Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Trovai il vero Trotskij nel suo amore per i cani

Trovai il vero Trotskij nel suo amore per i cani

di Leonardo Padura Fuentes - 21/10/2010

     http://3.bp.blogspot.com/_KC2MRPuRaMo/RsrGJD3Ks-I/AAAAAAAABJ4/_79yxVZ10E0/s400/assassinato_trotsky.jpg


Lo scrittore cubano Leonardo Padura Fuentes ha svolto una ricerca sulla figura di Trotskij a settant’anni dal suo assassinio, al fine di mettere in luce gli aspetti personali della sua vicenda.
Secondo lo scrittore, la memoria di Trotzkij sta inevitabilmente sfumando anche in un luogo come Cuba, che con la figura del rivoluzionario ha un forte legame simbolico. Padura Fuentes ha ripercorso i passi di Trotzkij, dalle sue battaglie in Russia fino al suo esilio in Messico e poi al suo omicidio per ordine di Stalin. Il risultato è un ritratto di un grande rivoluzionario e uomo politico, il quale tuttavia commise molti errori che gli furono fatali e nella cui vicenda l’aspetto personale e quello politico sono inscindibili.

Una notizia scuote Cuba: diversi quintali di platani e di patate dolci marciscono sotto il sole in un magazzino della provincia quasi estinta de L’Avana, a pochi chilometri dalla capitale. A livello di Stato e di governo, è stata decretata una vera e propria «guerra» per la sicurezza alimentare, e per evitare la logorante erogazione di valuta dovuta alla necessità di acquistare all’estero l’80 per cento delle derrate alimentari che si consumano nel Paese. Ma la «battaglia» è segnata da dolorose perdite, come questa, poiché sebbene alcune cose siano cambiate nella forma, la sostanza continua ad essere la stessa, proprio in quelle strutture che in 50 anni sono state capaci di ridurre ai minimi storici la produzione delle merci da campo, del caffè, dello zucchero, di quei pilastri dell’economia tradizionale cubana che dal diciannovesimo secolo hanno fatto la ricchezza dell’isola.
Anche se in questo caso, come per altre notizie ricorrenti, vengono usati termini come «guerra», «battaglia», «contesa», e ovviamente «vittoria», che sono già di uso comune nella stampa e nella retorica ufficiale quando il Paese deve affrontare qualche momento cruciale, nessuno sembra ricordare che un uomo morto — assassinato – 70 anni fa era stato fra i primi a utilizzare e a divulgare queste parole nella sua propaganda politica in favore di uno Stato proletario. Diversi Paesi del mondo hanno ricordato l’anniversario, celebrando lo scorso 20 agosto i settant’anni dalla morte dell’ex leader bolscevico Lev Trotzkij, fondatore dell’Armata rossa, anima dei successi dell’ottobre-novembre del 1917 a Pietrogrado, assassinato nel suo rifugio di Coyoacán, in Messico. Come ormai tutti sanno, il suo assassino fu un agente segreto sovietico, lo spagnolo Ramón Mercader, che eseguiva gli ordini, i desideri e le ossessioni di Josif Stalin, il segretario generale del Partito comunista dell’Unione sovietica artefice di questa e di milioni di altre morti.
Sei anni fa, quando cominciai a scrivere il romanzo L’uomo che amava i cani, incentrato su questo fatto storico — e su molti altri avvenimenti che lo precedettero e lo seguirono, sulle cause e le conseguenze più o meno legate al delitto di Coyoacán — non avrei mai pensato che il mio libro avrebbe finito per circolare proprio in quei giorni, mentre gli ostinati e romantici trotzkisti che ancora restano nel mondo, e qualcun altro ancora interessato al tema delle conquiste o dei fallimenti dell’utopia comunista del ventesimo secolo, commemoravano l’opera politica, filosofica e letteraria di Trotzkij ma, soprattutto, il suo omicidio e quello che ha significato per la storia del movimento rivoluzionario. […]
