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Henry Thoreau e l'arte di vivere secondo onestà

di Gianfranco Franchi - 03/11/2010

 

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In libreria la raccolta delle lettere del padre della "disobbedienza civile" al suo discepolo Harrison Blake: un dialogo sulla ricerca di sé

Ventisette lettere scritte dal padre della "disobbedienza civile" al suo primo discepolo, Harrison Blake, nell'arco di tredici anni: argomento principe, i consigli per il cammino spirituale di un giovane che sente di trovarsi a «tremare sull'orlo» del suo sentiero di ricerca. Un giovane che ha compreso che il senso della vita è «semplicemente, essere» ma non trova ancora la forza di essere fedele a questo principio, per vivere una vita semplice nel nome di Dio. «Blake! Blake! Are you awake?», scriveva Thoreau nel dicembre 1856, dalla cittadina di Concord. «Blake! Blake! Siete sveglio? Vi rendete conto qual mattino sempre radioso sia questo? Quale opportunità a lungo attesa, che mai più si ripeterà, venga ora offerta per ottenere vita e conoscenza?».

Il risveglio forse non è avvenuto mai - ma il richiamo alla lucidità, e al presente, è rimasto vivo ancora adesso. Se tremi sull'orlo. Lettere a un cercatore di sé (Donzelli, 180 pp., euro 16) è stato appena pubblicato a cura di Stefano Paolucci, in un'edizione completa d'una lettera del curatore italiano all'amico Henry Thoreau.

È una lettera che gronda sentimento e umanità: una stravaganza ben controbilanciata dalla buona introduzione di Paolucci, "Quando due anime corrispondono", che va a contestualizzare con precisione e chiarezza il rapporto tra i due protagonisti dell'epistolario, sin qui inedito in Italia. È un epistolario giunto mutilo d'una delle due voci, quella dello sconosciuto Harrison Blake: l'unica sua lettera che ci è pervenuta è pubblicata, con apprezzabile sensibilità, in ouverture. Come da tradizione antica, c'è più di qualche scritto che sembra destinato più a una lettura pubblica che a un lettore soltanto. E come ci si potrebbe attendere, non mancano tutta una serie di riferimenti alla quotidianità dell'epoca e dei due intellettuali che non rivestono sempre particolare interesse. Tuttavia, come prevedibile, quando Thoreau sale in cattedra si leggono parole che rimangono impresse, a fuoco. Succede. Scriveva Thoreau: «Io sono semplicemente quel che sono, ovvero incomincio a esserlo. Io vivo nel presente. Il passato posso solo ricordarlo - e il futuro anticiparlo». E sapeva che l'uomo che osa, per prima cosa, essere, non può essere debole. Scriveva Thoreau che dobbiamo essere veritieri, sempre: tenendo tuttavia presente che essere veritieri non basta. Dobbiamo infatti «nutrire e adempiere alti scopi per i quali essere veritieri». Dobbiamo difendere la nostra anima. E intanto, «che un uomo passi la giornata nell'estasi o nello sconforto, egli deve compiere qualche opera che lo testimoni, proprio come la carne e le ossa testimoniano di lui», leggiamo nella lettera "Molto fare per un po' di essere". Mi sembra un saggio indirizzo. Condividiamolo. Il filosofo sosteneva che la nostra rispettabile vita quotidiana, nella quale siamo così ben piantati, e sulla quale le nostre istituzioni sono fondate, svanirà «come l'edificio senza basi di una visione». È un pensiero confortante, in un periodo di passaggio come questo. Solleva dall'angoscia di perdere qualcosa che è tutt'altro che originario. Thoreau consiglia di non leggere i giornali, ma di badare all'eternità. Forse perché, come scrive nella Lettera 23, «riguardo ai fatti essenziali, io non ho mai avuto ragione di cambiare idea. L'aspetto del mondo varia di anno in anno, come il paesaggio si veste in modo diverso, ma io trovo che la verità è ancora vera, e non recrimino mai alcuna enfasi che essa possa aver suscitato». Ma intanto, mentre meditiamo sulle cose della vita, e sul senso profondo dell'esistenza, come guadagnarci il pane? Thoreau suggerisce di non accontentarsi di guadagnarlo in modo «grossolano, incurante e frettoloso». Va guadagnato con onestà e sincerità, va cercato con tutto il cuore e con tutte le forze. In quel caso, una volta guadagnato, ne basta poco: ma sa essere estremamente nutriente. Non basta essere laboriosi: dipende da qual è l'attività per cui si è così laboriosi. Era Gesù, nel Discorso della Montagna, a ricordare che la vita vale più del cibo, e il corpo più del vestito (Matteo VI, 25-34). Il filosofo americano scrive che non vorrebbe dare «nessuna parte della sua vita» in cambio di denaro. Il curatore, Paolucci, crede stia echeggiando Marco VIII, 36-37: «Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?» - la risposta tutti la conosciamo. Niente.

Eppure è come se ogni giorno rischiassimo di dimenticarla. Questo è un po' angosciante. Henry David Thoreau ripete d'essere grato e riconoscente per tutto quel che è e che ha, e ama ricordarci che il suo ringraziamento non conosce fine. Il gran sodale di Emerson trova sorprendente accorgersi che è possibile essere soddisfatti di niente di definito, soltanto di una «sensazione di esistenza»: tuttavia così è, e il solo pensiero è rigenerante.