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Biodiversità, il nuovo patto

di Simone Celli - 02/11/2010




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NATURA. Accordo raggiunto alla Convenzione Onu di Nagoya: saranno protetti il 17% delle terre e il 10% dei mari. I delegati hanno trovato un’intesa anche sull’accesso e sulla condivisione delle risorse genetiche.
In Giappone si vola basso, ma si entra comunque nella storia. Alla Convenzione Onu sulla biodiversità di Nagoya è stato raggiunto un accordo per il futuro dell’ambiente. I 193 delegati hanno trovato un punto d’incontro per la protezione di almeno il 17% delle aree di terra e del 10% degli oceani. L’ultimatum? Per il 2020. Un progetto che, alla luce delle percentuali, potrebbe sembrare di basso profilo. Ma gli ambientalisti esultano, e lo definiscono un risultato storico. Sarà che è ancora caldo lo smacco di Copenaghen, dove meno di un anno fa si era parlato tanto di riscaldamento globale ma senza concludere nulla. Sarà che c’è già tanta voglia di guardare oltre il protocollo di Kyoto.
 
Quel che è certo è che si riparte, e che lo si fa ancora dal Giappone, con un accordo che apre la strada all’imminente vertice di Cancun. Le associazioni “green” hanno espresso tutta la loro soddisfazione. A detta di Russ Mittermeier, presidente di “Conservation International”, si tratta di «un successo, un grande traguardo globale». Nel nuovo patto per la biodiversità, il direttore generale di “Wwf International” James Leape vede invece «un forte messaggio, a dimostrazione che la protezione della salute del pianeta ha un suo posto nella politica internazionale, e che i paesi devono unire le forze per salvare la Terra».
 
La “undici giorni” di Nagoya si è chiusa in bellezza, ma già alla vigilia della fine dei lavori c’era il sentore che si sarebbe arrivati a un risultato importante. Due giorni fa, il Wwf Italia aveva fatto sapere che qualcosa si stava muovendo. «Un raggio di responsabilità e di sapienza sembra avere illuminato i delegati, perché – avevano detto dall’associazione - in “zona cesarini” sembra che finalmente sia stato raggiunto un accordo politico sul protocollo Abs». Trattasi di un’intesa sull’accesso e la condivisione dei benefici derivati dalle risorse genetiche, tappa cruciale per arrivare a una pianificazione concreta a favore della varietà e della coesistenza delle specie. Il nodo più difficile da sciogliere era proprio quello di convincere a collaborare i paesi in via di sviluppo, spesso depredati delle loro risorse. Fondamentale è stato il contributo dei padroni di casa. Il Giappone ha infatti annunciato lo stanziamento di due miliardi di dollari in tre anni per aiutare i paesi in questione nella tutela della biodiversità. Da tutti gli altri, per ora, soltanto la promessa di trovare i finanziamenti necessari.
 
Che la firma del protocollo Abs fosse il primo passo da fare l’aveva detto anche il presidente di Wwf Italia Stefano Leoni. «Se la decisione venisse ratificata in queste ore, è facile che si trascini dietro altri importanti risultati, tra cui il più importante. Vale a dire – aveva dichiarato il numero uno dell’associazione - l’approvazione definitiva di un piano di azione globale concreto ed efficace, con scadenza nel 2020, per la conservazione della biodiversità nel pianeta». Negli ultimi giorni, infatti, molte nazioni avevano fatto sapere che senza aver prima raggiunto un’intesa sulla condivisione delle risorse genetiche non si sarebbe mai arrivati a un accordo finale.
 
Detto fatto. Il patto è stato messi agli atti, e gli occhi sono già tutti puntati su Cancun. L’inizio dei lavori è fissato per il prossimo 29 novembre, e il governo italiano già mette le mani avanti. Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo ha dichiarato che «lo scorso anno, in vista della Conferenza di Copenaghen, l’Europa ha costretto l’Italia al “Pacchetto clima-energia 20-20-20” che avrebbe dovuto convincere Stati Uniti, Cina, India e resto del mondo a siglare un accordo globale». Una prospettiva che poi non è diventata realtà. Così, a margine del Consiglio europeo di Bruxelles di ieri mattina, il premier Berlusconi ha preannunciato che «ci impegneremo a spendere e a gravare le nostre aziende di queste spese soltanto se anche gli altri paesi lo faranno insieme a noi».