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I numeri di un'energia al tramonto

di Monica Frassoni - 19/10/2010

Dopo la disdetta del contratto con la francese Areva per la consegna di nuovi reattori Epr agli Stati Uniti, oramai è rimasto solo il governo italiano a credere, o dire di credere, in un ritorno del nucleare di “terza generazione”.

Dopo la disdetta del contratto con la francese Areva per la consegna di nuovi reattori Epr agli Stati Uniti, oramai è rimasto solo il governo italiano a credere, o dire di credere, in un ritorno del nucleare di “terza generazione+”: una convinzione su cui la Areva punta molto, considerate le difficoltà createsi anche in Finlandia, dove i costi e i problemi tecnici per la costruzione del reattore Epr Olikiiluoto 3 continuano ad aumentare, gettando ombre sui progetti per la costruzione di altri due reattori simili in futuro.
 
Ne la recente decisione di prolungare la vita dei reattori tedeschi presa dal governo Merkel può essere davvero considerata come un segnale di inversione della tendenza in atto dagli anni Ottanta nel settore nucleare, visto che si tratta, appunto, di prolungare la vita delle centrali esistenti e non di costruirne delle nuove e visto che comunque quella decisione è accompagnata a investimenti in efficienza e in rinnovabili.
 

Il fatto è che i problemi del nucleare restano quelli di sempre: il non saper che fare delle scorie (come ha ricordato molto bene Erasmo Venosi su questa stessa testata), costi insostenibili senza un pesante intervento pubblico; una redditività a dir poco incerta, soprattutto nel breve e medio termine, e che mette in fuga il capitale privato; la scarsità della materia prima, che peraltro è distribuita in modo da favorire pochi stati (Russia, Australia, Sud Africa) a scapito degli altri.
 
Non sorprende quindi che il rapporto 2009 sullo stato dell’industria nucleare nel mondo, scritto da Anthony Froggat e Mycle Schneider (e commissionato dal governo tedesco...), descriva un settore sul viale del tramonto da quasi 30 anni e con nessuna speranza di vera rinascita: nessun nuovo allacciamento alla rete elettrica nel 2008, nessun avvio di nuovo impianto, ed i 435 reattori attivi nel mondo che hanno prodotto nel 2009 ben 1600 megawatt in meno meno rispetto al 2008. Se si paragonano questi dati con quelli del 1979, anno in cui si stavano costruendo 233 reattori, o del 1987, in cui se ne stavano completando 120, il trend si manifesta con impietosa chiarezza. Soprattutto se si tiene conto del fatto che con una vita media reale di circa 22 anni, per mantenere lo stesso numero di reattori nucleari operanti oggi bisognerebbe aggiungere ai 52 reattori in costruzione in questo momento altri 42 da qui al 2015, cioè uno ogni mese e mezzo, e altri 192 entro il 2025, ossia uno ogni 19 giorni.
 

Di fronte a tutto questo, solo un governo abituato a una politica degli annunci e non delle soluzioni concrete poteva farsi abbindolare dalla promessa di un ritorno in auge del nucleare, una promessa che in Italia ha ancora meno ragioni per essere presa sul serio che altrove: il fatto di dover cominciare da zero impone un carico proibitivo per le casse pubbliche; l’opposizione giustificata e forte del territorio alla costruzione delle centrali e dei siti di stoccaggio delle scorie; le lungaggini e difficoltà burocratiche che ci parlano di un’amministrazione sempre più inefficiente e facilona alla quale affidare la gestione del nucleare sarebbe un rischio da evitare.