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Il tapiro, reliquia di età remote, vive in due regioni del globo lontanissime fra loro

di Francesco Lamendola - 14/11/2010

 

Il tapiro (ordine dei Perissodattili, famiglia dei Tapiridi) è quasi un fossile vivente: un mammifero che presenta caratteri arcaici, tanto dal punto di vista morfologico, quanto dal punto di vista zoogeografico.
Dal punto di vista morfologico, ad esempio, il tapiro possiede un tipo di dentatura che, per un animale fitofago (ossia con una dieta di tipo vegetariano) può essere considerato antico: infatti, le cuspidi ben marcate sono coperte di smalto che non si salda fra il cemento e la dentina (cioè il tessuto connettivo mineralizzato, supportato su una matrice di proteine simili al collagene, che si trova tra lo smalto all’esterno, il cemento alla radice, e la polpa).
Per comprendere in cosa consista l’arcaicità di questa struttura, si consideri che uno dei più prossimi parenti del tapiro, ossia il cavallo, erbivoro anch’esso, ha una struttura dentaria completamente diversa, “moderna”, adatta alla masticazione di vegetali ricchi di silicio, grazie alla saldatura dello smalto fra il cemento e la dentina.
Dal punto di vista  zoogeografico, i tapiri attualmente viventi si trovano in due regioni della Terra lontanissime fra loro, come l’America centro-meridionale (Regione neotropica) e una zona piuttosto ristretta del Sud-est asiatico (Regione orientale). Poiché è evidente che il tapiro, pur essendo un eccellente nuotatore, non può certo avere attraversato l’Oceano Pacifico; né, d’altra parte, la sua attuale distribuzione geografica è una conseguenza della frammentazione del Gondwana, poiché il tapiro dovette comparire circa cinquanta milioni anni addietro, allora bisogna ammettere necessariamente una sua diffusione via terra.
La sua area d’origine va individuata, indubbiamente, nelle regioni della odierna Russia europea, fra gli Urali, il Mare Glaciale Artico ed il Caucaso, ove, nell’Eocene superiore, comparve il «Paleotapirus», che era più piccolo delle specie viventi (come avvenne, del resto, anche nel caso del cavallo).
Da lì, questo mammifero si spostò sia verso occidente, colonizzando l’Europa, dove poi disparve e di cui rimangono solo testimonianze fossili, il cosiddetto «Protapirus», più grande del precedente, ma sempre più piccolo dell’attuale; sia verso oriente, diffondendosi in tutta l’Asia.  Una specie passò in tal modo dalla Regione neartica alla Regione orientale, dove tuttora sopravive isolata: il «Tapirus indicus», attualmente ridotto nella lunga Penisola di Malacca e a Sumatra (ma non nelle altre isole indonesiane, come la vicina Giava).
Altri resti fossili di «Protapirus» sono stati rinvenuti sia nel settentrione della Siberia, sia nella regione mancese, a nord dell’Ussuri; sia, e questo è di decisiva importanza per stabilire la linea delle antiche migrazioni, nelle zone artiche canadesi. Ciò significa che, insieme a numerosi altri mammiferi erbivori, tra i quali il rinoceronte lanoso di cui ci siamo già occupati (cfr. il nostro articolo «Fu l’uomo a causare l’estinzione dei grandi animali lanosi del Nord America?», apparso sul sito di Arianna Editrice in data 25/03/2008) il «Protapirus» valicò lo Stretto di Bering all’epoca delle ultime glaciazioni, quando esso era all’asciutto, e passò dall’Asia nord-orientale nell’America Settentrionale, di dove, poi, iniziò a diffondersi gradualmente verso mezzogiorno.
Resti fossili di una specie ormai simile a quelle attuali sono stati rinvenuti nelle Montagne Rocciose, nella zona tra gli attuali Stati Uniti e il Canada, e sono stati datati al Pleistocene: si tratta di un animale dai caratteri più “moderni” rispetto al «Protapirus».
Anche dal Nord America, comunque, il tapiro ai nostri giorni è scomparso, così come dall’Asia, con la sola eccezione della Malacca e di Sumatra; mentre nell’America centro-meridionale attualmente ne vivono tre specie: tutte - ma specialmente quella di Baird – caratterizzate da un aspetto massiccio, con collo corto e robusto e pelame bruno scuro (mentre la specie asiatica ha il pelame della parte posteriore del tronco di color bianco sporco).
La specie americana più settentrionale è il «Tapirus Bairdi», diffuso tra la parte più meridionale del Messico (approssimativamente dall’istmo di Tehuantepec, ma esclusa la Penisola dello Yucatan) lungo tutta la striscia di terra dell’America Centrale, fino al Darien, oltre l’Istmo di Panama); la specie intermedia è il «Tapirus pinchaeque», nel tratto settentrionale della Cordigliera delle Ande, dalla Colombia centrale al Perù settentrionale); quella più meridionale è il «Tapirus terrestris», che popola tutta la sezione centrale dell’America Meridionale, dal Venezuela e dalla Guyana, sino alla foce del Rio delle Amazzoni, e poi giù, attraverso l’Amazzonia, giungendo all’Altopiano del Mato Grosso e alle savane del Gran Chaco, tra la Bolivia e il Paraguay.
Ha scritto lo zoologo spagnolo Felix Rodriguez de la Fuente nella enciclopedia «Gli animali e la loro vita» (titolo originale: «Enciclopedia Salvat de la Fauna», Salvat Ediciones, 1970; edizione italiana a cura dell’Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1976, vol. 8, pp. 148-150):

