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Scambio Shalit-Barghouti, bluff o realta?

di Marco Di Donato* - 29/10/2010






Per l'ennesima volta il caporale israeliano Gilad Shalit torna ad essere il centro dell'attenzione mediatica internazionale. Le voci di una sua possibile liberazione (nell’ambito di uno scambio con il leader di fatah Marwan Barghouthi) torna ad accendere le speranze della famiglia, che dal 2006 attende il suo ritorno a casa. Sorge però spontaneo domandarsi se ci si trovi dinanzi all'ennesimo bluff o finalmente dinanzi alla risoluzione del caso.

Da quattro anni Hamas e il governo israeliano provano a giungere ad un compromesso che porti alla liberazione del soldato catturato nel 2006. Il movimento islamico chiede in cambio la scarcerazione di mille prigionieri, tra cui alcuni elementi di spicco della resistenza palestinese. Una richiesta che l'esecutivo Netanyahu ha sempre respinto al mittente.

Se le richieste - come sembra confermato dalle ultime indiscrezioni - restano invariate, perché allora questa nuova indiscrezione? Perché, sempre secondo la stampa saudita, il premier israeliano avrebbe addirittura accettato di liberare un leader come Barghouthi, consapevole che quest'ultimo finirebbe inevitabilmente per oscurare la già fragile leadership di Abu Mazen, il suo interlocutore nel rilanciato processo di pace?

Secondo l'agenzia di stampa palestinese Ma'an, liberando Barghouthi Israele si rifiuterebbe conseguentemente di procedere alla scarcerazione di altri nominativi presenti nella lista dei mille.

Ma questo non può bastare a dissipare ogni dubbio. Né basta a spiegare perché, nel pieno delle trattative di pace, Israele dovrebbe accettare di scarcerare, dopo anni di detenzione, forse l'unico uomo politico palestinese in grado di soppiantare Abu Mazen e di portare a compimento il processo di riconciliazione nazionale fra Hamas e Fatah.

Certamente la liberazione del leader di Fatah rimescolerebbe le carte all'interno del tavolo delle trattative di pace. Probabilmente il suo carisma permetterebbe al fronte palestinese di ricompattarsi, anche perché è stato proprio Hamas a chiedere a più riprese la sua liberazione insieme ad altri leader politici del calibro di Ahmad Sadat e Raed Salah.

In sostanza, secondo quanto appena detto, non si riesce a capire cosa ci guadagnerebbe Netanyahu da questo scambio, né come riuscirebbe a far digerire alla propria opinione pubblica uno scambio così sproporzionato e soprattutto negoziato con un movimento che in Israele è considerato terroristico.

Ancora, come farà a convincere della bontà delle proprie idee il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il cui movimento politico di destra (Israel Beitenu) non appare minimamente intenzionato a trattare con Hamas? Non va dimenticato che, secondo gli ultimi sondaggi, se oggi si votasse a in Israele Israel Beitenu riceverebbe 21 dei 120 della Knesset. Un peso politico di fronte al quale non si può rimanere indifferenti.

Tutte domande alle quali, francamente, non si può oggi dare una risposta, ma che almeno ci permettono di avere un quadro più chiaro della situazione. Anche perché Israele un primo successo lo ha già ottenuto. Dopo i primi fastosi annunci della Casa Bianca, dopo le prime strette di mano, oggi la stampa internazionale torna ad occuparsi di Shalit, mettendo nel cassetto le tanto declamate trattative di pace inaugurate a Washington e anche la ripresa dei lavori nelle colonie della Cisgiordania.

La liberazione di Shalit resta dunque legata agli umori politici della regione, ma soprattutto di Israele. Per comprendere se e quando verrà liberato bisognerà capire quali sono i reali obiettivi politici di Israele. La posizione di Hamas è ben differente in quanto uno scambio rappresenterebbe comunque un successo.

* per Osservatorio Iraq