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Platone e la Quercia Sacra di Dodona

di Paolo Scroccaro - 27/10/2010

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"Lungi dalla quercia tieni la tua scure: perchè gli avi ci hanno tramandato che le querce erano i
nostri primi parenti".
(Zona di Sardi)
Molti documenti e testimonianze relativi alla filosofia greco-italica sono andati
perduti nel corso dei secoli, molti altri sono ancora disponibili, ma di fatto giacciono
inutilizzati e incompresi.
Gli storici della filosofia infatti sono soliti prenderne in considerazione solo una
minima parte, quella parte che si presta ad essere reinterpretata in funzione della
civiltà moderna, con lo scopo dichiarato di dimostrare che l'antico pensiero filosofico,
pur ingenuo e spesso confuso, avrebbe preparato gli sviluppi successivi che hanno
dato forma alla moderna (e per loro superiore) razionalità tecnico-scientifica.
Tutto ciò che non può essere inserito in schemi di questo genere, intonati
all'evoluzionismo culturale, viene tranquillamente ignorato, spesso con un'aria di
sufficienza che non riesce però a celare l'ignoranza prepotente di un modo
estremamente riduttivo e superficiale di intendere lo studio dell'antichità.
Assistiamo così al fatto che molti aspetti del passato, in qualche modo ancora
accessibili, vengono trascurati completamente, proprio in nome di una ricerca che si
pretende scientifica e oggettiva quant'altre mai.
Più o meno tutti i filosofi antichi hanno dovuto sopportare i metodi a dir poco
sbrigativi degli storici moderni e tale sorte è capitata anche alle opere platoniche, che
teniamo come esempio proprio perchè hanno offerto una grande ricchezza di
materiali, quasi tutti messi in disparte per via delle esigenze storiografiche di cui si è
detto.
Fiumi di inchiostro hanno versato i moderni su Platone, o meglio, su ciò che di
Platone potevano accettare e piegare alla mentalità corrente; ma che farsene di certi
miti, di certe leggende, degli innumerevoli riferimenti a quei mondi tradizionali così
distanti temporalmente, ma soprattutto qualitativamente, dalla civiltà odierna?
Perchè mai interrogarsi sul significato di certi culti, quale quello della Quercia
richiamato nel Fedro?
Noi riteniamo che lo studio del pensiero antico, per non essere unilaterale, debba tra
l'altro aprirsi a riflessioni che riguardino proprio quegli aspetti troppo
superficialmente dimenticati, per ricavarne tutte le indicazioni del caso. Qual era,
dunque, l'insegnamento che si esprimeva nel culto della Quercia, ricordato da Socrate
e Platone?
Il Santuario di Dodona, in Epiro, sembra avere origini arcaiche e precedere quello,
poi ben più celebre, di Delfi.
Secondo la leggenda raccolta da Erodoto, vi sarebbe anche in questo caso una
relazione originaria con l'Egitto: infatti due "colombe nere" sarebbero partite da Tebe
d'Egitto alla volta della Libia e di Dodona, dando inizio a due culti non a caso
fondamentalmente convergenti. A Dodona la colomba si sarebbe posata su una
quercia, da allora strumento privilegiato dell'oracolo che da un certo momento in poi
è stato attribuito a Zeus.
L'importanza dell'oracolo è facilmente accertabile: perfino Ulisse "era andato a
Dodona per udire la volontà di Zeus dall'altichiomata quercia del dio". Lo stesso
dicasi per Enea e Creso; sembra che lo stesso Pindaro, così legato all'ambiente
delfico, avesse composto un peana in onore di Dodona: di esso ci è rimasto il
frammento che celebra Zeus, in quanto "dio di Dodona, la cui arte supera quella di
ogni altro".
Come si può ben vedere, Platone non fa che riprendere una tradizione antica e
rispettata, destinata a trasmettere un impulso significativo anche ad epoche
successive. Tale tradizione ci parla di un'età in cui vi era un'intima solidarietà tra dèi,
uomini e natura: la reciproca trasparenza era tale da rendere possibile una
comunicazione pressochè ignota in periodi successivi.
