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La svendita delle foreste britanniche non sarà così facile

di Andrea Bertaglio - 11/11/2010


La scorsa settimana abbiamo parlato della recente decisione del governo britannico di privatizzare (e svendere) le foreste del Regno Unito (qui), un modo che Oltremanica ci si sta inventando per fronteggiare la crisi economica e finanziaria che si sta abbattendo anche su di un Paese che, invece, ha persino l’ardire di dare dei “Piigs” (da pigs: maiali) ad altre nazioni messe altrettanto male. Una decisione che sta facendo ovviamente discutere molto in Gran Bretagna, Paese nel quale la popolazione è abituata ad essere abbondantemente consultata, prima che una decisione che può interessare tutta la collettività venga fatta. 

Tra i vari dibattiti in corso, sia in rete che non, sono particolarmente interessanti le questioni poste da John Vidal, curatore editoriale della sezione ambientale del celebre Guardian. Dalle pagine on line del quotidiano inglese, Vidal osserva che la proposta di privatizzazione delle foreste britanniche sembra abbastanza semplice, sentendo i suoi sostenitori. “Metti un annuncio sui giornali, fai le tue offerte ed aspetti che i soldi arrivino, vero?”, si chiede il giornalista.

La risposta è no. Infatti, come già vent’anni fa hanno avuto modo di capire i governi di Thatcher e di Major, vendere boschi e foreste non è una cosa tanto semplice, poiché “accende le passioni, infiamma le comunità locali ed è legalmente e finanziariamente complesso”. Il mondo degli affari mira a massimizzare nel modo più veloce possibile i suoi profitti, soprattutto ora che il verde sta diventando sempre più importante nel business di salute, svago o intrattenimento. Ma non  è così che funziona. “Gli alberi sono un bene nazionale strategico, – scrive Vidal – che ha bisogno di essere gestito nel corso di decenni”.

Ecco perché il giornalista inglese ha stilato una lista di domande da fare a Caroline Spelman, la parlamentare responsabile dell’eventuale privatizzazione di foreste come Sherwood e Dean. Tredici domande, alcune semplici (come quella che chiede se i contribuenti riceveranno qualche beneficio dalla svendita di una parte importante del loro patrimonio ambientale), altre più complesse (che vanno a toccare temi che passano dai diritti dei lavoratori nelle aree interessate, alla produzione di carta ed energia da biomasse).

Le domande al nuovo “governo del privatizzare” di Cameron non arrivano solo dalle pagine dei quotidiani, ma anche dalla società civile e, ovviamente, dalle Associazioni ambientaliste. Il gruppo dei Ramblers (qui il suo sito) ad esempio, oltre a chiedere al governo garanzie sul pubblico accesso a queste aree anche in caso di loro vendita a privati, si aspettano che le foreste vengano sempre mantenute in buone condizioni, ponendo l’accento sulla necessità di coinvolgere e consultare le comunità locali nella gestione dei boschi. Ai “girovaghi” inglesi, più di chi sia il proprietario delle foreste, sembra interessare che ne siano mantenute le buone condizioni ed il diritto di accedervi, sia ora che in futuro.

Difficile credere che un privato possa lasciare aperta una sua proprietà alla collettività (senza fare pagare al pubblico il biglietto, s’intende). Ma i Ramblers sembrano fiduciosi. Tom Franklin, loro direttore, afferma infatti:“Stiamo cercando rassicurazioni da parte del governo che garantiscano il pubblico accesso come prerequisito di ogni vendita, in modo da potere tutti continuare a goderci le passeggiate nei boschi, e che il diritto di accedere alle foreste britanniche sia protetto per le future generazioni”.

Sarà il fatto di essere italiani invece che inglesi, e di avere sviluppato una certa diffidenza nei confronti dei governi e delle possibilità che questi garantiscano un trattamento equo e assennato del territorio, dell’ambiente e del paesaggio (badando allo stesso tempo alle future generazioni), ma l’idea di appellarsi ad un esecutivo, italiano o britannico che sia, sembra quantomeno ingenua. Speriamo di avere torto, e che il rischio di non potere nemmeno accedere liberamente ai boschi del proprio Paese possa rimanere, ovunque, una possibilità da scartare ogniqualvolta la si prenda in considerazione.