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Mario Monicelli suicida. Grande fino alla fine

di Angela Azzaro - 30/11/2010




Non possiamo nascondere lo sconforto che ci colpisce alla notizia del suicidio di Mario Monicelli. Il grande regista si è buttato dalla finestra del quinto piano dell’ospedale San Giovanni di Roma. Quando scriviamo si sa solo che era ricoverato al reparto di urologia, per un tumore alla prostata. Non si sa invece perché abbia compiuto il gesto che ripete quello del padre, Tomaso noto giornalista suicida nel 1946. Ma conoscendo Monicelli, il suo spirito di autonomia, viene da pensare che il padre della commedia all’italiana, uno dei più grandi cineasti del nostro Paese, abbia scelto lui quando era il momento di dire basta. Di salutare. Di andare via e lasciare una vita che per lui è stata così piena di soddisfazioni, passioni, amori.

Monicelli è stato un comunista non palloso, non moralista, che ha saputo ridere e fare arte dei vizi e delle virtù del popolo italico. Ma è stato anche un uomo controcorrente, incapace di salire sul carro del vincitore, capace invece di posizioni politiche scomode. Il comunismo ma anche la libertà sono rimasti fino alla fine le sue bandiere, i suoi fari.

Viveva nel quartiere Monti, a Roma. Un quartiere modaiolo, anche un po’ fighetto, ma fatto meno per famiglie e più per giovani, per single. E lui nonostante i molti amori, ha continuato a vivere là solo, in pochi metri quadri. Perché per lui l’autonomia era un valore non mediabile, non scambiabile con altri favori o perbenismi.

E’ per questa ragione che davanti al suo gesto così estremo, e così triste, viene invece da pensare a un gesto di libertà, a un uomo che anche nella morte ha voluto decidere cosa era meglio, fregandosene del moralismo dei tanti guru pro life che ci vogliono convincere che la vita non è nostra ma di dio, dello stato, della chiesa, di qualcun altro. Monicelli ci dice che la vita è la nostra, e che siamo noi che dobbiamo decidere che fare del nostro corpo, delle nostre relazioni, del nostro futuro. Monicelli poteva dirlo, poteva farlo. Lui che c’ha fatto tanto ridere, tanto piangere, tanto riflettere sui parenti serpenti, poteva far capire a questa Italia bigotta che la libertà di scelta è qualcosa che viene prima di tutto.

Ma come tutte le morti,  come tutti i suicidi, anche la morte del grande regista suscita sentimenti diversi, persino contrapposti. Mario Monicelli era un grande. Un favorito dal destino, certo. Ma aveva 95 anni. Era vecchio. E la vecchiaia, più di tanti altri fattori, rende tutti uguali. E parliamoci chiaro la vecchiaia per gli uomini e le donne di oggi non è delle migliori. E’ fatta di solitudine, di indifferenza, di tristezza. Chissà, se il grande regista ha sentito anche questo, se ha deciso di andarsene anche per questo.

Qualsiasi sia stato il motivo, resteranno i suoi sessanta film da vedere e rivedere, le sue sceneggiature, il suo impegno politico, per ricordare e continuare ad amare un grande regista. Ma anche per rimpiangerlo, e non solo un po’.