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Casa Misseri. Il macabro reality

di Rosa Ana De Santis - 19/10/2010



Nei giorni delle indagini convulse, mentre il volto dell’assassino cambia occhi e tratti di ora in ora e passa dal padre orco alla figlia corpulenta in una trama ancora non chiarita di responsabilità , e mentre  si scava nei segreti di famiglia che non risparmiano nessuno dei protagonisti, davanti al portone di casa Misseri si stringe una folla di persone comuni. Famiglie, mamme e papà con in braccio i piccoli, gruppi di amici che fanno pensare alle scolaresche.

Invece di andare al parco o al cinema questa gente ha pensato di partire per sbirciare qualche immagine di più dal buco della cancellata di ferro che porta al garage dove Sarah è stata uccisa. Non sono solo persone di Taranto, alcuni degli spettatori hanno affrontato un viaggio di ore per esserci. I carabinieri sono stati costretti a transennare la casa. Altre case degli orrori sono diventate musei, in passato: lo chalet di Cogne e la casetta gialla di Erba.

La psichiatria spiega questo macabro turismo del male come il tentativo di esorcizzare la paura che una violenza così efferata, come quella che ha ucciso la piccola Sarah, porta nelle case e nelle famiglie delle persone. La banalità di un male enorme e annidato nelle relazioni familiari getta sulle vite più comuni l’ombra di un rischio e di un pericolo in agguato. Ma davanti casa Misseri non c’è stata soltanto una sfilata di curiosi, di persone che hanno lasciato fiori bianchi o una preghiera. La sensazione è che questa volta si sia andati oltre.

Gli spettatori intervistati si sono presentati con macchinette fotografiche, c’è stato chi ha girato video, alcune signore rispondevano ai giornalisti dicendo di essere andate lì per “indagare meglio”.  La vicenda di Sarah, alimentata dall’esposizione mediatica dei parenti fin dal primo giorno, cugina sospettata per prima, è stata data in pasto non tanto ai riflettori, ma alla partecipazione e all’intrattenimento degli spettatori. Come un grande gioco di ruolo, come un reality vero e proprio.

A rendere la vicenda carica di attrazione per il pubblico a casa ci pensano proprio i familiari di Sarah, che aiutano come possono tv e media per confezionare la storia, per renderla vendibile. Il tam tam di messaggi tra la sorella Valentina e Sabrina, letti in diretta e mostrati alle telecamere, l’incitamento ad andare in tv, a rilasciare interviste, ad alzare il tiro. Il fratello di Sarah, che alla trasmissione Quarto Grado si presenta ossessionato dall’attesa di vedere in carcere lo zio molestatore, a qualsiasi costo, quasi senza appurarne la colpevolezza.

E poi arriviamo alla granitica e nuova sospettata numero uno. La cugina dominante e gelosa, la devota e preferita figlia di papà Misseri, che dietro le sbarre ha un pensiero unico. Cosa dicono di lei i giornalisti, cosa ha detto di lei la Palombelli? Ci voleva Avetrana per scoprire che l'opinione della Palombelli o di meluzzi interessasse a qualcuno.

Ancora una volta non è Sarah al centro di questa corrida e nemmeno la paura di scontare una lunghissima pena o di dimostrare la propria innocenza. E’ lo scontro con il padre accusatore, è prendere il posto in prima pagina e in primo piano. Una notorietà che si alimenta di dettagli, espressioni, pianti e gesti in favore di telecamera.

Avetrana al centro della lizza mediatica, è il capolavoro di Sabrina e del suo clan. L’Alibi perfetto, per mutuare una sceneggiatura più famosa, che scricchiola anche questa volta sul finale che sembrava perfetto. Una verità che Sabrina continua a tacere e un ruolo che continua a recitare.

L’innocente che legge i giornali, che chiede la rassegna stampa e invoca il confronto plateale con il padre accusatore, che vuole le sue scarpe allacciate e il suo reggiseno con i ferretti. La stessa che cercava Sarah con le lacrime agli occhi e gridava al rapimento quando la piccola poteva semplicemente essere in ritardo di poco, come ha testimoniato l’amica Marangela. Anche lei, l’amica, scrive e diffonde le sue lettere alla stampa.  Come il conteso Ivano. Anche lui, l’amico del gruppo, ha il suo ruolo in questo mosaico. Interviste e pareri sono riportati come quelli di un testimone, di un esperto.

Sembrano scandirsi giorno dopo giorno le notizie o le fughe di notizie, le ammissioni e le smentite, come se dovessero produrre ogni giorno che passa i titoli buoni per quotidiani e Tg. Come se la paura fosse scoprire che, quando l’inchiesta arriverà al Gup, la pacchia della fama di tutti e di ognuno terminerà. Le edicole, le stanze affittate e gli alberghi, i benzinai e i bar del paesino e dintorni torneranno rapidamente nell’anonimato triste di una provincia annoiata.

Una scenografia barocca in cui i comuni protagonisti anonimi sono diventati primi attori e tutti, ma proprio tutti, uomini e donne ignoranti e senza cultura, si sono mossi con talento e disinvoltura, ben edotti sulle regole della televisione. L’unica che non ha preparato memorie da leggere davanti alle telecamere è la piccola vittima. Che non poteva sospettare, che non aveva capito l’odio che le si stringeva attorno.

L’amata e incauta bambina di famiglia, la mascotte non ha lasciato testimonianze, né denunce. Ed è uscita di scena buttata in un pozzo. La morte l’ha mangiata un giorno dopo l’altro. Così, mentre gli altri calcavano il palcoscenico mediatico sotto i riflettori, lei veniva ricomposta in una bara e nascosta persino agli occhi di sua madre.

Questa è l’unica parte del film che gli spettatori di casa Misseri non possono vedere. Peccato, perché se potesse, questo pubblico selvaggio vedrebbe anche quello. Al massimo, come diceva uno dei tanti padri presenti, si andrà al cimitero per scattare una foto sulla lapide. Come se ci fosse un gusto e un godimento maggiore a conservare le prove che tanto orrore è accaduto davvero.