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Cosa significa "politica demografica" per il pianeta Terra nell'Anno Domini 2010

di Giulietto Chiesa - 26/10/2010


controllodemograficoUn lettore scrive a Giulietto Chiesa per chiedergli se il controllo demografico sia un’urgenza politica planetaria.

La risposta usa gli argomenti di chi crede che il problema si possa risolvere invertendo l’ordine delle preoccupazioni: non la numerosità dei poveri, bensì la povertà dei numerosi.

 

Gentile sig. Chiesa,

Volevo innanzi tutto farle i complimenti per il lavoro che sta portando avanti tramite "Alternativa", nonché mediante "Megachip", e dirle che condivido i principi da lei affermati in più occasioni sia sul web che nell'ambito dei suoi convegni, soprattutto in merito all'importanza di concepire un nuovo modo di usufruire delle risorse del nostro Pianeta.

Siccome lei ha parlato spesso dell'impatto che il modo di vivere caratteristico del mondo occidentale e "occidentalizzato" -composto ormai quasi interamente da consumatori compulsivi - ha avuto e sta ancora avendo sulle risorse naturali dell'unico pianeta sul quale potremo mai vivere, desidererei chiederle che cosa ne pensa dell'influenza che una politica di controllo demografico potrebbe avere in futuro sull'evolversi del modo di concepire la vita umana e i consumi, nonché sull'economia italiana ed internazionale.

Il motivo per il quale le pongo questo quesito risiede nel fatto che, nel corso dei miei studi inerenti alle scienze naturali, ho (giustamente) sentito parlare moltissime volte del fatto che l'impatto antropico che sta ormai da decenni devastando il pianeta ha acquisito le sue attuali proporzioni principalmente a causa del fatto che la popolazione mondiale risulta essere sempre in continuo aumento.

Spesso pertanto mi è capitato di esporre il mio punto di vista in merito, ossìa di dire chiaramente che una delle necessità imprescindibili a livello internazionale dovrebbe consistere nel varare una politica demografica adeguata in grado di permettere quanto meno una reale ed efficace riduzione di quella che viene definita spesso in letteratura come "impronta ecologica", ma mi sono trovato sempre davanti a persone che sembravano non volere o, addirittura, essere impossibilitate a capire quanto ora sto esponendo anche a lei.

Le poche persone che hanno controbattuto a quanto da me sostenuto dicevano che, qualora in un Paese come l'Italia venisse varata una politica simile, a livello pensionistico e occupazionale le conseguenze sarebbero pressoché catastrofiche (discorso peraltro portato avanti anche da personaggi del calibro di Piero Angela).

Volevo pertanto chiederle se anche lei, come me, ritiene che una politica di controllo demografico costituisca in realtà un punto imprescindibile per una svolta verso un futuro di democrazia e sostenibilità per tutti e se ha qualche idea su come si potrebbe realizzarla.

Nel ringraziarla per la cortese attenzione e nel farle i migliori auguri per i progetti da lei intrapresi le porgo distinti saluti.

 

Davide Gasperini

 

 Gentile Signor Gasperini,

la questione è di immensa portata economica, sociale, culturale. Rispondo quello che penso. La crescita demografica attuale, come tutte le altre "crescite", salvo quella culturale, è insostenibile.

Il problema concreto è: come affrontare questa insostenibilità? Ci vuole molto realismo, prima di tutto. Chiedere ai popoli di Asia, Africa, America Latina, che crescono, di ridurre le loro nascite non ha alcun senso. Non ha senso pratico. È l'espressione di un "nostro" (dei ricchi) desiderio, oltre che della giusta, ma sempre "nostra" però, inquietudine.

Non li convinceremo, sempre che un nostro messaggio di questo genere giunga a destinazione. Il che non è e non sarà, perché i nostri media non arrivano su teleschermi che non esistono. Non li convinceremo perché i nostri metri di giudizio non valgono per miliardi di persone che non hanno la luce, che non hanno la scuola, che fanno fatica a mangiare una volta al giorno e che, andando a dormire, affamati, quando fa buio, non hanno altra possibilità di felicità che fare i figli. Anche se poi molti di loro moriranno di stenti.

Se volessimo davvero affrontare il problema capiremmo quello che già le cifre statistiche ci dicono. La natalità diminuisce progressivamente in proporzione diretta al livello di istruzione e di benessere delle popolazioni. E in proporzione diretta anche con il livello culturale della popolazione femminile (oltre, ma più che di quella maschile).

Questo è l'unico modo che si sta già realizzando, dove si realizza. La questione è che si realizza solo in piccole aree del pianeta.

Se volessimo, dunque, risolvere la questione dell'eccessiva crescita demografica, dovremmo estendere queste aree di cultura e di reale benessere (scuole, ospedali, servizi civili adeguati).

Questo dipende da noi, dai ricchi. Perché siamo noi che abbiamo i mezzi per farlo. Loro non li hanno. Loro hanno i debiti da pagare a noi.

Dunque, se non vogliamo lanciare alte grida di sdegno e di dolore, senza però fare niente, dovremmo decidere - decidere domani mattina - di dedicare il 5% dei nostri bilanci all'elevamento delle condizioni materiali e d'istruzione dei quattro miliardi di diseredati che abbiamo lasciato crescere e moltiplicarsi, lavorando attivamente non perché diventassero più istruiti e più sani, ma perché diventassero dei consumatori compulsivi, stupidi più o meno come noi.

Ecco la mia risposta al suo quesito.

Lei pensa che possiamo permettercelo? Io penso che non lo faremo perché siamo stati già istupiditi al punto da non capirlo. E perché siamo guidati da scimmie impazzite.

figliounicocinaGli unici che sono riusciti a realizzare un'operazione di riduzione delle nascite in modo obbligatorio sono stati i cinesi. A prezzo di una impressionante violenza pubblica su un miliardo di persone, cioè a prezzo di sofferenze inaudite. Se non l'avessero fatto, i cinesi sarebbero oggi non 1300 milioni ma due miliardi di esseri umani.

Ma il problema - l'altro problema pratico - è che un tale esperimento di violenza sociale non è ripetibile altrove. Là esisteva ed esiste un diverso sistema politico e sociale, che non esiste in altre parti al mondo. Noi viviamo su un pianeta che non ha governo mondiale e dove nessuno può imporre misure così draconiane. Dato e, naturalmente, non concesso che sia giusto imporle con la forza.

Dunque realismo e saggezza dicono che dobbiamo procedere «con il passo dell'uomo», come diceva Herzen, e seguire le orme della possibilità. Queste camminano lungo l'unico sentiero umano possibile, che è quello che accennavo sopra. Dare istruzione e cultura, aprire i nostri portafogli del miliardo d'oro.

Sarebbe ragionevole, ma con l'attuale livello culturale e l'attuale prepotenza dell'Occidente, non faremo nulla di saggio.

Ci vuole un'alternativa radicale alla scimmia per poter tornare alla sostenibilità, anche - ma non solo - in questo campo della crisi epocale che stiamo vivendo.

Giulietto Chiesa