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«Ma che cos’è la verità?» E i filosofi iniziarono a litigare

di Armando Torno - 20/10/2010



Da sempre la domanda di Pilato divide i pensatori

È nota la domanda che Ponzio Pilato rivolse a Gesù nel pretorio: «Che cos’è la verità?». Dal Vangelo di Giovanni (18, 37-38) sappiamo che non ci fu una risposta. Forse perché mancò il tempo a causa dell’affanno del magistrato romano («E detto questo uscì di nuovo verso i Giudei...») o perché quell’uomo che di lì a poco verrà crocifisso aveva già detto tutto. Fatto sta che la storia della filosofia, che dovrebbe essere anche la ricerca della verità, ha continuato per due millenni a rispondere al quesito. Senza trovare un accordo.
Certo, la domanda era già vecchia e intorno ad essa si erano azzuffati i greci. Ad Atene Platone, qualche secolo prima, aveva cercato in alcuni dialoghi, come il Cratilo e il Sofista, di stabilire cosa sia la verità; Aristotele, nella Metafisica, enunciò anche due teoremi sulla questione, ormai diventata complessa. Del resto, già tra i seguaci di Socrate circolavano rompicapo e paradossi, come quello di Eubulide di Mileto, noto come «sofisma del mentitore». Nella prima formulazione si presentava in questo modo: «Se menti dicendo di mentire, nello stesso tempo menti e dici la verità». Lo hanno ripreso anche i logici del Novecento. Intanto, stoici ed epicurei non stettero zitti e misero in campo questioni non proprio semplici; a Roma in molti credevano di saperlo, e taluni, qualche anno prima dell’era volgare, grazie a Lucrezio sostenevano che questa benedetta verità si dovesse cercare nelle sensazioni, che sono il manifestarsi stesso delle cose. Pilato, uomo da accampamento più che da biblioteca, pronunciò la domanda probabilmente senza accorgersi, anche se è diventata la più celebre della storia sull’argomento. E i pensatori ripresero sia i ragionamenti dei greci, sia il quesito evangelico.
Ora, un’Enciclopedia Filosofica come quella che stiamo presentando offre decine di voci che parlano della verità, forse perché in un mondo come il nostro non è facile stabilire cosa sia. Chi la dice? La televisione? I politici? Il Vaticano? I professori? La mamma? Quelli che credono di avere sempre ragione? Ci possiamo avvalere della facoltà di non rispondere, ma forse vale la pena ricordare che pur prescindendo dalle risposte dei Padri della Chiesa e dei teologi medievali, già tra la fine del XVI secolo e l’inizio del successivo Francis Bacon riprese il quesito evangelico nel saggio Della verità e sostenne che Pilato proferì le parole «scherzando», senza «aspettarsi una risposta». Tra i molti che ritornarono sull’argomento c’è Friedrich Nietzsche, il quale non poteva perdere un’occasione tanto ghiotta. Puntuale, nell’Anticristo, dopo aver sottolineato che «in tutto il Nuovo Testamento c’è soltanto un’unica figura degna di essere onorata», e questa è appunto Pilato, si scaglia contro la verità. In essa, diciamocelo senza infingimenti, egli non credeva, ritenendola un’invenzione della dialettica, della morale, di deboli e schiavi, insomma un prodotto che si sarebbe dovuto rottamare, e dell’episodio evangelico apprezza «il nobile sarcasmo di un romano, dinanzi al quale si sta facendo un vergognoso abuso della parola...». Søren Kierkegaard, qualche anno prima, aveva già rovesciato il problema nel suo Esercizio del cristianesimo: «Che a Pilato venga in mente di interpellare Cristo a quel modo, in quel momento, questo prova che egli non aveva assolutamente l’occhio fatto per la verità». Poi, con efficacia, parla della «confusione fondamentale della domanda», la quale non avrebbe potuto «essere più sciocca».
Se ne occuperà anche Oswald Spengler nella sua celebre opera Il tramonto dell’Occidente, vasto e ancora discusso lavoro che faceva venire il bruciore di stomaco a Benedetto Croce. Egli dirà con una frase che non lascia dubbi: «Nella famosa domanda... è contenuto tutto il senso della storia». Hans Kelsen, il giurista austriaco tra i più apprezzati del secolo scorso, esamina la scena ne I fondamenti della democrazia e, dopo aver notato che quel magistrato romano era un «relativista scettico», scrive: «Agì con assoluta coerenza, rimettendo la decisione al popolo». Insomma, Pilato si comportò da «democratico». Che dire? Innanzitutto che una risposta di Gesù a Pilato si legge in un apocrifo, il Vangelo di Nicodemo, e che sulla verità si è continuato a discutere e riflettere, da Machiavelli a Pinocchio, compreso un litigio che scoppiò alla fine del Settecento tra Constant e Kant su come e quando dirla. Per il primo si poteva fare qualche eccezione, per il secondo si doveva proferire sempre, anche davanti a un assassino. Come finì? La disputa non è ancora terminata. La verità va sempre in scena, con o senza Pilato.