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Šalamov la prima volta

di Nadia Caprioglio - 18/10/2010

  
 

 
La traduzione italiana di Višera, opera autobiografica dello scrittore russo Varlam Šalamov, racconta l’esperienza di prigionia nei gulag sovietici.
Il libro offre uno spaccato della vita dei prigionieri e una riflessione sul regime stalinista. Secondo Šalamov l’organizzazione dei gulag era finalizzata alla creazione di un sistema economico basato sullo sfruttamento del lavoro forzato dei prigionieri. Ciò si realizzava anche attraverso un vero e proprio annullamento emotivo dei reclusi. Questa dolorosa realtà è raccontata dall’autore in maniera distaccata e analitica, allo scopo di comprendere un periodo storico nel corso del quale gli ideali rivoluzionali furono sfruttati per creare una rigida dittatura.


Višera? Tre anni di disillusioni quanto agli amici e di speranze giovanili infrante. Un’insolita fiducia nella mia forza vitale. Provato da quella difficile esperienza, solo, sopravvissi a quella prova fisica e morale. Avevo capito che la vita è una cosa seria, ma non bisogna temerla. Ero pronto a vivere». Siamo nel 1931: tre anni prima Varlam Šalamov, studente moscovita contestatore, era stato arrestato dal Kgb per aver aderito all’opposizione trozkista ed era stato inviato in un gulag negli Urali, là dove scorre il fiume Višera. Višera, pubblicato da Adelphi nell’ottima traduzione di Claudia Zonghetti, preceduta da una toccante introduzione di Roberto Saviano, è la prima detenzione di Šalamov: non ha ancora capito tutto e il lager non si è ancora manifestato in tutta la sua forza; Kolyma sarà la seconda detenzione di Šalamov che durerà due decenni, farà di lui uno zek in tutto il suo essere e ci darà il suo capolavoro, I racconti di Kolyma, uno dei più importanti libri in lingua russa sull’uomo di fronte all’estremo. Višera è il prologo di Kolyma, l’antefatto di una storia che si accinge a erigere a sistema l’«eliminazione dopo l’uso» dell’uomo. Nel 2000 il regista Iosif Pasternak ha realizzato un film sul gulag in due parti: l’era dell’acqua e l’era della terra. Tra i luoghi dell’era dell’acqua c’è il bacino della Višera, che a partire dal primo piano quinquennale, nel 1929, diventa una delle vie della nuova colonizzazione e con i suoi cantieri permette al potere sovietico di realizzare il sogno di Pietro il Grande: il passaggio da un progetto penitenziario a un progetto economico, al tempo stesso sociale e repressivo, utilizzando la manodopera gratuita dei campi. Šalamov si presenta come osservatore privilegiato di questa trasformazione. Arriva in una zona lager nuova «di zecca», in cui «ogni metro di filo spinato splende al sole», un non-spazio dove non si può condividere né la gioia, né il dolore: la gioia perché è pericoloso, il dolore perché è inutile. Il prossimo non può confortarti, ti consegnerà ai capi, piuttosto, per un mozzicone di sigaretta, o per svolgere il proprio dovere di informatore. Il giovane Šalamov è ancora un ingenuo, ostinato sostenitore della rivoluzione, non si rende conto che è finita, che il potere tirannico di Stalin l’ha spenta per sempre. Nessuno all’epoca credeva che le repressioni colpissero persone innocenti e dietro agli arresti di massa si continuava a vedere una Russia vitale, con forze giovani che si risvegliavano alla lotta. […]
Tuttavia, non sono tanto i protagonisti, né la visione chiara di una società e della sua marcia suicida, a rendere indimenticabili le pagine di Šalamov, quanto la sua attitudine etica, la sua accettazione, la sua sospensione di giudizio. Nel lager nessuno è colpevole, nessuno pretende espiazione, perché a giudicare sono i detenuti di ieri, o di domani, e chiunque, scontata una condanna, acquisirà il diritto a giudicare gli altri. Šalamov scrisse che la memoria è come un tubetto di colla indurita, non ne esce più nulla; ma quando al suo ritorno ritroverà il silenzio, la neve tiepida e lieve di Mosca, la città tanto amata dove tutto era accaduto, inizierà a scrivere, non per denunciare il campo, ma per studiarlo e per comprendere se stesso.

Varlam Šalamov, Višera, trad. di Claudia Zonghetti, Adelphi, pp. 234, € 18.