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Le alleanze di Ahmadinejad a Beirut

di René Naba - 28/10/2010

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“Loro sono grandi solo perché noi siamo in ginocchio”
Etienne de La Béotie
(Discours sur la servitude volontarie 1548)


Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad (nelle foto con Saas Hariri) ha effettuato il 13 e il 14 ottobre una visita ufficiale in Libano e questo rappresenta già, al di là di ogni altra  considerazione, una dimostrazione ecclatante del posto ormai occupato dall’Iran in questa ex riserva di caccia dell’Occidente,  figlio prediletto della Francia.
Per la risonanza psicologica, la portata simbolica e la mobilitazione popolare, questo primo viaggio del presidente iraniano in Libano a partire dalle imprese militari del popolo sciita cioè gli Hezbollah libanesi nel luglio 2006 contro Israele, è assimilabile (considerate le proporzioni)  alla visita del leader della lotta nazionalista araba, il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser in Algeria in seguito all’indipendenza di questo paese dopo la guerra di liberazione nazionale condotta contro la Francia nel luglio 1962.
In un clima elettrizzato dalle minacce israeliane ad hominem formulate a scopo dissuasivo contro di lui, la presenza del presidente iraniano in questo paese cardine per il confronto arabo israeliano, (chi più di Beirut è feudo per eccellenza del gruppo saudita degli Hariri) si configura come un atto di spavalderia e nello stesso tempo di coraggio nei confronti di Israele e dei paesi occidentali sullo sfondo dei rumori del giogo sia nel Golfo che in Libano  sovrapposta all’esasperante  dibattito sulla questione nucleare iraniana, circa una possibile criminalizzazione di Hezbollah nell’inchiesta  internazionale sull’assassinio di Rafic Hariri e il persistere del blocco per la risoluzione  della questione palestinese.
Il Libano, che si è astenuto l’estate scorsa durante il voto delle nuove sanzioni contro l’Iran del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha voluto compensare la sua passività nei confronti del voto dell’ONU con questa visita ufficiale come gratitudine verso un paese che ha fornito un’importante contributo alla riconquista del territorio nazionale, attraverso gli Hezbollah e alla restaurazione urbana del Libano del sud, danneggiato dall’aviazione israeliana.
Due momenti forti
hanno segnato il soggiorno libanese di M.Ahmadinejad
L’incontro tanto atteso con il leader carismatico di Hezbollah Hassan Nasrallah, uomo che ha stordito gli Occidentali e gli Israeliani con il suo raro palmares politico e militare nel mondo arabo, è la carta vincente del tandem siro iraniano nel suo braccio di ferro con gli avversari.
I due uomini sono apparsi insieme in una manifestazione popolare alla periferia  sud di Beirut in una cerimonia per il doppio omaggio dedicato  all’Iran per il suo contributo alla liberazione del territorio libanese e  alla riedificazione dei villaggi distrutti  dagli Israeliani fatta dall’Iran per il Libano le cui imprese militari hanno enormemente allargato il  margine di manovra nei confronti dell’Occidente e degli Israeliani.
Il  viaggio si è svolto nel sud del Libano, nella regione di confine libano israeliana, zona di concentrazione della popolazione sciita e teatro di gloriosi episodi militari del movimento nei confronti di Israele.
Il presidente iraniano ha visitato due località che si sono particolarmente distinte per la loro resistenza contro l’offensiva israeliana nella fase finale del conflitto nel luglio 2006.
In pieno dibattito sulla strategia militare libanese e sulla politica per l’acquisto di armi, Ahmadinejad ha intenso riaffermare con la sua presenza fisica sul campo di battaglia, il vigore della strategia della resistenza all’egemonia israelo saudo americano nella zona.
Sfidando il  nemico che lo minaccia di vetrificazione e ridendosela del cessante sorvolo dell’aviazione israeliana nello spazio aereo libanese, il presidente Ahmadinejad si è recato nell’istmo estremo del Libano Meridionale, a Maroun el Ras, la mitica borgata  di Israele  mettendosi ostentatamente a portata di voce dello Stato Ebraico, nel luogo chiamato “la porta di Fatima” nella ex zona di spiegamento e di infiltrazione degli ausiliari dell’esercito dissidente dei generali Saad Haddad e Antoine Lahad. Lì   ha pronunciato il più importante discorso di politica internazionale da dopo Bint Jbeil e  questa è apparsa come una dimostrazione di forza contro le azioni d’intimidazione di Israele e del suo alleato americano.
Bint Jbeil rivendica infatti la rara impresa d’aver fatto fuori una quarantina di soldati israeliani in due momenti diversi, durante i confronti libano israeliani. Nel 2006 una decina di soldati israeliani erano stati uccisi nell’ultima controffensiva che precedeva il cessate il fuoco.
