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L'Occidente vive il suo suicidio

di Michel Houellebecq - Piersandro Pallavicini - 18/11/2010


Parla il controverso scrittore francese vincitore del Goncourt "Non riusciamo più a riprodurci, di questo passo spariremo tutti"


PARIGI. Pochi scrittori viventi sanno inquadrare il mondo e scriverne con la disarmante efficacia di Michel Houellebecq. L’autore francese ha da sempre proiettato nei suoi romanzi una visione della contemporaneità e del futuro tanto nichilista quanto realistica. Si è dato il compito di raccontarci tutta la verità, anche quella più imbarazzante, offensiva, il che gli ha procurato un’aura sulfurea e un’avversione quasi unanime in Francia, non mitigata dalle centinaia di migliaia di copie vendute.  
Auto-esiliatosi prima in Irlanda e ora in Spagna, dopo due candidature al Prix Goncourt naufragate per l’opposizione indignata di gran parte della giuria, quest’anno con La carta e il territorio (tradotto in Italia per Bompiani) ce l’ha fatta. A dispetto del suo nemico di sempre (e giurato Goncourt) Tahar Ben Jelloun, che non a caso mesi fa ha pubblicato una recensione-anticipazione in cui cercava, con accuse forzate e discutibili, di fare a pezzi il suo romanzo. La vittoria è arrivata con un libro meditativo, ripulito, la temperatura erotica abbassata al minimo, dove scene d’invenzione coinvolgono personaggi pubblici della tv e della letteratura francese, e, soprattutto, lo stesso Houellebecq, protagonista dunque di una sorta di autofiction.
Questo premio la riconcilia, almeno in parte, con il suo Paese?

«Sì, per adesso sì. Però possono esserci delle alternanze di nuovo, in qualsiasi direzione».

Tornerà a vivere in Francia, come Houellebecq nel romanzo?

«Sì, probabilmente. Ma non dove sono cresciuto, non credo proprio [ride]. C’è di meglio in Francia. Ci sono varie regioni gradevoli, tutto il Sud-Ovest è molto bello. Anche il Massiccio Centrale, ma più a Sud di dove sono cresciuto. Sono posti simili all’Irlanda, che mi piace molto».

Ha letto la recensione iper-negativa di Ben Jelloun? La criticava per essersi messo in campo come personaggio, accusandola d’immodestia.

«Non ho letto l’articolo. Ma è uno dei principali complimenti che mi abbia fatto. La maggior parte dei critici pensa che questa messa in scena di me stesso nel romanzo sia invece una parte molto riuscita, perché è veramente fiction. Si capisce che non mi sto avvicinando alla realtà della mia vita, ma anzi il contrario, che me ne allontano».

Già, un ritratto ironico, comico. Un uomo solitario, taciturno ai limiti dell’autismo, con una passione sfrenata per i salumi e con problemi dermatologici imbarazzanti.

«Sì, è molto divertente. Soprattutto le fette di mortadella nel letto, la tv accesa sui cartoni animati, le lenzuola bruciacchiate. Mi sono molto divertito a scriverne».

Infatti nel romanzo si sente la felicità, l’allegria dello scrivere.

«Sì. Forse. Però ero triste quando scrivevo altri brani. Soprattutto i passaggi di Jed, il protagonista, con il padre. Mi ha tentato l’idea inquietante che a un certo punto si cominci a somigliare al proprio padre. Quando Jed va a trovare il padre nel suo studio di architettura, non capisce perché non riesca a smettere di lavorare. E anche Jed, quando si avvicinerà alla propria fine, si renderà conto che non è veramente in grado di non fare qualcosa. Ma non è per niente autobiografico. Mio padre è perfettamente in grado di non lavorare [ride]. E anch’io, del resto».

Il motore che sta dietro a questo romanzo sembra essere: il mondo occidentale va a rotoli, e lo sforzo che facciamo per non ammetterlo è terribilmente ridicolo.

«Ma no, non necessariamente. Trovo che sia in atto una rinuncia alla produzione industriale in Occidente. Ma la Francia e l’Italia sono i due Paesi che se la possono cavare, in Europa. Questi due Paesi possono uscirne in una modalità turistica, agricola. È una via per il futuro. Ciò che fa perdere tempo è cercare di salvare tutto il resto dell’economia. Diciamo semplicemente che l’Occidente sta vivendo pienamente il suo suicidio. Le condizioni produttive fanno sì che non riesca più a riprodursi, dal punto di vista demografico per esempio. Saremo persi, a breve termine. Se continueremo di questo passo, se continueremo a vivere in queste condizioni di produzione, spariremo tutti».

Nel romanzo ci sono luoghi, personaggi della tv, del giornalismo francese. Ma non c’è politica. L’unico politico citato è un italiano, Berlusconi. Niente Sarkozy.

«Berlusconi viene citato perché… si veste un po’ come Jeff Koons. E all’inizio del libro c’è una scena in cui Jed, il protagonista, non riesce a dipingere Jeff Koons, non riesce a coglierne la forte sensazione di ambiguità».

Jed diventerà celebre, nel romanzo, grazie ai ritratti dedicati a personaggi, ciascuno specializzato in una professione. Ma il quadro sui pittori Hirst e Koons non verrà mai realizzato.

«Sì, è questo che è difficile da cogliere. L’ambiguità di Koons. Mentre Berlusconi sembra molto stupido, Jed non ha problemi a dipingere Damien Hirst, la sua espressione è semplice da rendere. E penso che non avrebbe avuto problemi con Berlusconi. Ma è vero anche che non fa ritratti di uomini politici. Non facevano parte dell’argomento trattato da Jed. Non ritengo che essere un politico sia una professione. Una professione è qualcosa di utile».

Avrà però un’opinione sull’attuale governo francese. Sarkozy che ha debuttato con una grande popolarità e ora invece è detestato.

«Su quest’ultima parte non so assolutamente nulla. Per quel che riguarda Sarkozy… Mi piace. Mi piace proprio».

Ma si sente parte della cultura francese o si ritiene un oggetto da un altro pianeta?

«Mah, scrivo in francese. Nell’ambito particolare che ho scelto non ho l’impressione che lo Stato possa fare granché. Non può creare buoni scrittori, né impedire ai buoni scrittori di scrivere. Si può chiedere allo Stato di non rompergli le palle, ecco».

Ciò che sembra davvero preoccuparla è il salutismo obbligatorio, i divieti. Teme che la Francia stia perdendo la sua allure godereccia di Paese dove si fuma molto, si beve ottimo vino, si fa molto sesso?

«Sì, tutto questo si sta veramente perdendo. Ed è qualcosa che rimpiango. Tutte e tre le cose».

Ha vinto il Goncourt, eppure ha dichiarato che questo potrebbe essere il suo ultimo romanzo.

«Ma lo dico ogni volta. Questo dimostra che sono soddisfatto di me stesso».