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Il tempio e il bosco

di Luciana Percovich - 08/12/2010

Fonte: nemetonmagazine



percovitch

“Perenne è il fascino emanato da divine creature femminee, meravigliosamente esperte di arti magiche e salutari, le quali sole sanno le virtù di certe erbe, di certi fiori, e ne compongono filtri e bevande, con cui danno morte e vita, infermità e salute nel vasto regno della natura… Per quanto risaliamo con la nostra indagine indietro nel tempo, ci incontriamo con insistenza in una dea, si chiami Circe o Pasifae o Medea o Hecate o Agamede o Mestra o comunque si voglia, che conosce a fondo le segrete proprietà delle piante.

Ed è ben naturale questo, quando si pensi che, parlando di pharmaka, noi entriamo proprio nel dominio della grande dea mediterranea, della potnia, la quale ‘nutre tutti quanti gli esseri presenti sulla terra, quanti abitano la terra divina, quanti il mare, quanti l’aria’. E domina pure il mondo vegetale, che si dispiega in un’infinita gamma di colori e di profumi, di steli e di corolle, di bocci e di inflorescenze, mille e mille vite infinitesime, costituenti il segreto tesoro della grande iddia, ‘lei che conosce tanti farmachi quanti ne produce l’ampia terra’.

Di queste divine cultrici d’arti magiche e salutari i poeti classici lasciarono immagini di squisita bellezza, come i Mediterranei le avevano intraviste e adorate nel culto svolto inizialmente all’aperto, sulla cima verde di un’altura, nelle radure luminose di un bosco, presso le rive opache di un lago, nell’ansa tranquilla di un fiume dove l’acqua corre più silenziosa….. Fra tutte la più nota forse è Circe, la maga dalle belle trecce che vive solitaria in un palazzo lucente, che sorge, miracolo architettonico, nel verde rigoglioso di Aiaia”.

Così scrive Momolina Marconi[i], per lunghi anni docente di Storia delle Religioni presso l’Università degli Studi di Milano, in uno dei suoi saggi più belli (Da Circe a Morgana, 1942) sulle divinità femminili del Mediterraneo nella lunga era che precedette l’arrivo dei popoli guerrieri, patriarcali e cittadini. In un altro suo saggio, Gli asfodeli alle soglie dell’Ade (1985), riprende questo tema:

“Alberi dunque come fondale. Ma altrove alberi forti di sacertà: tale il bosco di pioppi, un prato con una fonte lo recinge, dedicato ad Atena presso la tenuta di Alcinoo, dove Ulisse sosta in preghiera; esempio bellissimo di culto all’aperto … alla dea in quanto phytia ‘generatrice’, conservato anche quando l’ulivo era considerato un suo dono agli uomini…Non diversamente, Demetra del grano aveva caro un bosco a lei sacro, bosco e frutteto secondo Callimaco, dove a difesa di un suo pioppo la dea non esitò a punire l’ostinata violenza di Erisittone….E che perfino alle soglie dell’Ade, un bosco sia sacro a Persefone e lo sia un prato di asfodeli non deve meravigliare, ché proprio sul prato in fiore la dea visse il suo grande momento di trasformazione: ‘e presto furono nel prato asfodelo, dove abitan l’ombre, parvenze dei morti’”.

Al tempo della ri-scoperta del tempio di Hera alla foce del Sele, M. Marconi aveva già scritto (Il santuario di Hera alla foce del Sele, 1939): “Fermiamoci un momento a osservare la località di tale culto: è alla foce del Sele, che scorre tra due siepi nere d’alberi vecchi quanto il tempo, ultimo ricordo che sta anch’esso scomparendo delle grandi foreste che un giorno coprivano le sue rive, e dove ancora vengono a sostare di primavera e di autunno gli stormi di uccelli migranti verso il settentrione o verso le calde regioni dell’Africa. La selva e le acque rappresentano qui e altrove due elementi tipici di un antichissimo culto mediterraneo” che avvicina Hera a infinite altre analoghe figure divine, prima tra tutte Leto/Latona, di origine egeo-anatolica. “Essa pure si compiace, in terra licia ed efesina, di stare nei boschi e presso le acque, elementi essenziali e inscindibili per la sua vita di potnia phyton (signora delle piante) e, insieme, di potnia orniton (signora degli uccelli).

Come nel culto di Leto, anche in quello di Hera, la selva “sale, nel dominio dell’aria come una cattedrale, immensa; e noi la immaginiamo facilmente popolata della vasta e varia famiglia zoomorfa, ma ricca pure di una vasta e varia accolta di erbe e di fiori, costituenti il segreto giardino della dea, da cui essa sola sa trarre essenze magiche e salutari. Anche nel culto di Hera vi è un placido specchio d’acqua, alle cui rive essa si affaccia… Ci troviamo pertanto di fronte ad una identità originaria che non va trascurata; identità che mi permette fin d’ora di rilevare nel Mediterraneo occidentale quelle primitive forme cultuali che dominano nel mondo egeo-anatolico…Sta di fatto che tutta questa zona, a cui approdavano esigui nuclei di Mediterranei succedentisi a breve distanza di tempo, portando seco la loro divinità tutelare la quale altro non era che una forma dell’unica grande dea mediterranea, tutta questa zona, dicevo, era costellata di culti silvestri e salutari, ciascuno facente capo ad una personalità divina, signora di un hortus conclusus, inesauribile fonte di ogni specie di malia”.

Non deve perciò stupire che molti secoli più tardi, Morgana, erede di una ininterrotta tradizione di sapienza e venerazione, “in Avalon, isola dell’occidente, vive solitaria, perché così comanda la sua essenza superumana”. Morgana che tuttavia “disdegna la solitudine, per cui attira nella sua isola i più prodi cavalieri o di qui muove in cerca di avventure. Avalon assomiglia ad Aiaia (terra d’origine di Circe, situata nella Colchide che si affaccia sul Mar Nero orientale, n.d.a.). La maga ha bisogno di una terra lontana, separata dagli umani, che vi possono accedere solo se favoriti dal divino volere, dove la dea può compiere i più diversi mutamenti, circondarsi di animali fedeli, coltivare erbe e piante specialmente utili alla sua attività, allestire filtri e unguenti strani, svolgere insomma in piena libertà la sua arte segreta. Perché anche quando la dea non sta in una vera e propria isola, abita però… località solitarie e inaccessibili, in cui l’uomo non può impunemente metter piede se non vi è chiamato dal desiderio o dalla viva voce di lei”.

Che il culto nelle più antiche religioni comparse nella storia dell’umanità fosse possibile solo all’aria aperta, o più precisamente “in nessuno spazio costruito da mano umana” (come si credeva appunto nel mondo celtico) è un elemento che accomuna le civiltà pre-patriarcali, in tutti i continenti. Citerò qui un solo esempio, perdurato fino al presente, nell’arcipelago giapponese di Okinawa[ii].