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Obama e le strategie di dominio mondiale

di Angelo Spaziano - 18/11/2010

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Barack Obama ha subito una clamorosa débàcle alla Camera, dove il partito democratico è andato in minoranza. E anche al Senato “l’asinello” è collassato, pur mantenendo per un pelo la leadership. Il primo presidente nero nella storia americana è stato trombato perfino nel suo collegio senatoriale dell’Illinois e nella roccaforte dell’Ohio. Tuttavia, andrebbero fatte alcune importanti considerazioni al riguardo. Prima di tutto, va tenuto conto che per tradizione l’affluenza alle urne in occasione del rinnovo del Parlamento Usa è alquanto più contenuta rispetto alle presidenziali. E’ chiaro infatti che i primi a precipitarsi ai seggi nel mid term siano soprattutto gli scontenti della conduzione governativa nei due anni appena trascorsi. In secondo luogo c’è da calcolare che Barack Obama, pur generosissimo con i grandi trust bancari nazionali, saziati a profusione con vertiginosi benefit, è andato incautamente a falcidiare gli interessi delle lobby delle assicurazioni sanitarie e degli speculatori di borsa.
Era logico che alla prima occasione questi signori gli avrebbero presentato il conto. La riforma del welfare infatti ha esteso lo scudo del sistema sanitario di Stato a un 43 per cento di cittadini che non potevano permettersi la copertura assicurativa a pagamento. Aver sottratto tutta quella enorme massa di manovra alle fameliche mascelle delle “mutue” private era un gesto che non poteva non provocare feroci rappresaglie nei confronti dell’audace presidente. Peggio che mai è andata in materia finanziaria. Qui Obama, pur cedendo alle pressioni esercitate dai grandi trust bancari salvandoli dal tracollo, memore degli errori compiuti in passato da questi epigoni di Shylock, ha varato una riforma che, di fatto, ha posto sotto tutela le operazioni di scambio dei derivati e il capitale investibile a disposizione dagli istituti. Come se non bastasse, c’è stato pure il ritiro da Baghdad e quello ventilato, possibile entro il prossimo anno, da Kabul. Il che, pur giustificando il premio Nobel in bianco concessogli il giorno successivo l’elezione, significa essersi messo in rotta di collisione con la potente corporazione dei fabbricanti di cannoni. Anche la sfortuna ha rivestito un ruolo molto rilevante in questa prima parte di mandato obamiano. Non va dimenticato infatti il catastrofico impatto mediatico esercitato sugli americani dalla goffa gestione dell’emergenza inquinamento da idrocarburi sulle coste della Louisiana. Uno stillicidio di tre mesi durante i quali l’incessante fuoriuscita di greggio dal pozzo in avaria sul fondo del Golfo del Messico ha funzionato da doccia scozzese sulle istanze ecologiste degli statunitensi della costa sud, illusi e delusi a fasi alterne. Questa logorante guerra dei nervi ha scavato un fossato intorno all’immagine di Obama, che ha fatto la stessa figura che fece Bush con l’uragano Katryna, allorché mezza New Orleans rimase sommersa dal Mississippi. Da queste consultazioni quindi Obama è uscito con le ossa rotte, e c’era da aspettarselo. Il primo a rendersene conto è stato proprio lui, che all’improvviso si è dichiarato pronto a scendere a compromessi proprio con quegli avversari politici che ha sempre tenacemente combattuto con tutte le sue forze. Molto probabilmente, perciò, assisteremo a una marcata correzione della rotta fin qui seguita dall’inquilino della Sala Ovale, un fuoriclasse sfortunatamente azzoppato dalla congiuntura socioeconomica assai sfavorevole. Alla Casa Bianca potrebbero anche cadere delle teste. I democratici infatti spingono affinchè ci siano dei cambiamenti radicali. In primo luogo vogliono che Obama riveda l’incarico di diversi suoi collaboratori, fino a licenziarne alcuni. Il primo candidato a rischiare il posto potrebbe essere il segretario al Tesoro Tim Geithner. L’economia statunitense infatti, malgrado la forte svalutazione del dollaro non accenna a riprendere la marcia, e risulta troppo debole per garantire nuova occupazione. E Geithner, secondo gli elettori, è uno dei principali responsabili della situazione.
Ma, a ben pensarci, un modo per uscire dal tunnel della recessione ci sarebbe pure, anche se il rimedio rischia di essere peggiore dello stesso male. La storia patria, Franklin Delano Roosevelt e la Grande Depressione lo hanno insegnato. Del resto sta scritto sui libri di scuola e sulla manualistica di tutte le università del mondo. Come si concluse, alla fine, la crisi economica scaturita dal venerdì nero di Wall Street del 1929? Con la Seconda Guerra Mondiale, puntualmente scoppiata dieci anni dopo il crac. E’ qui che Obama potrebbe trovare la quadra per ribaltare completamente i pronostici e farsi rieleggere per un secondo mandato. Col beneplacito repubblicano e l’appoggio popolare, infatti, il presidente nero sarebbe in grado di mettere una volta per tutte una croce sopra le velleità iraniane di accedere nell’esclusivo club dell’atomo. Ciò gli gioverebbe assai politicamente, perché lo squadrone repubblicano marcerebbe compatto al suo fianco. E più i preparativi di guerra si faranno febbrili, più l’economia stellestrisce spiccherà il volo. Spendere in guerre, infatti, crea sempre posti di lavoro e stimola l’economia. Il secondo conflitto mondiale fece uscire gli Usa dalla depressione perché lo sforzo bellico comportò una massiccia mobilitazione d’interi settori produttivi della società civile. Non sarebbe la prima volta che dalle parti dello zio Sam ci si lanciasse in simili avventure pur di risolvere gravi turbative di natura economica. Infatti, malgrado il Pentagono stia cercando di tagliare miliardi di sovvenzionamenti per affrontare con l’adeguato rigore l’austerità di bilancio, gli yankee sembrano avere tutta l’intenzione di “spezzare le reni” all’Iran. Anche se scatenare un simile pandemonio per un vantaggio politico di così corto respiro sarebbe da folli e irresponsabili. Il programmato ritiro dai fronti di guerra iracheno e afgano, che sembra fatto apposta per concentrare tutte le forze disponibili in un altro teatro, i pacchi postali al tritolo provenienti dalla Grecia e dallo Yemen e diretti verso occidente, l’allarme su probabili attacchi di Al Qaeda, le misure di controllo sempre più ferree nei porti e aeroporti forse sono i primi inquietanti annunci di una perversa strategia geopolitica di dominio mondiale. Se così sarà, si salvi chi può.