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Corea, tensione a stelle e striscie

di Michele Paris - 29/11/2010



A pochi giorni dallo scontro a fuoco tra Seoul e Pyongyang, la tensione tra le due Coree non sembra essere scesa di molto. L’appoggio incondizionato offerto all’alleato meridionale da parte di Washington ha contribuito anzi ad inasprire un’escalation fatta di minacce e dichiarazioni incendiarie da entrambi i lati del trentottesimo parallelo. L’invito degli Stati Uniti alla Cina per intercedere sul regime nordcoreano, assieme all’invio di navi da guerra nella regione, appare poi l’ennesima provocazione all’interno di una ormai consolidata strategia dell’amministrazione Obama per contrastare il peso sempre crescente esercitato da Pechino in Asia e altrove.

L’ennesima disputa tra la Corea del Nord e quella del Sud, com’è noto, era andato in scena martedì scorso, quando un bombardamento delle forze di Pyongyang aveva colpito l’isola di Yeonpyeong, nel Mar Giallo, causando la morte di quattro sudcoreani (due militari e due civili). Secondo fonti nordcoreane, il fuoco sarebbe giunto in risposta a colpi sparati dal sud e caduti a poca distanza dalle coste settentrionali. L’episodio ha subito scatenato il panico tra la popolazione sudcoreana e profonde divisioni all’interno del gabinetto del presidente conservatore Lee Myung-bak.

Ad alimentare le preoccupazioni per una situazione che sembra a molti la più delicata dalla fine della guerra tra le due Coree, suggellata dall’armistizio del 1953, ci si è messa anche l’immediata presa di posizione americana. Per tutta risposta, gli Stati Uniti hanno inviato nel Mar Giallo la nave da guerra George Washington, che trasporta velivoli equipaggiati con ordigni nucleari, per dare inizio ad esercitazioni congiunte con la marina sudcoreana. Washington continua ad avere quasi trentamila soldati sul suolo sudcoreano e considera Seoul un alleato fondamentale nel continente asiatico.

All’iniziativa americana, da Pyongyang si è risposto con sdegno, avvertendo che “la situazione nella penisola coreana si sta avviando verso un nuovo conflitto”. Contemporaneamente, a Seoul il ministro della Difesa sudcoreano ha finito per dimettersi in seguito alle critiche dei falchi del proprio partito per l’impreparazione all’attacco nordcoreano e la risposta troppo debole. Sull’isola di Yeonpyeong sono poi giunti rinforzi e armamenti pesanti, pronti ad una durissima reazione contro eventuali nuove incursioni dei vicini settentrionali.

Lo stesso presidente Lee Myung-bak, eletto nel 2008 grazie anche alla linea dura promessa verso la Corea del Nord, è finito sotto accusa per essersi mostrato fin troppo tenero con il regime di Kim Jong-il. In realtà, il taglio drastico agli aiuti verso il nord e la fine della politica di riconciliazione promossa dal suo predecessore, Roh Moo-hyun, hanno contribuito in questi anni a riaccendere le tensioni nella penisola coreana. A ciò va aggiunto il fatto che Pyongyang non ha mai riconosciuto la linea di demarcazione nelle acque del Mar Giallo stabilita dagli USA nel 1953.

La Corea del Nord, anzi, fissò il proprio spartiacque nel 1999, in seguito al quale si verificarono una serie di scontri. Nel 2002 una scaramuccia tra le due marine costò la vita a quattro militari sudcoreani e a trenta nordcoreani. Più recentemente, nel novembre 2009, una nave di Seoul entrò in contatto con un’imbarcazione del Nord proprio alla vigilia della visita di Obama in Asia. L’apice della tensione è stato poi raggiunto a marzo di quest’anno in seguito all’affondamento della nave da guerra sudcoreana Cheonan proprio nel Mar Giallo, nella quale morirono 46 marinai. Per l’affondamento, USA e Corea del Sud hanno accusato Pyongyang, da dove si è negata invece ogni responsabilità.

Le ostilità nella penisola coreana sono dunque state subito sfruttate da Washington per intensificare le pressioni sulla Cina, di fatto il più importante alleato – anzi, l’unico - della Corea di Kim Jong-il. In una serie di dichiarazioni, i vertici dell’amministrazione Obama hanno chiesto a Pechino di intercedere nei confronti di Pyongyang per desistere da ulteriori provocazioni. Lo stesso presidente americano pare abbia parlato direttamente con il suo omologo cinese, Hu Jintao, mentre un inviato di Pechino ha incontrato il presidente sudcoreano, in attesa della visita di un alto esponente della Corea del Nord.

L’invio della nave da guerra George Washington nel Mar Giallo, per stessa ammissione statunitense, è rivolta proprio a persuadere la Cina. Le esercitazioni congiunte americano-sudcoreane nelle acque al largo della Cina, secondo quanto dichiarato da anonimi membri dell’amministrazione Obama alla stampa d’oltreoceano, servirebbero a mettere di fronte Pechino alla realtà di una maggiore presenza americana nella regione nell’eventualità di un aumento dell’aggressività della Corea del Nord.

Ciò che nell’ottica di Washington la Cina dovrebbe fare nei confronti di Pyongyang  è verosimilmente minacciare la fine dei massicci aiuti che garantisce ad un paese che soffre di una estrema povertà, anche a causa di decenni di dure sanzioni imposte dagli USA e dall’Occidente. I cinesi, da parte loro, se da un lato desidererebbero aprire la Corea del Nord alle proprie aziende alla ricerca di manodopera a bassissimo costo, dall’altro dispongono di limitati mezzi di persuasione nei confronti di un regime che si sente continuamente sotto assedio. La destabilizzazione della Nord Corea potrebbe provocare, infatti, non solo un massiccio afflusso di disperati verso la Cina ma significherebbe per quest’ultima ritrovarsi appunto una maggiore presenza americana alle porte.

La dimostrazione della potenza militare americana a due passi dalla Cina rappresenta solo la più recente offensiva di Washington in estremo Oriente. Negli ultimi mesi, gli Stati Uniti hanno ad esempio sostenuto fermamente le ragioni dei paesi dell’Asia sud-orientale nelle loro dispute territoriali con la Cina. Agli stessi governi, inoltre, l’amministrazione Obama si sta riavvicinando costruendo partnership strategiche sempre in funzione anti-cinese. Un rilancio della propria presenza in Asia quello americano che accresce il pericolo di una nuova guerra tra le due Coree e che l’inevitabile coinvolgimento cinese renderebbe ancora più rovinosa per l’intero pianeta.