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La nave post-apocalittica

di Claudio Magliulo - 28/10/2010

http://3.bp.blogspot.com/_JoxGLMDgBOM/Skr2nYJRMjI/AAAAAAAAAZI/dodaepqllyI/s400/Waterpod_06_21_2009+057w.jpg

Si chiama Waterpod (letteralmente «guscio acquatico») ed è niente di meno che una imbarcazione post-apocalittica ancorata a Brooklyn, sull'estuario del fiume Hudson. A presentarla a Terra Madre 2010 sono stati due ragazzi dello Youth Food Movement, il movimento dei giovani di Slow Food. L'obiettivo del progetto era quello di costruire un sistema-casa autosufficiente, in grado di resistere anche a possibili sconvolgimenti climatici: per esempio l'innalzamento delle acque che potrebbe colpire New York nei prossimi decenni. La struttura di base è una chiatta, in disuso, ristrutturata da un gruppo di giovani artisti, ingegneri, carpentieri, agronomi americani, fino a renderla completamente autosufficiente sotto il profilo energetico e alimentare. Il Waterpod non necessita di alcun tipo di carburante ed è in grado di muoversi grazie all'energia elettrica, stoccata in grandi batterie ricaricabili. Ad alimentarle una serie di pannelli solari disposti sopra-coperta, ai quali presto si aggiungerà un mini-impianto eolico. Un complesso sistema di riciclo delle acque consente poi di riutilizzare l'acqua piovana e riciclare le acque grigie per l'irrigazione di un orto idroponico, grazie ad un apposito sistema di filtraggio. L'orto ospita un po' tutte le verdure necessarie a una sana alimentazione: mais, zucca, basilico, cetrioli, prezzemolo, ravanelli, melanzane, lattuga, girasoli, etc. A garantire la fertilità del suolo è un compost di rifiuti trattati, in parte scarti di cibo, in parte prodotti dalle quattro galline ospiti della nave.

Insomma, i cambiamenti climatici non spaventano gli abitanti del Waterpod, come racconta Carissa Carman, artista poliedrica e tra i principali partecipanti al processo di ristrutturazione: «L'idea è una chiatta utopica post-apocalittica. Nel futuro, se tutto dovesse crollare, chi si troverà su di essa avrà buone possibilità di sopravvivenza. Ma il messaggio è che è già possibile avere una vita sana e feconda, in un circuito chiuso che si auto-sostiene».

Mentre Mary Mattingly, una dei leader del progetto e curatrice del sito web, sottolinea: «Il Waterpod traccia un percorso per comunità future, nomadi e basate sull'acqua. Il suo obiettivo è preparare, informare e offrire alternative agli spazi di vita presenti». Giovani dalle storie più disparate hanno immaginato e contribuito, ognuno a suo modo, alla realizzazione del progetto. C'è chi ha trovato il modo per costruire un efficace sistema di filtraggio e chi ha riciclato il tessuto di vecchie tende da campeggio per realizzare una serra naturale a copertura dell'orto. Qualcuno ha trasportato sulla nave il suo «giardino verticale» (realizzato nel cassone del suo pick-up o semplicemente in una fioriera), qualcun altro ha fornito l'acciaio per le strutture principali. La caratteristica forse più interessante del progetto è infatti la sua completa autosufficienza, anche economica. Non ci sono fondi né pubblici né privati, dietro. Tutto ciò che è stato costruito è venuto da residui, scarti, immondizia. Materiali ritenuti inerti e inutili che hanno ora trovato una nuova (e futuristica) vita.

Sulla chiatta vivono al momento cinque persone, cinque artisti che mostrano il progetto a scolaresche e semplici curiosi, e nel frattempo producono installazioni e opere d'arte. Ma il progetto non si ferma qui, la chiatta è solo l'inizio. Il prossimo passo sarà costruire una città intera di case galleggianti, collegate tra loro e completamente autosufficienti. Una città a cui chiunque potrà aggregarsi e da cui chiunque potrà ripartire, quando vorrà. Una città nomade, appunto, senza mutui subprime né tassa Ici.