Nel 1982, una trentina di soldati israeliani erano morti sotto le macerie del Posto Comando Israeliano fatto esplodere da un commando suicida.
Luogo sensibile della resistenza Libanese, la scelta del villaggio non è stata affatto banale. Traduce la volontà dell’Iran di rendere onore “alla scelta delle armi”, di salutare i vincitori degli Israeliani, rendendo omaggio al coraggio dei suoi difensori, 28 anni dopo l’esplosione del PC Israeliano durante l’invasione israeliana del Libano nel 1982.
Iniziatore dei primi attentati suicida in Libano, con conseguenze molto sanguinose per le forze occidentali e israeliane che operavano nel paese, l’attacco contro il PC Israeliano nei primi giorni dell’invasione nel giugno 1982 aveva decapitato il comando delle forze d’assalto uccidendo il comandante del battaglione israeliano nel Libano del Sud e una trentina di collaboratori e ritardando la loro invasione verso Beirut.
L’Iran ha fornito assistenza finanziaria per quasi un miliardo di dollari per il ripristino della periferia sud di Beirut, roccaforte di Hezbollah,dove quasi 250 edifici erano stati distrutti dall’aviazione israeliana nel luglio 2006 ed ha assicurato la riqualificazione urbana di Maroun ar Rass e l’asfaltatura della strada di confine che collega la borgata cristiana di Marjeyoun a Nakoura, il posto di frontiera libano israeliano che rende più scorrevole la circolazione in questa zona scoscesa.
L’Iran dovrebbe  anche stanziare al Libano un prestito a lungo termine a basso tasso d’interesse, per il valore di 450 milioni di dollari, nel quadro di un accordo di cooperazione nel settore energetico che mira a sopperire la scarsità  di energia elettrica, in un paese governato da quasi vent’anni dal clan Hariri e il cui debito pubblico è sull’ordine dei cinquanta miliardi(50) di dollari.
La visita di M.Ahmadinejad nel Libano è la prima di un presidente iraniano dai tempi di Mohammed Khatami, nel maggio 2003.
Nel corso di questa visita avvenuta in seguito alla caduta di Bagdad,  il presidente riformista iraniano aveva formulato la strategia iraniana che mirava ad affrontare la sottomissione del Medio Oriente all’ordine israelo americano attraverso la messa in opera di un cordone sanitario formato da un quartetto  composto da quattro paesi (Iran, Siria, Libano Hezbollah e Palestina di Hamas) designato per la definizione di una costellazione denominata”Douwal al Moumanaha”, un sistema di pre allerta costituito da paesi che si battono contro il virus della sottomissione.
Preceduta da un’importante dimostrazione di forza delle relazioni siro iraniane caratterizzate da due picchi: Bachar el Asad e Ahmadinejad- il 13 settembre a Damasco e il 2 ottobre a Teheran- la presenza di Ahmadinejad a Beirut costituisce anche una replica alla crescente tensione nel Golfo dopo l’annuncio di un importante contratto di armamento tra gli Stati Uniti e le petromonarchie dell’ordine di 123 miliardi di dollari a quattro paesi (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Sultanato dell’Oman) che mira a rinforzare la loro capacità difensiva nei confronti dell’Iran.
Descritta come una “provocazione” da parte degli Stati Uniti, essa opera in un momento in cui  il governo filo occidentale di Saad Hariri sembrava sulla difensiva a causa delle rivelazioni di campo antioccidentale in Libano sull’infiltrazione di sobillatori israeliani nella rete libanese delle telecomunicazioni e sulle disfunzioni del Tribunale Speciale in Libano derivanti dalla presenza di falsi testimoni nell’inchiesta sull’assasinio dell’ex primo ministro.
La Siria e l’Arabia Saudita si sono fatte garanti della stabilità in Libano nel corso di una visita congiunta con il Re Abdallah d’Arabia e il presidente siriano Bachar al Assad a fine luglio (in Libano), che ha siglato  un tacito accordo tra i due paesi arabi, a lungo rivali.
Questo accordo ha portato alla neutralizzazione del Tribunale speciale sul Libano in cambio di tutela da parte siriana della leadership degli Hariri sulla comunità sunnita del Libano e quindi la sua preminenza governativa su altre famiglie sunnite libanesi che aspirano alle stesse responsabilità.
