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Dispacci da una guerra sporca

di Massimo Novelli - 21/10/2010

  

 
Lo storico Massimo Lunardelli ha studiato i verbali militari e i documenti riguardanti la guerra al brigantaggio, una delle pagine più tragiche e sanguinose della storia italiana.
Dallo studio dei documenti è evidente che il brigantaggio non fu un fenomeno marginale e localizzato, ma anzi molto diffuso e ben organizzato, e che suscitò una risposta assai violenta da parte del neonato stato italiano. Il fenomeno nasceva da un forte disagio economico e sociale delle popolazioni meridionali, il quale però non fu compreso dal potere politico centrale e quindi fu affrontato solo con le armi. Il risultato fu una guerra lunga e molto dura che provocò migliaia di vittime da entrambe le parti.


«Questo solo si ha nel fatto che il Sergente della squadriglia, sfogando certa sua ira per le fatiche durate in quello inseguimento, si sia fatto zelo nel dimostrarsi nella barbarie di mozzare un orecchio al cadavere del De Angelis», noto come lo Stregone e «in fama di manutengolo di briganti». […]
Si viveva, si combatteva, si moriva e si scriveva così nel nostro Mezzogiorno tra la fine del 1860 e il 1870, durante gli anni della campagna intrapresa dal nuovo Regno d’Italia per reprimere il brigantaggio. Contrassegnata da eccidi efferati, fucilazioni e massacri effettuati da tutte e due le parti, fu la nostra Vandea, il nostro Vietnam. Ebbe i caratteri pieni di una guerra civile e di classe che oppose cafoni e «galantuomini», braccianti e latifondisti, così come quelli di una rivolta sociale originata dalle speranze suscitate dall’impresa di Garibaldi e delle sue camicie rosse, che nei suoi decreti promise di distribuire le terre ai contadini; liquidato l’Esercito meridionale garibaldino, però, le promesse non vennero mantenute dai «piemontesi». La guerra nel Sud fu naturalmente anche un tentativo di restaurazione messo in atto dall’ex re delle Due Sicilie Francesco II: Pio IX e lo Stato della Chiesa soffiavano sul fuoco.
Ancora oggi è sconosciuto il numero delle vittime, in ogni caso diverse migliaia. Lo storico Denis Mack Smith sostiene che furono «più numerose di tutti i soldati persi dal regno sabaudo nelle guerre d’indipendenza contro l’Austria», circa seimila. Fonti revisioniste, poi, parlano di almeno 60-70mila morti, o addirittura di 280mila.
Da quel decennio di sangue, che a lungo la storiografia descrisse soltanto come un’insorgenza borbonica, il ricercatore torinese Massimo Lunardelli fa riemergere i verbali delle lettere, dei telegrammi e delle informative che gli ufficiali degli oltre centomila militari impiegati nella repressione inviarono ai loro superiori. Conservati presso l’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’esercito, i documenti sono stati raccolti nel libro Guardie e ladri. L’Unità d’Italia e la lotta al brigantaggio (pubblicato da Blu Edizioni). È un libro bello e terribile che testimonia, proprio dalla parte dei vincitori, come l’unificazione nazionale avvenne solo formalmente. All’origine dell’ancora lacerante e irrisolta «questione meridionale», la guerra nel Meridione suscitò già allora proteste roventi negli ambienti della sinistra. Nino Bixio, in Parlamento, non esitò a definirla «un sistema di sangue», che il «governo, cominciando da Ricasoli, ha sempre lasciato esercitare». E Garibaldi nel 1868, in una lettera ad Adelaide Cairoli, scrisse: «Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male, ma nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia Meridionale temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio». Ma erano voci isolate. La maggioranza dei soldati spediti in prima linea non comprese le ragioni dello scontro fratricida. […]
In un combattimento sporco del genere, i meridionali insorti non potevano certamente avere pietà per i nemici, «barbaramente scannati» come annotò un maggiore dei carabinieri da Napoli. È lo stesso che, il 17 novembre 1862, scriveva: «Immense poi sono le rovine che arreca ovunque il brigantaggio, che oggigiorno sa far bene la guerra colla Fanteria la quale sempre corbella e quando gli viene il destro affatica e talvolta piomba su di essa per farne orrendo macello».

Massimo Lunardelli, Guardie e ladri. L’Unità d’Italia e la lotta al brigantaggio, Blu Edizioni.