«Quando le prime spedizioni scientifiche, verso la metà del secolo XIX, cominciarono a penetrare nella selva amazzonica, perdettero consistenza le leggende dell’esistenza di animali sopravvissuti di epoche geologiche remote. Quest’affermazione però non è forse del tutto esatta: nelle zone più inaccessibili della foresta si muove un grosso Ungulato che, a prima vista, non sapremmo imparentare con i cervi o con i cavalli: questo animale, autentico fossile vivente, è il tapiro.
In altre epoche la famiglia dei Tapiridi fiorì e si diffuse molto più largamente di ora: i suoi più remoti antenati abitavano, al principio del Terziario, anche nel Nordamerica e nell’Asia attuali. Nell’Oligocene esistevano già in Europa e nell’America Settentrionale tapiri molto simili agli attuali, ma in queste regioni si estinsero e i sopravvissuti sono arrivati fino alla nostra epoca nell’Asia sud-orientale e nelle foreste del Sudamerica, continente che invasero quando emerse, nel corso del Pleistocene, l’istmo centroamericano. Così si spiega il fatto che specie strettamente imparentate come i tapiri asiatici e quelli americani vivano in zone geografiche tanto distanziate.
I tapiri sono i più antichi Perissodattili esistenti, e per parecchi anni i naturalisti sono stati molto incerti nel classificarli in un ordine determinato, arrivando anche a pensare che fossero imparentati con gli ippopotami o con i maiali. Invece i tapiri sono filogeneticamente imparentati con i rinoceronti e con i cavalli.
Attualmente la famiglia dei Tapiridi è rappresentata solo da quattro specie, incluse in un unico genere, te delle quali abitano nel Centro e nel Sudamerica, mentre la quarta è relegata nelle giungle della penisola indocinese e nell’isola di Sumatra. È da segnalare il fatto paradossale che il tapiro asiatico, chiamato tapiro dalla gualdrappa, restò ignoto alla scienza ancora molto tempo dopo che si conoscevano le specie di tapiro americano. Infatti, mentre i primi esploratori spagnoli del nuovo continente sapevano già verso l’anno 1500 dell’esistenza di quello strano animale, il tapiro dalla gualdrappa non venne scoperto che agli inizi del secolo XIX; e sin trattò di un avvenimento scientifico di prim’ordine, poiché ormai non si sperava più di scoprire nuove specie di mammiferi di così grandi dimensioni. Questa scoperta però venne superata, un secolo dopo, dalla comparsa di una specie nuova nel cuore dell’Africa: l’okapi.»

