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Il «colpo» dei soliti noti

di Marinella Correggia - 01/12/2010




Le multinazionali dei settori petrolifero, minerario, automobilistico sono pronte a ricavare centinaia di milioni di dollari dal sistema di protezione delle foreste chiamato Redd (Reduced emissions from deforestation and degradation) che l'Onu cerca di portare avanti. E il piatto è ricco anche per banche, linee areee, fondazioni, compagnie del gas, piantatori di palma e perfino gruppi protezionisti. Lo afferma un nuovo rapporto di Friend of the Earth International (Foe), coalizione di migliaia di associazioni ambientaliste sparse in tutto il mondo. Il rapporto di Foe è il primo tentativo di valutazione di centinaia di progetti pilota Redd, ritenuti dai promotori uno strumento centrale per rallentare o porre fine alla deforestazione che oltretutto rilascia immani quantità di anidride carbonica. Ma secondo i critici Redd equivarrà a privatizzare le risorse naturali. Ad esempio, la compagnia anglo-olandese Shell si è unita al gigante russo del gas Gazprom e alla Fondazione Clinton per investire nel progetto Rimba Rey, 100.000 ettari di torbiere in Indonesia.

Il progetto dovrebbe evitare l'emissione di 75 milioni di tonnellate di carbonio in 30 anni, fruttando in cambio al consorzio circa 750 milioni di dollari, al modesto prezzo di 10 dollari a tonnellata di carbonio risparmiata (un prezzo destinato certo a salire). E investendo circa 10 milioni di euro, la banca Merril Lynch, con la fondazione Flora and Fauna International e un gruppo australiano specializzato nel commercio del carbonio, potrebbero ricavare oltre 430 milioni di dollari in 30 anni, dal, progetto di protezione di 750.000 ettari di foresta nella provincia di Aceh, Indonesia. La corsa al Redd si limita per ora alle compensazioni volontarie delle emissioni ma potrebbe diventare qualcosa di molto più grosso se i paesi riuniti a Cancun per la Conferenza Onu sul clima vareranno il piano Redd che permetterà di compensare le emissioni nazionali di gas serra con il finanziamento della conservazione delle foreste.

Il flusso di denaro dai paesi che devono compensare le eccessive emissioni verso i paesi detentori delle minacciate foreste potrebbe arrivare a 30 miliardi di dollari all'anno.

Ma secondo il rapporto di Foe lo schema Redd provocherà la privatizzazione delle foreste del pianeta, scippandole alle popolazioni indigene e locali per metterle nelle mani di banchieri e commercianti di carbonio. Sono decine di milioni le comunità la cui sopravvivenza quotidiana dipende dall'accesso alle foreste. Redd può acuire le disuguaglianze, premiare gli investitori e recare scarsi benefici o addirittura svantaggi alle comunità che dipendono dalle foreste. Dunque, la titolarità della terra e dei diritti del carbonio deve essere risolta.

Non solo: la definizione legale di «foresta» e «foresta degradata» è incerta e si presta ad abusi. Ad esempio l'Indonesia, secondo la recente denuncia di Greenpeace, sta pensando di classificare come «terre degradate» ampie aree di quel che rimane della sua foresta, così da poterle tagliare e ricevere 1 miliardo di dollari di aiuti piantando là palme da olio e colture energetiche. Lord Stern, autore del celeberrimo rapporto su economia e cambiamenti climatici, sostiene che i progetti Redd sono un'opportunità da cogliere per prevenire le emissioni da deforestazione. Intanto l'Amazzonia e i suoi abitanti umani, animali e vegetali sono assetati dopo un mese di inusitata siccità che ha essiccato il fiume Negro, affluente del Rio delle Amazzoni. Scene desolanti destinate a diventare comuni?