con la pistola di ordinanza e il giovane non morì per un proiettile di rimbalzo, come raccontato dall'inchiesta interna della polizia avvenuta subito dopo.

Il processo è durato nove mesi, durante i quali é stato spostato da Atene alla piccola città di Amfissa, nella speranza di tenerlo lontano dai riflettori e dai media. La sentenza è stata decisa da una maggioranza di quattro giudici sui sette che componevano la commissione. Korkoneas e il suo avvocato hanno sempre sostenuto che gli spari fossero solo avvertimenti e che il ragazzo fosse stato colpito da un proiettile di rimbalzo, contraddicendo la versione di diversi testimoni che raccontavano come il poliziotto gli avesse sparato intenzionalmente.

Al processo, fondamentale è stata la perizia del medico legale che, pur confermando che il proiettive raggiunse il torace della vittima di rimbalzo, ha sostenuto che l'arma era comunque puntata ad altezza d'uomo, come affermato da alcuni testimoni, che hanno escluso provocazioni da parte di Alexis. Subito dopo l'omicidio, le autorità si erano difese affermando che l'omicidio fosse scaturito da uno scontro nato dal gruppo di ragazzi con cui si trovava Grigoropoulos. Nei giorni seguenti, un video aveva però dimostrato come i ragazzi non stessero in alcun modo attaccando la polizia.

La sentenza soddisfa i manifestanti che protestarono per l’omicidio. Uno di loro ha commentato: "Un altro poliziotto, accusato dell’assassinio di un altro ragazzo è stato rilasciato. Rilasciato benché sia un assassino. Il verdetto di oggi è dovuto alla reazione dell’opinione pubblica. Credo sia stata una decisione giusta". E soddisfa, almeno in parte, anche la famiglia: la madre della vittima fa sapere che perseguirà legalmente coloro che hanno dichiarato il falso e diffamato la memoria di suo figlio, anche durante il processo.

Di sicuro, la sentenza greca ha un carattere di "originalità", visto che negli altri Paesi, democratici e non, è decisamente raro vedere sentenze di condanna così pesanti a carico di agenti delle forze dell'ordine protagonisti di violenze spropositate, e non solo durante delle manifestazioni di protesta, dei disordini di piazza. Infatti, basta osservare i dettagli del "caso Korkoneas" e le dinamiche sia dei fatti che processuali con un occhio non superficiale e subito saltano fuori, in tutta evidenza, le pesanti analogie con il caso di Gabriele Sandri, ucciso sull'area di servizio di Badia al Pino, sull'Autosole, mentre dormicchiava in auto, e non certo mentre scatenava disordini. Anche in quel caso è stata raccontata una bella favola, quella del solito proiettile di rimbalzo. Anche in quel caso si sono viste tante bugie da parte di tante autorità per spiegare cosa è avvenuto nella testa dell'agente Spaccarotella nei minuti dell'omicidio.

Ma una profonda differenza tra i due casi c'è, e sta proprio nella sentenza. Omicido volontario, in Grecia. Invece ad Arezzo la Corte d'Assise ha derubricato il reato per cui era processato l'agente Spaccarotella, che da omicidio volontario è diventato omicio colposo, con una blanda condanna a 6 anni, nonostante le proteste sia in aula sia fuori. Così, se la famiglia Grigoropulos di Atene può pensare di aver avuto giustizia, così non può dire la famiglia Sandri di Roma. Spaccarotella, sospeso dal servizio, è comunque libero.

E se si va a memoria per un attimo, oltre a Gabriele Sandri vengono in mente Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi (per il quale si è appena aperta la prima fase del processo) e si potrebbe andare all'indietro nel tempo: da Carlo Giuliani a Giorgiana Masi, da Francesco Lorusso a Pietro Bruno; sarebbe lunga e dolorosa la lista di chi ha pagato con la vita l’impunità delle forze dell’ordine. I loro assassini, sono liberi; in qualche caso hanno avuto avanzamenti di carriera invece di condanne.

Tutti processi finiti o con un nulla di fatto, assoluzioni, prescrizioni, con condanne troppo blande rispetto al fatto commesso o addirittura, come avviene in questi giorni nel caso di Federico Aldrovandi, con offerte di denaro da parte dello Stato affinché la famiglia rinunci a costituirsi parte civile nel processo d'Appello. Invece in Grecia, almeno nel primo grado di giudizio, si è avuto il coraggio di chiamare le cose con il nome giusto: omicidio volontario, a sangue freddo, di un ragazzo di 15 anni.