Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Pico: eros e violenze non solo memoria

Pico: eros e violenze non solo memoria

di Cesare Segre - 14/10/2010





Giovanni Pico, conte della Mirandola (1463-1494), in provincia di Modena, era in grado di recitare a memoria, dalla prima all’ultima parola e dall’ultima alla prima, il testo di un libro appena letto. È il modo, un po’ da baraccone o da «Lascia o raddoppia?», in cui la fama popolare si rappresentava le qualità eccezionali di questo nobile studioso. Un nobile che era amico dei maggiori umanisti del tempo, da Angelo Poliziano a Marsilio Ficino, e impegnato in un’impresa mai tentata, quella di tradurre i testi della Qabbalah ebraica, per impossessarsi del loro sapere e destinarlo proprio alla conversione degli ebrei. Insomma, Pico della Mirandola è il primo cabalista cristiano.

La parola cabala (ebraico Qabbalah) indicaancora, sempre nella fantasia popolare, intrighi di difficile decifrazione, problemi matematici complessi o, proprio con ragionamenti numerici, un modo di prevedere il futuro: si pensi alle illusioni prodotte dalla «cabala del lotto». In verità si tratta di una filosofia d’ispirazione mistica, con elementi di origine greca, sviluppatasi dal secolo III dell’era volgare, e giunta al culmine nel secolo XIII, con il Libro dello Zohar. Parla dei rapporti di Dio, infinito e ineffabile, con il mondo, tramite mediatori come gli angeli o le «Sefirot», enti soprannaturali al suo servizio. Ha un impianto panteistico, e ammette l’esistenza della metempsicosi. Si è espressa in una fitta letteratura, anche con testi narrativi, che Kafka conosceva, e a cui in parte si ispirò.
Dell’opera di scoperta e traduzione di Pico, che spese capitali per acquistare testi della Qabbalah, rarissimi, si occupa da tempo Giulio Busi, che ha persino fondato una collana («The Kabbalistik Library of Giovanni Pico della Mirandola»), per far conoscere i testi raccolti dal principe e ora posseduti dalla Biblioteca Vaticana. E sono ben noti i volumi da lui dedicati a questa letteratura, come Mistica ebraica (con Elena Loewenthal, Einaudi, 1995), o come Qabbalah visiva (Einaudi, 2005), oltre che, su un piano più specialistico, L’enigma dell’ebraico nel Rinascimento (Aragno 2007). Ma il personaggio Giovanni Pico lo ha affascinato, e ora gli dedica un volume ( Vera relazione sulla vita e i fatti di Giovanni Pico conte della Mirandola, Aragno, pp. 216, € 15). Non si tratta proprio di una vita romanzata, perché ogni affermazione è corredata di note, che nel complesso occupano più di cinquanta pagine; ma certo la costruzione narrativa e lo stile hanno il respiro dell’invenzione.
Il libro mette in parallelo le vicende di Pico e quelle di Flavio Mitridate, l’ebreo rinnegato che fornì parte dei testi cabalistici a Pico, e gl’insegnò a tradurli, e in parte glieli tradusse. Personaggio ambiguo, anche sospettato, forse a ragione, di un omicidio, Mitridate ha conoscenze linguistiche eccezionali, e sa stuzzicare le curiosità del conte. Certo mostra di dominare davvero le lingue orientali, non solo l’ebraico ma anche l’arabo o l’etiopico. Viceversa, Pico è un giovane aristocratico orgoglioso e viziato dalla sorte: si confrontava lui stesso col camaleonte, sottolineando, di questo animale quasi da leggenda, la capacità di assumere una gran varietà di atteggiamenti e idee. Oltre all’intelligenza ha la bellezza e la forza, e ne fa uso anche nei suoi numerosi amori. Il libro narra per esempio, in un racconto molto movimentato, con che audacia rapì una donna che amava, e descrive il successivo scontro con gli armati che cercarono con successo di sottrargliela: Pico perdette diciotto uomini della sua scorta.
Ma l’avventura più avvincente, tra quelle narrate in questo libro, è quella intellettuale, dipanata in dibattiti, coraggiosi e antidogmatici, con umanisti e con ecclesiastici, e incappata a un certo punto nella censura a certe affermazioni teologiche; censura che costrinse Pico alla fuga e alla latitanza, sino a una risicata riabilitazione da parte del papa. Qui Busi ci dà un’idea delle dispute di quel tempo (vi aveva parte il problema del male, che continua ad assillarci) e ci fa capire come esse fossero minacciate dal sospetto di eresia e dai possibili processi ecclesiastici. La mente di Pico era troppo libera per quei tempi, e la morte per avvelenamento, a 31 anni, gli ha probabilmente risparmiato altre persecuzioni.