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Quei nemici invisibili Che uccidono per niente

di Vittorino Andreoli - 15/11/2010




Siamo circondati da nemici e sono pronti a ucciderci, per un nonnulla, per una banalità. E appena si sente uno sparo o un urlo di dolore tutti scappano senza chiedersi se qualcuno abbia bisogno di aiuto perché sta morendo. La morte dell’altro non ci riguarda, e ammazzare non attira l’attenzione a meno che l’omicida non sia Michele Misseri o la figlia Sabrina personaggi di una «telenovela» che si guarda come spettacolo dal salotto.

È finita la voglia di comprensione e non si attiva più l’aiuto: i due grandi ingredienti di una moralità sociale, del mutuo soccorso e del rispetto dell’altro. La fine di due principi, capisaldi di una civiltà. E così ci troviamo dentro una guerra combattuta nelle città in cui si muore per aver preso sotto un cane che passeggiava e per aver toccato con la propria lo specchietto retrovisore di un’altra auto. Schegge di violenza che possono colpire chiunque, vittima così di un nessuno e della banalità. Una violenza pulsionale, come se l’uomo avesse perso i freni inibitori.
È in corso una metamorfosi antropologica e si profila un uomo pulsionale, istintivo e selvaggio, senza più il senso di colpa, senza il rimorso, senza sapere cosa sia la vita e la morte, senza etica se non la spinta al proprio profitto e alla difesa del proprio piccolo mondo fatti di stupidità, di oggetti e non di senso, di forza e non di valore umano e di amore. In questa degenerazione della specie, l’uomo funziona più o meno così: vorrebbe essere potente e avere successo, ma i livelli raggiunti, non importa quali, sono poco rispetto al desiderato e allora predominano le frustrazioni. La frustrazione è una sensazione di mal d’essere che si prova nel mondo, nella esistenza ordinaria: sul lavoro, quando c’è, e a casa. E la frustrazione è un debito di violenza. Si accumula e ad un certo momento si libera, diventa azione, nei confronti del minimo fastidio e della causa più insensata. Serve solo un oggetto su cui esprimersi: un figlio, o la moglie, un passante, chiunque permetta di compensare il senso di insoddisfazione e mostrarsi decisi, forti. E uccidere è un gesto titanico: solo agli dei si attribuiva il potere di vita e di morte. Adesso non serve essere dio, ma basta avere uno specchietto retrovisore ferito. E si tratta di persone che mutano repentinamente, come in una metamorfosi agita da un demone con una bacchetta del male. C’è in ciascuno di noi un serbatoio di frustrazione che può fare una strage e manca la percezione del male, poic hé è stato coperto di spettacolo. Il male come fascino, come avventura, come trasgressione i n una società in cui i ladri si chiamano furbi, le prostitute escort dove vince la raccomandazione e non il merito, dove la falsità è occasione non di riprovazione, ma di strategia esistenziale. Una società dove il denaro diventa la misura dell’uomo e del suo potere.
La psichiatria, che era la disciplina che si occupava di comportamenti sani e malati e che si proponeva di curare chi si comportava in maniera pericolosa, è confusa e non sa più delineare nulla poiché il tutto va legato alle circostanze e così l’uomo è anche buono oltre che cattivo e sano oltre che folle. Quel tale che ha sparato per lo specchietto fratturato (un danno di qualche decina di euro) è una guardia giurata, uno che «dona» la propria vita per la sicurezza. Del resto nelle processioni per i patroni delle città del Sud, il primo posto davanti al Santissimo a volte è occupato dai mafiosi. Forse nemmeno i santi e i beati sono più esempi di vita. Hanno alleanze pericolose.