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Rinascita nucleare: anche in America scaricano Edf

di Andrea Bertaglio - 08/11/2010



Un futuro nucleare francese per l’economia del Maryland sembra rimandato: le centrali “made in France” costano troppo, l’America non se le può più permettere. Sono impianti come quelli su cui si baserebbe il ritorno al nucleare dell’Italia, contro cui sta crescendo la mobilitazione popolare. Edf, il colosso francese dell’energia, è alleato strategico di Enel nel “programma nucleare” del governo italiano. L’azienda transalpina è impegnata anche oltreoceano nel rilancio dell’atomo di nuova generazione, ma è stato appena “scaricato” dal Constellation Energy Group, con il quale avrebbe dovuto costruire il terzo reattore della centrale di Calvert Cliffs. Le cause? Gli eccessivi costi, inclusi quelli di gestione. Che, associati alle bassissime garanzie offerte dai federal loan del governo Obama (ora occupato da ben altri grattacapi dopo le elezioni di medio termine) ha spinto la compagnia americana ad abbandonare i francesi, privandoli di qualunque supporto statale.

Uniti nella joint venture UniStar Nuclear Energy, Energie de France e Constellation con il progetto Calvert Cliffs 3 avrebbero dovuto “guidare la crescita dell’economia del Maryland“. Un “sogno” che Michael Wallace, Presidente del consiglio di amministrazione del gruppo di Baltimora, ha affermato di continuare a condividere con gli ex partner di Parigi, “nonostante il disaccordo fra le due compagnie”. Sarà, ma ora a Edf non resta che trovare un altro partner per affrontare e portare avanti questo progetto da 9,6 miliardi di dollari, vista la legge federale che proibisce la proprietà o il controllo di una centrale nucleare statunitense da parte di un’entità straniera.

Secondo gli analisti di Macquarie Securities, la rinuncia di Constellation è stato un duro colpo per la strategia nucleare di Edf negli Stati Uniti, e mette seriamente in dubbio la sua ambizione di “rinascita nucleare” nel Paese che sta forse soffrendo più di ogni altro la crisi dei mercati globali. Quello che doveva essere il primo di una serie di reattori di nuova generazione, ovvero un affare multimilionario, si è quindi trasformato nell’ennesimo incubo per Edf, che si va ad aggiungere a quelli dovuti agli enormi ritardi e aumenti dei costi dei due Epr (acronimo di European Pressurized Reactor, “reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata”) in cantiere nel vecchio continente, ossia quelli di Olkiluoto in Finlandia e di Flamanville in Francia.

Tempi bui per il più importante costruttore di centrali nucleari del mondo, la cui unica speranza sembrerebbe ormai l’Italia, Paese in cui si continua, nonostante tutto, a promuovere un improbabile ritorno all’atomo. Un’ulteriore conferma ne è stata un recente dossier commissionato proprio da Edf ed Enel alla European House Ambrosetti, un “Centro studi e consulenze d’impresa per le alte direzioni” autore delle trecento pagine di propaganda nuclearista in cui la presenza bipartisan di nomi come Maurizio Lupi (Pdl), Nicola Rossi (Pd, noto per essere il maggiore consigliere di Massimo D’Alema), Carlo Rossella, Ferruccio De Bortoli (direttore del Corriere della Sera) e ovviamente Umberto Veronesi, ha confermato lo spirito ormai largamente condiviso di questo tipo di iniziative.

Nonostante ciò, viene da chiedersi come sarà possibile rilanciare la produzione di energia atomica in Italia, se persino nei già nuclearizzati Stati Uniti d’America risulta essere un’impresa tanto ardua. Se anche compagnie americane da tempo nel business dell’atomo e con i mezzi della Constellation Energy Group non vedono un buon affare nel “rinascimento nucleare”, decidendo di abbandonare l’idea degli EPR di nuova generazione, sembra poco plausibile che ENEL, per quanto supportata dal governo e da buona parte dell’opposizione, possa riuscire in questo intento.

In caso di rinuncia, ci sarebbe il problema di risarcire con altro denaro pubblico le varie lobby deluse: probabilmente il minore dei mali, visto che non solo gli ambientalisti ma anche molte Regioni – inclusa la “locomotiva” Lombardia – non sono così propense ad accogliere installazioni atomiche sul proprio territorio. “La Lombardia non ha bisogno di centrali nucleari, dato che la regione ha quasi raggiunto l’autosufficienza energetica“, risponde il presidente Roberto Formigoni al ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani. E se nemmeno Formigoni vuole il nucleare, figuriamoci i movimenti e i comitati che preparano in tutta Italia assemblee, convegni, volantinaggi, proiezioni, sit-in, presidi e cortei per promuovere le “giornate antinucleari” dell’8 e 9 novembre.

A pesare ancora è l’eredità irrisolta del nucleare di ieri: sono oltre 100 le tonnellate di scorie radioattive generate dal nostro passato atomico che fra meno di sette anni ci verranno riconsegnate, dopo averle a suo tempo spedite all’impianto di riprocessamento di Sellafield, in Inghilterra. Scorie ancora molto pericolose, che si andranno ad aggiungere a quelle già stoccate presso lo stabilimento Eurex dell’ex impianto di Saluggia (Vc), dove sono state rilevate ampie contaminazioni delle falde acquifere. Un’area di territorio molto grande, potenzialmente molto esposta ai rischi di eventuali attacchi terroristici, in cui si stanno già costruendo i siti necessari. E dire, ricorda la onlus “Medicina democratica”, che la battaglia antinucleare non è un’invenzione di oggi: l’energia atomica in Italia fu bocciata a furor di popolo con il referendum del 1987, sull’onda del disastro di Chernobyl.