La natura parlava e il suo linguaggio poteva essere compreso; gli dèi non erano
estranei a tale natura, che ne manifestava incessantemente le forze e le intelligenze
superiori. L'affermazione platonica, secondo la quale i processi naturali sono
manifestazioni divine, non è affatto di Platone, bensì di un retaggio al quale egli si è
semplicemente ricollegato; nel contesto di questo retaggio, del quale Dodona era uno
dei centri spirituali più importanti, il simbolismo della Quercia occupava un ruolo
privilegiato: tale centralità, per i Greci, era chiaramente espressa nell'essere la quercia
il re della vegetazione e l'albero di Zeus per eccellenza. Chi riesce a installarsi, anche
per poco, in uno stato di serena contemplazione avente come oggetto quest'albero
possente e maestoso, ancor oggi diffuso nonostante l'odiosa e devastante aggressione
al bosco da parte della "civiltà" materialistica, può, in una certa misura, entrare in
sintonia con la nobile spiritualità dell'uomo arcaico e percepirne la profondità e la
serenità, per lo più incompresa e derisa dalla dominante prepotenza tecnicoscientifica
che, sprezzantemente, pretende che le forze della vegetazione non siano
altro che processi fisico-chimici, manipolabili a piacimento e gestibili all'insegna del
calcolo economico.
Come potrebbe l'uomo disincantato ed eccessivamente pragmatico immedesimarsi in
tale visione del mondo e captare i messaggi espressi per il tramite delle entità
naturali, come avveniva a Dodona?
Nella cultura moderna assistiamo a un continuo impoverimento e banalizzazione
della concezione del mondo (basti pensare al meccanicismo tecnico-scientifico) e del
linguaggio: quest'ultimo è diventato sempre più astratto, si è sempre più tecnicizzato
e burocratizzato, proprio come la civiltà di cui è parte. Questo degrado ha compiuto
un’ accelerazione all'inizio dell'età moderna, quando si è cominciato,
cartesianamente, ad assolutizzare il linguaggio della ragione e in particolare quello
della matematica quantitativa, innestando un processo carico di conseguenze negative
ed alienanti che ai nostri giorni non si è ancora esaurito.
Per gli antichi, il linguaggio razionale-quantitativo era solo uno dei linguaggi e non
certo il più importante. Ben più importante era il linguaggio dei simboli perchè
capace di palesare contenuti superiori alle possibilità di altre forme linguistiche.
Potremmo dire che il linguaggio simbolico è un linguaggio alato, adatto ad esprimere
quel "pensiero alato" che ci solleva da terra e ci avvicina al cielo, di cui parla Platone
nel Fedro e nel Timeo.
Platone usa il termine "alato" proprio per indicare ciò che si innalza verso l'alto, verso
contenuti sottili e spirituali, in contrapposizione a ciò che precipita pesantemente
verso il basso, verso la monotonia della materialità fredda e inerte, privo di slanci
vitali e di caldi entusiasmi.
Che dire di una civiltà che esalta la freddezza di una "ratio" calcolante-pragmatica e il
correlato linguaggio tecnicizzante, ignorando, se non condannando, tutto ciò che si
sottrae a tali anguste schematizzazioni?
Occorre sottolineare che il "linguaggio alato" non è solo il linguaggio del saggio e
non ha nulla di arbitrario e di artificioso; esso è tipico della natura vivente, che lancia
incessantemente segnali provenienti dai mondi celesti attraverso i ritmi cosmici,
l'alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, attraverso la molteplicità dei suoi
processi e delle sue meravigliose forme, tra le quali spicca appunto la Quercia.
Platone nel Timeo non esita a dire che la filosofia nasce dalla comprensione del
linguaggio vivente della natura, e che in questo senso può essere considerata un
grande dono degli dèi. In questo contesto, si può ben capire l'importanza data
all'interpretazione dei fenomeni vegetali, considerati pensieri e parole degli dèi, e
perchè lo studio simbolico della natura fosse considerato una via verso il Divino,
orientamento ancora ben presente nel Medio Evo cristiano (basti pensare alla
metafora della natura quale libro di Dio), ma dimenticato dai cattolici di oggi.
Per restare al simbolismo della quercia, occorre ricordare che la continuità tra l'albero
e gli uomini era qualcosa di ben radicato nell'anima degli antichi: il sentimento dei
Greci a volte esprimeva tale concezione, immaginando le querce quali primi alberi
terrestri e madri degli uomini dalle quali originariamente essi sarebbero derivati.