Il primo ministro libanese ha ammesso a fine agosto, che il Tribunale Speciale sul Libano incaricato di determinare le responsabilità nell’assassinio di suo padre, era stato spinto da motivazioni politiche e che la presenza di falsi testimoni nella fase preliminare dell’inchiesta aveva nuociuto al suo buon andamento. Ma il capo del clan saudita americano in Libano non è riuscito a trarre le conseguenze da questa ammissione  come nel caso del perseguimento dei falsi testimoni  in assenza o in mancanza di un’implicazione per ottenere almeno il riesame del funzionamento dell’istituzione internazionale.
Di fronte a questi indugi, la Siria ha lanciato un mandato d’arresto in contumacia contro 33 persone  che comprendeva  le guardie del corpo di Saad Hariri, che avevano partecipato alla campagna  che screditava questo caso.
L’Arabia Saudita, il miglior alleato Arabo degli Stati Uniti, il principale finanziatore dei suoi gruppi militari nella sfera arabo musulmana, il più grande cliente della sua industria d’armamento non sarebbe riuscito ad ammorbidire la posizione americana sul Tribunale speciale sul Libano il cui atto d’accusa avrebbe dovuto esser pubblicato nell’autunno del 2010.
L’appoggio arabo all’invasione americana dell’Iraq e alla “destabilizzazione costruttiva”del Libano secondo lo schema e gli slogan della ditta pubblicitaria americana “Saatchi e Saatchi”stimolata dal Dipartimento di Stato , l’Arabia Saudita potrebbe essere la grande perdente nella caduta del regime baathista iraqeno e nelle imprese militari degli Hezbollah libanesi conseguenza dell’infelice scommessa del regno  sulla politica neoconservatrice americana.
In mancanza di una compensazione politica da parte della Siria e dell’Iran in Iraq, un paese che gli è confinante, (con l’effetto di dargli qualche credito) il regno potrebbe difficilmente incitare il puledro libanese ad una maggiore flessibilità nella prova di forza che si attua in Libano a rischio di subire un’umiliazione supplementare a livello di leadership sunnita libanese.
Ma il comportamento dilatorio del clan Hariri sulla responsabilità del versante filo occidentale nella strumentalizzazione della giustizia penale internazionale per il mantenimento della sua leadreship fa pesare per contraccolpo un rischio sulla longevità del governo Saad Hariri con l’effetto di trascinare il Libano in un nuovo ciclo di  violenze.
La coalizione filo occidentale, specialmente l’allora primo ministro Fouad Siniora , aveva accolto a bracci aperte con grandi slanci il segretario di stato americano Condoleeza Rice nel luglio 2006 a Beirut durante un bombardamento israeliano che stava distruggendo le infrastrutture libanesi. Quella volta la Rice aveva emesso delle “riserve” concernenti la visita del presidente iraniano , maggior alleato di Hezbollah , l’artigiano della liberazione del territorio nazionale.
Dal suo accesso al potere Saad Hariri a ripreso per sei volte la strada di Damasco nei suoi incontri con i dirigenti siriani ma questa è stata la prima volta che l’uomo fedele dei neo conservatori sauditi in Libano ha incontrato il capofila della corrente rivoluzionaria sciita mentre i contatti con Damasco sono praticamente in stallo dopo il lancio, il 3 ottobre, dei mandati d’arresto internazionali contro i principali collaboratori politici  e militari del primo ministro libanese per il  loro coinvolgimento nella produzione di “falsi testimoni” nel processo Hariri.
Paesi confinanti con l’Iraq e con l’Afghanistan, i due punti focali più importanti dell’esercito americano contemporaneo che confinano sia con l’intero Golfo Persico come con l’Oceano Indiano, l’Iran presenta una delle più forti concentrazioni industriali della zona intermedia che và dal sud dell’Europa fino ai confini con l’India. La riuscita della sua strategia di autosufficienza tecnologica e militare valorizzerebbe il suo peso regionale tanto quanto un successo politico o militare di Hezbollah sciita libanese o di Hamas sunnita palestinese, riabiliterebbero lo spirito di resistenza
nei riguardi della finlandizzazione degli spiriti in corso nei paesi arabi al fine di riabilitare la guerriglia criminalizzata sotto l’era Bush con il pretesto della”guerra contro il  terrorismo”.
Il successo iraniano nella zona farebbe anche perdere   ad Israele il suo status di maggior intermediario strategico  per l’Occidente e colpirebbe la decrepitezza dell’opzione araba di sottomissione all’ordine israelo americano  determinando la nuova gerarchia delle potenze nell’ordine regionale. Questa è la vera posta in gioco, sicuramente la più importante per la sua forza d’attrazione  simbolica nel confronto irano israeliano di cui il Libano ne rappresenta il conseguente teatro.

di: René Naba - Trad. Stella Bianchi - mondialisation.ca