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L'uomo del dopo Cristo

di Gianni Petrosillo - 05/11/2010


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Marchionne dice di essere l’uomo del dopo cristo, il manager con le stimmate della globalizzazione, il martire industriale che si carica addosso la croce della modernizzazione in un paese fermo al tempo della pietra e alle processioni religiose dei sindacati.
Per uscire da questo stato di primitivismo ancestrale l’Italia dovrebbe essere più concreta e concedersi meno riti tribal-ideologici. Insomma, inutile precisare a quale benefattore dovrebbe affidarsi la nazione per oltrepassare il guado. Ovviamente a lui, il pigmalione col maglione blu, individuo proiettato nel nuovo millennio che non si fa irretire dai condizionamenti e dai pregiudizi di questa Italietta arretrata e stanca.
Bene, al signor “sottuttoio”, pluririconosciuto problem solver della grande impresa manifatturiera che fin qui ha dato lezioni di pragmaticità al mondo intero, non sarà sfuggito però che, secondo la Federauto, in ottobre, il suo gruppo ha subito un calo delle vendite del 39,5%, molto al di sopra della media dei competitors esteri di Torino, i quali sono sì caduti ma del 29%. Eppure se i macinini Fiat rappresentano le cenerentole del settore automotive ci sarà una ragione. Colpa degli operai trogloditi e rissosi delle fabbriche italiane? Oppure della Fiom che spinge le maestranze in un’ottica conflittuale da era Before Christ? O ancora, della vetustà delle relazioni industriali del nostro sistema produttivo? O più semplicemente della malasorte? Non diciamo amenità. La verità è che in Fiat impastano progetti senza respiro, promettono investimenti che non fanno ed esitano prodotti che i consumatori non si filano nemmeno di striscio. Come ha esplicitato anche Bankomat sul sito Dagospia: “La Fiat non vende e quindi perde soldi perché non sa progettare e vendere. Punto. Le questioni sindacali sono un problema del tutto diverso e forse minore, con il quale si vuole coprire una disfatta del management”. E di questa dirigenza incapace Marchionne è il più alto in grado, quindi il primo implicato nella debacle del marchio. Ma il Ceo italo-svizzero-canadese ha dei protettori in ambito internazionale i quali alimentano la favola del semi-dio in grado di moltiplicare i pani e i pesci e far risuscitare i ferri arrugginiti di un’epoca industriale ormai al tramonto. Marchionne, infatti, oltre ad aver ricevuto da Obama una bella iniezione di fiducia a suon di dollaroni dei contribuenti americani (ai quali vanno a sommarsi i versamenti in euro dei cittadini italiani, che però non sono tenuti in altrettanta considerazione) si è insinuato nei circoli dominanti che contano e da questi ha ottenuto protezione e comprensione. Costui è presidente dell’associazione Italia-Usa e gode di ampio credito tra le agenzie di rating e le merchant bank che lo trattano con i guanti bianchi, nonostante la situazione catastrofica della sua compagnia.
Per esempio, la Goldman Sachs che, a dispetto degli ultimi bollettini di guerra del mercato automobilistico dove la Fiat è stata colpita quasi a morte, ha rialzato il prezzo obiettivo della casa piemontese da 17 a 21 euro, mentre il titolo viene scambiato a Piazza Affari a 12. Roba che nemmeno in una fase di prosperità generalizzata sarebbe stata credibile. Figurarsi in un momento in cui la crisi finanziaria sta azzannando persino le piazze dove vengono scambiati i titoli dei settori di punta. Mr.
Chrysler
non avrà tessere ed etichette politiche (cosa peraltro da discutere approfonditamente visti i suoi rapporti idilliaci con l’establishment Usa) ma dagli ambienti della sofisticazione finanziaria mondiale sta ricevendo distintivi e lasciapassare che gli aprono tutte le porte, soprattutto quelle del credito. Sarà per questo che lo definiscono un mago, a lui basta un abracadabra per convincere le banche e i governi della bontà dei suoi progetti.