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Washington Post: «Fatti da parte, Obama»

di Federico Zamboni - 24/11/2010


In un editoriale il celebre quotidiano liberal invita il presidente a non ricandidarsi nel 2012. Obiettivo dichiarato: indurre i Repubblicani a non bloccare sistematicamente l’azione di governo


È una provocazione? Si vedrà. Ma intanto il tono sembra assolutamente serio e infatti, alla sortita in se stessa, si accompagna un’ampia disquisizione volta a dimostrarne la validità. Detto in breve, si tratta di questo. In un editoriale apparso sul Washington Post, quotidiano di riferimento di molti liberal statunitensi, viene chiesto a Obama di annunciare fin d’ora che non si ricandiderà alle Presidenziali del 2012. Le premesse sono due. La prima è che la sua popolarità è compromessa. La seconda è che i repubblicani dicono e ripetono che il loro principale obiettivo è far sì che non venga rieletto, per cui, forti della ritrovata maggioranza alla Camera, faranno di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote e per impedirgli di conseguire il benché minimo successo. Ergo, «se il presidente si avvia verso la campagna elettorale, abbiamo la certezza che il governo sarà paralizzato per due anni»

Stando così le cose, proseguono gli autori del pezzo, Douglas Schoen e Patrick Caddell, l’unica possibilità di sottrarsi all’assedio è privare gli avversari della loro motivazione fondamentale. E sperare che basti questo a passare da una chiusura generalizzata a una valutazione caso per caso. L’ipotesi, come sottolinea Federico Rampini, è di dare vita a una sorta di “governo tecnico”, magari con un rimpasto che accolga nella compagine di governo anche alcuni repubblicani, e «invocare scelte di unità nazionale dettate dall'emergenza»

Un sacrificio a fin di bene, insomma. E anche, paradossalmente, una sconfitta tattica che finirebbe con l’equivalere a una vittoria strategica. Sempre secondo il Washington Post, «L’America non può permettersi la paralisi. Se invece annuncia che sarà presidente per un solo mandato, Obama può realizzare la promessa della sua campagna del 2008: può disintossicarci da una politica polarizzata, può mettere fine al risentimento, alle lacerazioni che hanno indebolito la nostra identità nazionale e il senso di uno scopo comune».

Ma è proprio questa, la parte più debole del ragionamento. La “polarizzazione” della politica statunitense, infatti, non dipende certo da animosità specifiche e contingenti, ma dalla natura stessa dei due schieramenti. Fatte salve le linee generali dell’organizzazione economica e sociale, per cui entrambi i partiti sono appiattiti sul modello liberista, le differenze tra i democratici e i repubblicani sono sostanziali. Soprattutto ora che a radicalizzare i contrasti ci sono due fattori, peraltro interconnessi, come il perdurare della crisi e la crescita dei Tea Party. L’unica possibile convergenza, adesso che Obama si accinge a mettere mano al “risanamento” dei conti pubblici, potrebbe riguardare i tagli al welfare. 

Ammesso che lui sia disposto a fare un passo indietro sulle presidenziali, però, non si vede proprio perché dovrebbe rinunciare in un sol colpo alle proprie convinzioni e alle proprie formule. A meno che, certo, la sua vera funzione non fosse, fin dall’inizio, quella di salvare le banche coi fondi federali. Una classica cosa che poteva fare solo un presidente di estrazione democratica. Una digressione momentanea prima di riconsegnare il Paese ai repubblicani, pronti a scatenare una guerra definitiva contro le tasse e la spesa sociale.