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Una corsa contro il tempo

di Anna Pellizzone - 08/11/2010


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AMBIENTE. In oltre dieci anni è scomparso il 25 per cento dei ghiacciai della Regione, a rischio le riserve idriche del territorio.
ll global warming si sta facendo sentire anche in Lombardia. Dal 1991 al 2003 i ghiacciai lombardi sono arretrati di circa 25 chilometri quadrati, il loro volume è passato da 5,15 chilometri cubi a 4,26. Così come lo spessore diminuito in media di 0,6 metri all’anno. Eppure in alta Val Malenco da qualche anno  c’è un nuovo ghiacciaio. Ma non si tratta di una bella notizia, perché la ragione che sta dietro all’aumento del numero di ghiacciai sulle Alpi non è altro che la frammentazione di superfici glaciali pre-esistenti che, ritirandosi, si separano in unità minori. Un processo che accelera la fusione dei ghiacci perché meno le superfici sono estese e più risentono delle condizioni climatiche. E anche la criosfera della Lombardia, pur ospitando i due più grandi ghiacciai italiani - l’Adamello, con un’estensione di 18 km quadrati, e il Forni, di 12 Km quadrati - non sfugge a questo fenomeno. «Rispetto agli anni ’90 - ha commentato Claudio Smiraglia, glaciologo presso il dipartimento di Geologia dell’Università degli Studi di Milano - si è avuta una perdita di circa il 20-25% della superficie. Una tendenza che è andata sempre più accentuandosi negli ultimi anni e rispetto alla quale è difficile fare previsioni».
 
E intanto nascono i primi tentativi d’intervento per rallentare il fenomeno della fusione, come la “coperta” sperimentata dal team di Smiraglia al Passo del Tonale per tenere i ghiacci al fresco. «I teli filtrano buona parte dei raggi UV, riducendo di circa il 70% la fusione. Ma è chiaro che non rappresentano una soluzione se non per rallentare il fenomeno in aree di particolare interesse». Tra il 1991 e il 2003, i ghiacciai lombardi hanno perso l’equivalente di circa 0,7 Km cubi di acqua, un volume superiore a quello dell’intero lago Trasimeno. «Le principali risorse idriche lombarde - ha spiegato Smiraglia - sono le precipitazioni liquide e le acque sotterranee. Ma se i ghiacciai dovessero fondersi completamente verrebbe a mancare quella riserva di acqua che diventa strategica in situazioni estreme, ad esempio nelle estati più calde».
 
Oltre ai ghiacciai, c’è un’altra componente della criosfera che sempre più attira l’attenzione degli studiosi: è il permafrost, il ghiaccio interstiziale che, se conserva lo stato solido, cementa la roccia. «Ci si è accorti della sua presenza sulle Alpi dopo l’estate del 2003 - ha commentato Smiraglia - quando nell’area alpina si è avuta un’accentuazione dei fenomeni franosi. Quando un’onda termica penetra in profondità, provoca la fusione del permafrost e quindi la montagna è più soggetta a crolli, come quello avvenuto in Valtellina, dove nel 2004 è franata un’intera parete di una montagna. Per questo, per garantire la sicurezza di chi vive in quelle zone, i ricercatori stanno raccogliendo informazioni sulla temperatura della roccia a mezzo metro di profondità. Senza contare che il permafrost è anche un ottimo indicatore del cambiamento climatico. «Stiamo vivendo un enorme esperimento di laboratorio su aria, acqua, suolo e ghiaccio – ha concluso l’esperto - ma non sappiamo che conseguenze avrà. E soprattutto non abbiamo la chiave per uscire, perché il nostro spazio è questo». La Terra.