Contemporaneamente, la quercia figurava anche quale albero di Zeus, come si è già
visto, e a Dodona il primo tempio consisteva proprio in una foresta di querce, a
testimoniare una volta di più la continuità con il Divino e la sacralità del bosco.
La diffusione di tale atteggiamento spirituale, l'universalità del simbolismo in
questione, attestano che non si tratta di strane fantasie elleniche: per quanto riguarda
il mondo europeo antico, basterà ricordare l'importanza, d'altronde ben nota, della
quercia (e del mondo vegetale in genere) presso i Celti, i Germani, i Balti, gli Slavi.
Presso questi popoli, spesso le decisioni più importanti venivano prese all'ombra della
quercia, in quanto albero della Saggezza e della Giustizia, attributi che compaiono
anche tra i Greci, in riferimento allo stesso albero e a Zeus.
Secondo quanto scrive Strabone (Geografia, XII, 5, 1), il consiglio dei Galati "era
composto da trecento uomini che si riunivano in assemblea nel luogo chiamato D r y
n é m e t o s", termine derivante da drys (quercia) e da nemeton (santuario).
Il dio supremo degli antichi Slavi, Perun, era venerato tramite il culto del suo albero,
la quercia, e lo stesso dicasi per quanto riguarda gli antichi Balti e il dio Perkùnas (da
perqus, quercia).
Come si può notare in base a queste ed altre corrispondenze, non può certo essere
casuale e arbitrario il ruolo della quercia quale albero cosmico, mediatore tra umano e
divino, tra terrestre e celeste: a tale funzione ben si addice la descrizione di Virgilio,
quando parla della "quercia che tanto alto va verso l'aperto Cielo, quanto ha di
radici verso il Tartaro" (Georgiche, libro II, 291-292).
Si potrebbero menzionare poi innumerevoli esempi concernenti la sopravvivenza dei
culti sopra citati ancora nel Medio Evo inoltrato, nonostante gli insistenti sforzi
esercitati dalla cristianizzazione forzata nel tentativo di estirpare i culti
paganeggianti: si narra che quando Gerolamo da Praga, in un periodo che ormai
possiamo considerare di transizione tra Medio Evo ed età moderna, impose agli
abitanti il disboscamento, essi si opposero, perchè là vi era una quercia antichissima,
venerata quale sede della divinità.
Non si rifletterà mai abbastanza sulla forza delle percezioni simboliche presso i
popoli antichi: anche quando esse hanno perduto l'originaria lucidità e pregnanza
metafisica e sono state aggredite dai mutamenti di civiltà, dovuti in parte alla
cristianizzazione, in parte al materialismo tecnico-scientifico, hanno continuato a
resistere a lungo nelle profondità dell'anima popolare, sopravvivendo a distanza di
secoli e millenni, sia pure in forme spesso solo superstiziose.
Come si può constatare, sono molte le riflessioni che possono essere sviluppate a
partire dal tema che abbiamo scelto e che meritano approfondimenti e ulteriori
ampliamenti.
Qui ci limiteremo a questa considerazione: gli storici avrebbero fatto bene a prestare
la dovuta attenzione alla diffusione del simbolismo della quercia nei mondi
tradizionali; così facendo, sarebbero stati in grado di dare il giusto valore alla
presenza di ciò anche nelle opere platoniche, perchè una volta di più si conferma un
legame indissolubile tra le maggiori correnti spirituali dell'età classica greca e quelle
di altre epoche e civiltà.
Esso rivela l'unità di un impulso dal carattere sovrastorico, la cui forza continua a
ridestare energie vitali nel corso del divenire: esse risultano tanto più preziose in un
mondo sordo ed opaco che, scisso dalla natura vivente e dal divino, non sa intendere
il messaggio della quercia e gli altri innumerevoli messaggi, i quali continuamente
cadono nell'oblìo, laddove non vi sia qualcuno che, al pari del sacerdozio di Dodona,
abbia la ricettività sufficiente per saper ascoltare il "Linguaggio alato" delle
intelligenze celesti che si esprime nelle forme naturali.