Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Breve storia del signoraggio

Breve storia del signoraggio

di Paolo Cecco - 28/10/2010


“Per li occhi fora scoppiava lor duolo; di qua, di là soccorrien con le mani quando a’ vapori, e quando al caldo suolo: non altrimenti fan di state i cani or col ceffo or col piè, quando son morsi o da pulci o da mosche o da tafani”.
Con questi versi il Sommo Poeta, Dante Alighieri, descrive la condizione degli usurai nel III girone del VII cerchio dell’Inferno. Sfruttatori del lavoro altrui, avidi di denaro e di potere, se ne stanno muti, racchiusi nel loro dolore espresso attraverso le lacrime che sgorgano dagli occhi.
Un’impietosa condanna dell’usura, dunque (la legislazione ecclesiastica del tempo paragonava l’usura all’eresia e condannava al rogo chi si macchiava di tale colpa), oggi più che mai d’attualità nel dominio del regime liberal-relativista che vede il trionfo della finanza usuraria e del grande capitale a scapito del lavoro dei popoli e della solidarietà sociale. Signoraggio è un termine che deriva dal francese “seigneur” che in italiano significa “signore”; riferendosi al periodo storico del medioevo, quando i titolari del diritto di battere moneta erano appunto i signori feudali i quali beneficiavano del guadagno che ne derivava.
Già Aristotele affermava che “il denaro non può procurare altro denaro” e tale enunciato lo troviamo poi sviluppato nel tomismo di età medievale. Il denaro veniva infatti considerato sterile in quanto non poteva generare frutti alla stregua degli esseri viventi o delle piante. Ma come affermava Alexander Del Mar, poliedrico studioso della moneta del diciannovesimo secolo: “il crimine insidioso dell’alterazione segreta delle leggi monetarie di uno stato non è Nuovo”. Un decreto dell’anno 360 Avanti Cristo, che riguarda l’antica moneta di Sparta, suggerisce che Glypsus non era estraneo a questa grave offesa. In un’età successiva, Plinio fa riferimento all’alterazione del codice della zecca romana, mediante la quale venne sovvertito quello che rimaneva del sistema nummulario, intorno all’anno 200a.c., in favore di un conto privato permesso alla gentes. Con l’avvento dell’Impero, lo Stato riprese il completo controllo delle sue emissioni monetarie e questa politica continuò ad essere mantenuta fino a quando le rivolte barbariche del quinto e sesto secolo ne sovvertirono e indebolirono l’autorità obbligandolo a violare conconnivenza le prerogative che esso aveva perso il potere di prevenire o punire.
Quando la base monetaria consisteva di monete in metallo prezioso, chiunque disponesse di quest’ultimo, poteva portarlo presso la zecca di Stato dove veniva trasformato in moneta su cui si riportava l’effigie del sovrano. I diritti spettanti a questi e alla zecca erano esatti trattenendo parte del metallo prezioso. In questo contesto il diritto di zecca, cioè l’imposta sulla coniazione, coincide con il signoraggio infatti valore nominale della moneta e valore intrinseco non coincidevano; l’imposta sulla coniazione serviva a finanziare la spesa pubblica. Ma ciononostante lo smercio e la custodia dell’oro presentavano enormi difficoltà pratiche a causa del suo considerevole peso specifico e dalla costante minaccia dei briganti.
Questa situazione spinse la maggior parte dei soggetti benestanti a depositare le proprie monete presso gli orafi (prevalentemente di origine ebraica) che disponevano delle casseforti più sicure delle città. Gli orafi a loro volta, emettevano delle comode ricevute cartacee a garanzia del deposito effettuato che potevano essere negoziate dal titolare al posto delle ingombranti monete che rappresentavano. Si trattava quindi del modo più comodo, rapido e sicuro per disporre dei propri soldi. Tali promesse di pagamento venivano poi utilizzate anche quando i clienti si rivolgevano a questi liberi professionisti solo per ottenere un prestito in danaro.
E dal momento che i banchieri medioevali (c.d. orafi) sapevano bene che solo una bassissima percentuale di creditori sarebbe tornata a riscattare materialmente il valore dei propri titoli cartacei, cominciarono a vendere contro interesse note di credito non garantite da nessun patrimonio effettivamente posseduto.
