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Piano Solo: l’idea fu di Segni

di Nicola Tranfaglia - 23/11/2010



Ma    chi ha attentato, nei primi anni sessanta, alla democrazia repubblicana, mettendo con le spalle al muro il governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro e facendo parlare Pietro Nenni, vice-presidente del Consiglio, di un “tintinnio di sciabole” nell’estate 1964? E che cosa era, in realtà, il “Piano Solo”, elaborato dal generale Giovanni De Lorenzo, d’intesa o su ordine, del Capo dello Stato Antonio Segni per far intervenire “solo” i carabinieri contro il paventato assalto dell’opposizione socialista e comunista al governo della Repubblica? Sugli avvenimenti legati a quel tentativo per cinquant’anni si è discusso, quasi senza interruzione, per mezzo secolo da parte dei giornalisti ma anche degli storici per comprendere non soltanto la dinamica dei fatti ma i ruoli ricoperti dai politici al centro della vicenda (il presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio, alcuni ministri), dai militari (a cominciare da De Lorenzo) e dai servizi segreti più volte chiamati in causa. Ed aveva prevalso in alcune opere pure attendibili come la Storia d’Italia degli Einaudi degli anni Settanta e l’ampia sintesi di Simona Colarizi Storia del Novecento pubblicata nel 2007 da Rizzoli, l’idea che fossero stati i vertici dei carabinieri e, in particolare, lo stesso De Lorenzo che fu poi senatore del Movimento Sociale Italiano ad avere la responsabilità principale del tentativo di colpo di stato, subito abortito per il cedimento del governo di centro-sinistra e dei socialisti sostenitori delle riforme più ardite costrette a rientrare di fronte alla forte intimidazione dei militari.

Mimmo Franzinelli, storico del fascismo e dell’Italia repubblicana che conosciamo già per molti libri importanti come Tentacoli della Piovra (Bollati Boringhieri, 1999) e il Delitto Rosselli (Mondadori, 2007), ha ora scritto un libro per molti aspetti definitivo (Il piano Solo, Mondadori, pagine 380, venti euro) che ricostruisce in duecentocinquanta pagine seguite da centocinquanta pagine di note e apparati archivistici e bibliografici, l’intera vicenda spiegando con grande chiarezza l’intrico complesso che conduce il primo governo organico di centro-sinistra a cedere il passo a una minaccia che parte anzitutto dal presidente della Repubblica Antonio Segni e quindi dai servizi segreti e dai carabinieri di cui de Lorenzo era stato nominato da poco comandante generale. Ma da dove partiva il progetto di Segni eseguito da De Lorenzo per formare un governo di emergenza guidato dal presidente dimissionario del Senato Cesare Merzagora e sostenuto dalla Confindustria e dalla Banca d’Italia, oltre che da alcuni ministri come il doroteo Emilio Colombo? E quale ruolo ebbero nella crisi una istituzione importante della società italiana come il Vaticano e l’alleato più importante dell’Italia, gli Stati Uniti di America, in un periodo ancora centrale della guerra fredda tra l’Unione Sovietica e l’alleanza occidentale?
Grazie agli epistolari e ai diari di personalità importanti come Andreotti, Carli, Fanfani, La Malfa, Nenni, Segni e Taviani oltre che al memoriale di Aldo Moro trovato nel covo di via Montenevoso a Milano (e le carte ancora in parte coperte dal segreto di Stato ma in parte disponibili presso l’Archivio Centrale dello Stato), lo storico bresciano è in grado di indicare i punti essenziali del tentativo messo in atto da Segni: fu lui che ordinò a De Lorenzo di intervenire con la divisione corazzata dei carabinieri. Una versione dei fatti dunque diversa da quella che la Dc aveva voluto far credere ai tempi delle inchieste militari e parlamentari che, sia pure con grande difficoltà, vennero condotte quando l’acceso contrasto politico e verbale tra il Capo dello Stato e il ministro degli Esteri Saragat, condusse, durante un colloquio fatale, il presidente all’ictus e poi alla lunga, irreversibile malattia che ne avrebbe decretato l’uscita di scena e la morte. Dalla ricostruzione di Franzinelli emerge con chiarezza il contrasto politico e programmatico tra i dorotei di Segni e Colombo come il governatore della Banca d’Italia Carli e il capo del governo Moro, come il vicepresidente Nenni, sull’indirizzo politico del governo e l’esito dello scontro che si concluse, ai primi di agosto, con un voto di fiducia del governo alla Camera e il ricompattarsi della maggioranza parlamentare. «Sul piano politico commenta alla fine l’autore hanno ottenuto un buon risultato il governatore Carli, il commissario Cee Marjolin, il ministro Colombo e il segretario democristiano Rumor, le cui istanze sono state sostanzialmente recepite. La tattica del logoramento e del condizionamento ha prevalso su quella dello sfondamento. Il piano Solo si è rivelato lo strumento vincente nello scontro con i socialisti».