Non è un caso che a Cuba ci si sia dimenticati della ricorrenza. Ancora oggi, a vent’anni dal crollo dell’Unione sovietica e dall’apertura di alcuni archivi raccapriccianti e rivelatori, a quindici anni dall’inizio della Glasnost, che ha rispolverato quella storia torbida, e a più di mezzo secolo dalla presentazione del rapporto nient’affatto segreto di Nikita Kruscev al Comitato centrale del Partito comunista sovietico — nel quale si denunciavano in modo esplicito i metodi autoritari di Stalin e in modo implicito le sue responsabilità criminali (perfino nei confronti dei suoi colleghi di partito) — la figura di Trotzkij si trascina dietro il fango versato su di essa per decenni dai leader sovietici. […]
Come ogni leader, e ancor di più se partecipa a un esperimento innovativo e utopico come fu l’intento di costruire una società egualitaria e democratica, Trotzkij commise i suoi errori, e fu uno dei responsabili della perdita delle libertà sociali, civili e di partito, che alterarono l’idea meravigliosa nella sua applicazione alla dura realtà. La sua partecipazione diretta alla disintegrazione e militarizzazione del movimento sindacale russo, il suo appoggio alla soppressione di altre tendenze politiche rivoluzionarie che avevano preso parte alla gestazione del processo sovietico, la repressione da lui guidata contro i marinai della base di Kronstadt (dove si assicurò che venissero fucilati anche gli ostaggi), tra le altre cose, sono innegabili. Perciò, anche lui fu responsabile di un processo di disfacimento del concetto di Stato proletario in favore della costruzione di una società verticale, guidata dall’alto e soggetta alle volontà della figura del Segretario generale, incomparabilmente (è un modo di dire) rappresentata da Stalin.
Quando decisi di scrivere la storia del pellegrinaggio di Trotzkij, espulso non solo dal partito ma dal Paese che contribuì a fondare, raccontando nei dettagli come venne architettato il suo assassinio, uno dei miei propositi era scoprire l’umanità del personaggio che era stato al centro di una storia così illustre. Mi proponevo di scrivere un romanzo e non un saggio storico, e per questo mi interessava la sua dimensione umana, la sua relazione di uomo con la vita e con le persone, così come la sua opera politica. Però man mano che procedevo nelle ricerche e poi nella stesura del testo, quell’idea iniziale mi sfuggiva continuamente di mano e il politico, il leader, l’uomo pubblico, dominava sempre l’individuo, fino a farlo quasi scomparire. Fui quindi costretto ad accettare che Lev Trotzkij — nato Bronstein, di origine ebraica, nel piccolo villaggio ucraino di Janokva il 26 ottobre (o il 7 novembre, secondo il nuovo calendario) del 1879, appena trentotto anni prima di aver condotto con successo la rivolta di Pietrogrado — apparteneva a quella strana razza di individui che vivono nella politica, della politica e per la politica, mentre i dolori, le pene e le gioie umane occupano solo un piccolo spazio della loro mente.
Eppure, Stalin si impegnò ad attaccarlo su tutti i fronti: non solo con il vilipendio e, in pratica, sconfiggendolo come politico, ma anche sul lato umano, costringendolo a subire l’uccisione dei suoi due figli, l’arresto e la scomparsa di molti altri familiari, amici e compagni di partito, e trasformandolo, agli occhi della grande massa di combattenti progressisti, nell’immagine stessa del traditore revisionista.
Risulta quanto meno curioso che l’aspetto della vita di Trotzkij — e, per una macabra coincidenza, anche del suo assassino Ramón Mercader, un altro uomo quasi disumano — nel quale ho trovato la maggiore espressione di una sensibilità gentile e genuina, è nella sua relazione con i cani. Il suo debole per questi animali, un’ammirazione a volte esagerata per lo loro intelligenza, un fascino per la loro proverbiale fedeltà, sono serviti a mostrarmi il personaggio in chiave umana e a farmi intravedere, dietro la travolgente passione politica, un bagliore di sentimento che lo avvicinava a questa altra specie, la nostra, molto spesso meno fedele e quasi sempre (dobbiamo riconoscerlo) meno intelligente di quella canina.