Il tapiro è un animale forte ma timido e schivo, che vive nel fitto della foresta, il più lontano possibile dalla presenza umana. Abile nuotatore, come si è detto, abita volentieri presso le rive dei fiumi, che attraversa senza alcuna difficoltà. Si sposta anche camminando sul fondo dei fiumi, rimanendo interamente immerso, e dedicandosi così a brucare le piante che crescono sotto la superficie.
In un certo senso è sbalorditivo che un animale della sua taglia (alto al garrese da 75 a 120 cm., può pesare fino a 300 kg.) viva nelle parti della foresta ove più densa è la vegetazione e in cui sembrerebbe impossibile che possa avanzare, nell’intrico delle liane e dei fittissimi tronchi. In realtà, questa ungulato è perfettamente adattato ad un simile ambiente, tanto che può galoppare a notevole velocità, aprendosi la strada con la testa bassa dalla corta proboscide,  e travolgendo i rami e le frasche che gli si parano davanti. Del resto, anche l’okapi dell’Africa centrale vive nel più fitto della foresta equatoriale; e la stessa cosa può dirsi per l’elefante indiano o per il rinoceronte della Sonda, che pure sono mammiferi di taglia assai più imponente.
La caccia condotta contro di lui da parte dell’uomo ha fatto del tapiro un animale notturno, che si muove con estrema circospezione lungo i sentieri della foresta; ma là dove la presenza umana è remota, esso si sposta tranquillamente alla luce del giorno, cosa che dimostra come il tapiro fosse originariamente un animale diurno e che è stata la pressione implacabile esercitata dall’uomo a modificarne radicalmente le abitudini.
Diciamo ora qualcosa sulle quattro specie di tapiro attualmente esistenti, servendoci in particolare della descrizione contenuta nella classica opera di Hans-Wilhelm Smolik «Enciclopedia illustrata degli animali» (traduzione italiana a cura di Feltrinelli Editore, Milano, 1972).
Il tapiro dalla gualdrappa vive nella zona tra la Thailandia e la Birmania e nella grande isola di Sumatra; è lungo da 200 a 240 centimetri e alto alla spalla 90-100 centimetri. Il mantello è nero brillante nella parte  anteriore del corpo e sulle zampe, grigio biancastro dalla spalla fino alle cosce. La proboscide, retrattile, può raggiungere i 16 centimetri; gli orecchi sono incorniciati di bianco e la coda è nera.
Il tapiro americano o terrestre, diffuso dal Venezuela all’estremità settentrionale dell’Argentina, è un po’ più piccolo: lungo 190-200 centimetri e alto alla spalla 85-95 centimetri. Il pelo è corto, ispido e rado; la proboscide è più piccola e corta di quella del suo congenere asiatico; una minuscola criniera corre dalla nuca alle spalle.
Il tapiro delle Ande o tapiro pinchaeque è diffuso nella sezione settentrionale della grande catena andina, fino alla notevole altitudine di 4.200 sul livello del mare; ed è ancora più piccolo del precedente, essendo lungo da 170 a 180 centimetri ed alto alla spalla da 70 a 80 cenrimetri. Il pelo è nerastro, foltissimo e morbido, un poco ritorto. Meno massiccio del suo parente di pianura, ha le zampe più slanciate ed il muso più allungato, con le guance grigio-chiare o grigio-bianche; non possiede la criniera.
Infine il tapiro di Baird vive, anch’esso, nei boschi di montagna, ma nell’America Centrale e, quindi, ad altezze meno elevate; raramente si spinge fino all’estremità settentrionale della Colombia, ove il suo areale si confonde con quello del tapiro terrestre. È il tapiro più grande della Terra, ivi compresa la specie asiatica: lungo da 240 a 250 centimetri, alto alla spalla 110-120 centimetri, può arrivare a pesare fino a 350 kg. Il pelo è bruno scuro, corto e ispido, con delle strisce bianche sulle labbra, la gola e il petto. Una particolarità della sottospecie che vive in Guatemala e nel Nicaragua è che i piccoli, a differenza degli altri tapiri, sono, appena nati, quasi del tutto privi di macchie.
Scrive sempre lo Smolik (Op. cit., p.p. 110-111):

«Quando si trova nella foresta il tapiro si nutre prevalentemente di foglie dimostrando una particolare predilezione per quelle delle palme giovani, oppure si contenta delle radici di manioca e anche dei frutti caduti a terra. In questi frangenti la proboscide si rivela un utilissimo organo prensile. Il tapiro ingolla quantitativi di cibo più che abbonanti: durate le sue scorribande notturne nelle piantagioni fa autentiche scorpacciate di canna da zucchero, mago, meloni e piante di cacao. Fortunatamente il tapiro si sposta quasi sempre solo e così i danni sono limitati. In genere poi il timore dell’uomo ha la meglio sull’ingordigia, anche perché il tapiro considera la prudenza come il più grande atto di valore  e una rapida fuga come la più efficace difesa. Tuttavia, quando si vede incalzato o aggredito, quando è ferito o irritato esso affronta l’uomo con l’impeto di un toro infuriato, carica l’avversario, lo getta a terra e cerca di morderlo.  Specie le femmine, più forti e corpulente, si dimostrano molto decise allorché, avendo con sé il piccolo, che ha sempre un mantello striato, e sentendolo stridere di paura, lo ritengono minacciato. Allora, soffiando a tutta forza, si scagliano anche contro la tigre o il giaguaro: le profonde cicatrici che a volte costellano la spessa cotenna del tapiro dimostrano che non sempre i felini la spuntano.»

Il tapiro, fossile vivente antico di 50 milioni di anni: una meraviglia della natura, attualmente minacciata di estinzione a causa dell’invadente presenza umana, come - del resto - tante e tante altre specie di animali e di piante del nostro pianeta…