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Critica a Thomas Pogge e al cosmopolitismo contemporaneo

di Manfredi Camici - 02/12/2010


Secondo Thomas Pogge (foto), eminenza del cosmopolitismo americano, sarebbe necessario organizzare un istituzione globale in grado di ridistribuire le ricchezze e di controllare, attraverso la formazione di una polizia globale, il rispetto della dichiarazione dei diritti umani. Lo stesso americano ammette però che è il sistema di diritto liberalcapitalista ad aver creato una cosi forte sproporzione. Infatti il 21 % della popolazione mondiale vive con meno di 140 dollari annui, una seconda linea di povertà fissata dalla Banca Mondiale a 913 dollari annui contiene il 42% della popolazione. Vista così la situazione potrebbe anche apparire rosea poiché queste statistiche, effettuate dalla Banca Mondiale, tengono conto solo di quante persone sono vive in un dato momento, non curandosi delle loro prospettive di vita. Così se le persone che costituiscono il terzo più povero di tutta l’umanità vivono, in media, la metà degli altri, con la conseguenza che il continuo ricambio all’interno della categoria, che rimane immutata numericamente nel tempo, dovrebbe far si che questo terzo in realtà sia molto più grande. Per dare l’effettivo peso a queste statistiche bisognerebbe adeguarle alle aspettative di vita, cosa che non casualmente non viene fatta. Ma andiamo avanti con i numeri. Il reddito complessivo del 20% della popolazione mondiale è di circa 175 miliardi di dollari l’anno, ossia lo 0,66% del consumo globale. Naturalmente queste statistiche non tengono neanche conto che le persone benestanti possiedono dei beni superiori al loro introito come case, aziende, auto etc. mentre le persone più povere ne sono sprovviste. Verrebbe da dire “meno male che ci sono loro!Viva i cosmopoliti!”. Il punto di partenza della teoria di Pogge d’altronde è encomiabile, quanto insostenibile. L’eroe americano sostiene infatti che se alla nascita fossimo bendati da un velo, che non ci permettesse di vedere il nostro futuro stato d’appartenenza, la nostra condizione sociale, le nostre prospettive di vita certamente svilupperemo un mondo che tutelerebbe i più svantaggiati, poiché potremo essere noi! Il problema è che Pogge non si accorge di iscrivere nel suo postulato di partenza ciò che poi non permette che si verifichi una tale situazione, stiamo parlando del “potremo essere noi”. Un filantropo che si cura di solamente di se stesso? Non è paradossale? Sembra appunto naturale che nel momento in cui abbiamo scongiurato la sfortuna di nascere nella parte povera del mondo, determinare un assetto tale che non ci tuteli, ma anzi ci danneggi sia folle e perché mai dovremo fare cosi? Per avvantaggiare qualche moribondo? No, forse l’umanità non è filantropa nel suo complesso. Ma ammettiamo che i cosmopoliti abbiano ragione. Con ciò vorremmo sottolineare che Pogge non sbaglia nella sua analisi di colpevolezza del sistema occidentale nella causa dell’aumento e dello sfruttamento della povertà mondiale, intendiamo semplicemente dire che ciò che è causa di questa patologia non può esserne ovviamente la cura. Infatti è ancor più un nonsenso appellarsi ai diritti umani universali, quando questi sono stati causa e scusa per creare la situazione odierna. Un individualismo cosi spietato è quello che serve per creare consumatori, indifferenti a tutto il resto, persino alla loro comunità e al loro stato. E forse è questo il vero cosmopolitismo. E’ la fine della comunità nazionale? Come potrebbe dunque nascere da qui un’umanità globale? Pogge a questo non può rispondere, perché non partire dal postulato che l’uomo sia buono e generoso, come ha più volte dimostrato di non essere, smentisce in pieno la sua ipotesi cosmopolitica. Molti sostengono, contrariamente a quanto crediamo noi e Pogge (unico caso in cui aderiamo alle sue tesi), che vi sia un errore concettuale in quanto sostenuto fin qui ovvero: i paesi ricchi non sono causa della povertà, semplicemente hanno fallito nel non aiutare a sufficienza. Una colpa molto meno grave, a detta di molti. C’è anche chi sostiene che la povertà debba essere combattuta a livello nazionale poiché solo queste istituzioni sono coercitive e hanno poteri positivi per fini distributivi (ad esempio emettere nuove tasse). La Banca Mondiale gioca con i debiti degli stati, questa non è forse coercizione?
Per fortuna abbiamo il Fondo Monetario Internazionale che concede facilmente prestiti ai paesi del terzo mondo chiedendo in cambio naturalmente poco e nulla, tale è il sentimento di equità di questa istituzione internazionale. Le condizioni per il paese ricevente il prestito sono queste: cessione della gestione delle risorse naturali, riduzione del deficit attraverso il risparmio sulla spesa pubblica, aumento delle tasse, privatizzazione delle aziende statali, immobilità del valore monetario, nessun controllo sui prezzi e, naturalmente, non potevano mancare i tanto decantati diritti umani. La soluzione a tutto ciò per Pogge è riformare l’assetto istituzionale internazionale. Cosa non chiara è però come sia possibile attuare ciò: si riforma da solo o lo dovrebbero riformare i singoli stati? A nostro avviso questo non è determinante, poiché essenziale è aiutare lo sviluppo uniforme della democrazia in ogni singolo stato, poiché la democrazia capitalista è bene supremo e fonte di gioia paradisiaca.