Con questo sistema i banchieri medioevali potevano prestare impunemente il denaro molte volte in più di quanto avrebbero potuto effettivamente. La prima conseguenza dell’uso di questa tecnica fu la messa in circolazione di molto denaro in forma cartacea che non rispecchiava affatto l’effettiva riserva aurifera disponibile. Ma mentre gli orafi creditori prestavano denaro non garantito, i loro debitori erano chiamati a pagare interessi e debiti che divenivano reali per vincoli di legge. E così alla fine accadeva che questi speculatori risultavano creditori di somme ben maggiori di quelle di cui poteva effettivamente disporre l’intera cittadina. Una situazione che vide spesso i cittadini ricorrere sempre a nuovi prestiti di carta moneta per coprire i propri investimenti innescando il dirottamento della ricchezze della città all’interno dei forzieri degli orafi mentre la popolazione si copriva gradualmente di debiti.
Gli economisti, oggi, intendono per signoraggio i redditi che la banca centrale e lo stato ottengono grazie alla possibilità di ricreare base monetaria in condizioni di monopolio. In quest’ottica questi ritengono che le origini del fenomeno risalgano al 27 maggio del 1694 con la nascita della prima banca centrale al mondo: la Old Lady of Threadneedle Street, meglio conosciuta come Banca d’Inghilterra fondata (su autorizzazione del sovrano protestante Guglielmo terzo d’Orange), dal banchiere massone e londinese William Poterson. La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al governo; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a batter moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in forma di banconote. Con queste banconote essa poteva scontare cambiali, concedere anticipi su merci e acquistare metalli nobili.
Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta con cui la Banca faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico.
A poco a poco essa divenne inevitabilmente il serbatoio dei tesori metallici del Paese e il centro di gravitazione di tutto il credito commerciale.
La banca di Poterson si trovava quindi, oltre ad essere proprietaria di un capitale sul quale percepiva gli interessi, a disporre di una massa monetaria fittizia non corrispondente a nessuna ricchezza reale, con la quale intraprendere fruttuose operazioni finanziarie o concedere prestiti sui quali percepire altri interessi.
L’esempio inglese, nei secoli successivi, è seguito da tutti i governi del mondo, fino alla situazione attuale, in cui nessun popolo è proprietario della moneta che utilizza, e dove tutti sono debitori delle banche private che battono moneta. Nella memorabile sentenza di Poterson: “La banca trae beneficio dall’interesse che pretende su tutta la moneta che crea dal nulla” vi è racchiuso il nucleo ideologico del significato di signoraggio sulla moneta.
È, quindi, a partire da tale data che i governi hanno rinunciato alla loro sovranità economica ed il potere di emettere moneta sarà delegato ad una banca privata.
Così gli accordi di Bretton Woods, (culla ideologica della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale), hanno segnato l’incipit di un rinnovato e attualizzato sistema di controllo da parte delle trionfanti forze della finanza mondialista sull’economia reale delle singole nazioni attraverso l’imposizione del dollaro come moneta internazionale e come riserva valutaria di tutte le banche centrali.
A tali istituti privati tutti al servizio delle principali banche d’affari internazionali fa capo il signoraggio sulla moneta, vale a dire il diritto di battere moneta per conto dello Stato, al quale sarà poi prestata dietro pagamento di un interesse. Da tale “cilindro magico” scaturisce il cosiddetto debito pubblico; in altre parole il conquibus che ogni cittadino-lavoratore-suddito deve pagare alla banca centrale del proprio paese per utilizzare la moneta coniata dai banchieri privati. Per chiudere, veniamo ai giorni nostri, dove in nome del Dio Mercato e del profitto estremo si stanno smantellando tutte le conquiste sociali del secolo passato: dal posto di lavoro stabile e duraturo al diritto di sciopero, dalla salvaguardia del potere d’acquisto per stipendi e pensioni allo stravolgimento del sistema previdenziale e sanitario; dall’attacco sistematico e concentrico alla contrattazione nazionale all’imposizione di contratti individuali; dalla “riforma” delle retribuzioni, sempre più relegate nella spirale perversa della produttività senza limiti alla contrazione dei diritti personali e sindacali; dalla criminale restrizione del credito (vedi Basilea 2) alle piccole e medie imprese, all’artigianato e al commercio, con conseguente aumento della disoccupazione, al sempre più massiccio ricorso al lavoro sottopagato o in nero. E’ tempo che i popoli la smettano di farsi prendere in giro e riprendano finalmente coscienza che non si può morire né per Maastricht né per i banksters.
Due secoli fa Honoré de Balzac, nel suo famoso romanzo Grandeur et décadence de César Birotteau, affermava: “Non è scandaloso che alcuni banchieri siano finiti in prigione; scandaloso è che tutti gli altri siano in libertà”.