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Libano, la scommessa di Teheran

di Michele Paris - 18/10/2010




La recentissima visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad in Libano ha scatenato una serie di reazioni ansiose in Occidente e avvertimenti minacciosi da Washington e Tel Aviv per una possibile nuova escalation di violenza in Medio Oriente. Nello stesso paese ospitante, le risposte alla presenza del discusso leader iraniano hanno rispecchiato le tensioni settarie, già ampiamente diffuse alla vigilia della pubblicazione dei primi risultati del Tribunale Speciale per il Libano che sta indagando sull’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri.

Ahmadinejad è stato accolto trionfalmente all’aeroporto di Beirut da un tripudio di bandiere iraniane prima di incontrare il presidente libanese Michel Suleiman. Se nei quartieri sciiti della capitale e nel sud del paese - devastato dalla guerra del 2006 con Israele - il presidente iraniano è stato ricevuto calorosamente, sunniti e cristiani hanno visto con sospetto la presenza di un ospite così ingombrante nel loro fragile paese. L’inquietudine di alcuni membri della maggioranza parlamentare filo-occidentale (Coalizione 14 marzo) li ha spinti anche ad indirizzare una lettera aperta ad Ahmadinejad, criticandolo per il suo presunto tentativo di trasformare il Libano in una “base iraniana nel Mediterraneo”.

La visita di Ahmadinejad ha tuttavia semplicemente rappresentato, da un certo punto di vista, il catalizzatore delle inquietudini che animano uno stato polarizzato come quello libanese. Le profonde divisioni che tradizionalmente animano il sistema politico in Libano si sono ulteriormente intensificate negli ultimi mesi, con il governo di unità nazionale sull’orlo di una gravissima crisi. Se le indiscrezioni di un possibile coinvolgimento di membri di Hezbollah nella morte di Rafiq Hariri nel 2005 saranno confermate, la sorte del governo di Saad Hariri potrebbe essere segnata, con tutte le pericolose conseguenze che ne conseguirebbero.

A calmare gli animi, il premier Saad Hariri aveva recentemente suggellato il riavvicinamento del suo paese alla Siria - le cui truppe avevano lasciato il Libano proprio in seguito ai fatti del febbraio 2005 - affermando di aver fatto un errore nel recente passato accusando Damasco di essere dietro all’assassinio del padre. Per Hezbollah, tuttavia, il passo necessario per evitare uno scontro frontale tra le due anime del governo di coalizione dovrebbe essere la denuncia dello stesso Tribunale Speciale e la fine della collaborazione con quello che viene visto come uno strumento nelle mani di Israele.

Con la tensione già alle stelle a Beirut, l’arrivo di Ahmadinejad ha dato così il via a nuove speculazioni sui giornali israeliani e occidentali, allarmati per un possibile imminente colpo di mano di Hezbollah che trasformerebbe il Libano in un “client state” della Repubblica Islamica. Le consuete dichiarazioni di fuoco del presidente iraniano sulla distruzione di Israele, lanciate dalla roccaforte di Hezbollah, Bint Jbeil, a pochi chilometri dal confine meridionale, hanno poi contribuito ad aumentare la tensione.

L’insolito spettacolo di un leader iraniano salutato con tutti gli onori del caso in un paese arabo ha ovviamente causato qualche brivido anche nei palazzi del potere in Giordania, Egitto e Arabia Saudita. L’entusiasmo manifestato nei confronti di Ahmadinejad va letto però soprattutto in chiave di riconoscenza per la vicinanza che l’Iran dimostrò al Libano nel corso della guerra dell’estate 2006, che fece oltre mille vittime tra i civili, e gli aiuti elargiti durante la ricostruzione. Il silenzio in quell’occasione dei paesi arabi moderati, non troppo dispiaciuti nel vedere Hezbollah schiacciato da Israele, sembra insomma essere rimasto ben impresso nella memoria dei cittadini libanesi, soprattutto sciiti.

Dal punto di vista di Teheran, poi, la trasferta in Libano del presidente Ahmadinejad non appare tanto una dimostrazione di forza per mostrare a tutto il Medio Oriente e al mondo occidentale le proprie mire espansionistiche nella regione. Se è pur vero che i nodi irrisolti nel vicino oriente difficilmente potranno essere sciolti senza il coinvolgimento dell’Iran, l’attivismo di Teheran risponde piuttosto alla necessità di rompere l’isolamento nel quale gli USA, Israele e non pochi paesi arabi vorrebbero spingerlo.

Le sanzioni approvate qualche mese fa dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU - seguite da quelle adottate unilateralmente da Stati Uniti e Unione Europea - sotto pressione statunitense, in seguito ad una mai dimostrata corsa verso la realizzazione di armi nucleari, seppure non paralizzeranno il sistema economico iraniano, minacciano di rallentare lo sviluppo del fondamentale settore energetico. La carenza di capitali esteri per sviluppare una rete di infrastrutture necessaria a sfruttare le ingenti riserve di petrolio e gas naturale si fa sentire ormai da tempo in Iran.

In quest’ottica, per Ahmadinejad diventa fondamentale provare a costruire buoni rapporti con i propri vicini arabi e il Libano potrebbe essere precisamente la chiave di volta di questa strategia. Parallelamente, anche l’appoggio fornito a Hezbollah in Libano e ad Hamas a Gaza rappresenta una sfida ed un ammonimento nei confronti di Israele, i cui toni si fanno sempre più aggressivi verso un Iran che da Tel Aviv appare come una minaccia alla propria stessa esistenza.

Alla luce delle persistenti intimidazioni occidentali e della mancanza di risposte da parte di Washington alle aperture che pure il regime di Teheran ha ripetutamente lanciato per risolvere la questione del nucleare, l’Iran sembra dunque volere sfuggire alla sorte toccata al’Iraq nel 2003 dopo essere stato sottoposto ad una lunga serie di sanzioni. Per evitare l’accerchiamento, o una possibile aggressione di Stati Uniti o Israele nel prossimo futuro, l’unica strada per il governo iraniano è quella di allentare le pressioni esterne e riannodare i fili dei rapporti con i paesi vicini. A cominciare proprio dal Libano, tradizionalmente terreno di incontro, ma anche di scontro, delle varie identità del mondo arabo.