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Sai Baba e la questione alcolica

di Emilio Michele Fairendelli - 11/12/2010


La crescente popolarità nel mondo occidentale di un Avatar come Sai Baba, nato Sathya Narayana Raju Ratnakaram (Puttaparthi, 23 novembre 1926) merita una riflessione.
Leggendo la silloge dei suoi interventi pubblici dal 1953 ad oggi non vi si troverebbe nulla di incerto, di censurabile rispetto ad una visione del mondo e del Divino saldamente ancorata al monismo induista.
Del tutto effettiva poi è la sua azione filantropica e benefattrice per progetti e opere in molti villaggi nell’area dell’India meridionale.
Come si potrebbe d’altronde non essere d’accordo con le parole di Sai Baba?

• Ama tutti, servi tutti – Aiuta sempre, non ferire mai.
• Dio è dentro di te. Scoprilo!
• Il servizio reso all’uomo è servizio reso a Dio.
• Comincia il giorno con Amore, riempi il giorno con Amore, trascorri il giorno con Amore, termina il giorno con Amore: questa è la strada che conduce a Dio.
• Se le malattie e le sofferenze non fanno distinzione tra ricchi e poveri, perché dovremmo farlo noi?
• La mia vita è il mio messaggio, il mio messaggio è la mia vita.
• Amate voi stessi perché incarnate Dio; amate e servite gli altri, perché incarnano Dio che parla ed agisce per mezzo loro.
• La Pace è il fiore profumato che nasce dal puro amore.

Egli è il Purnavatar (“Adoratemi!” grida ai famigliari dopo una crisi nervosa all’età di quattordici anni), il penultimo Avatar, colui che precede Kalki, in lui i tempi annunciati – da Giovanni, Malachia, Maometto sino a Papa Giovanni (sic) – si compiono e l’umanità giungerà al riconoscimento e all’adorazione dell’Uno e solo Dio.
In realtà nel messaggio di Sai Baba – a differenza di quello di altri Guru meno conosciuti – non v’è nulla di peculiare.
La sua visione è inscritta in un quadro noto e già più volte apparso nell’ordine spirituale.
La ragione principale della sua popolarità e del suo seguito in Occidente sta nella sovrannaturalità di eventi che lo riguardano.
I miracoli di Sai Baba.
Sai Baba produce vhibuti, cenere sacra, creandola dall’aria nelle proprie mani, ne rovescia decine di chili da urne apparentemente vuote, rigetta dalla bocca enormi lingam d’oro, trasforma gli oggetti.

I miracoli

La produzione di prodigi nel mondo materiale, in virtù delle leggi proprie alla manifestazione fisica, rassomiglia il tirarsi di un elastico.
Il risultato è ottenuto, in un modo vario e che può anche apparire formalmente innaturale, ma tutto ritorna poi come prima.
L’energia che produce il fenomeno, accesa al limite di due mondi, il vitale e il fisico (non occorre qui coinvolgere piani superiori) è in ultima analisi energia sottratta allo yoga del mondo, al suo compito di trasmutarsi qui, nella sua essenza e stabilmente.
Gli oggetti materializzati da Sai Baba (anche ammettendo non vengano prodotti in un piccolo laboratorio di Bangalore come vogliono alcuni ex discepoli) sono di fattura povera e rozza, ricordano gli apporti che si ottengono durante le sedute medianiche; in ogni caso queste materializzazioni non sarebbero nulla di diverso da quanto si trova in una fenomenologia come quella per esempio prodotta da Gustavo Adolfo Rol.
La produzione di cenere sacra dalle mani o dall’urna rovesciata, il rigetto dei lingam avvengono in un nascondimento e con modalità tali da suscitare perplessità; in alcuni video il trick manuale appare evidente, innegabile.
Altri tipi di miracolo, guarigioni o bilocazioni, hanno una casistica troppo limitata per poter essere assunti a fenomeni tipici di Sai Baba.
Il confronto con i miracoli operati da Gesù, un Maestro che Sai Baba cita frequentemente, è molto interessante.
Circa la necessità dei prodigi va stabilito che questa si accorda allo stato di evoluzione dell’uomo e l’umanità dell’anno duemila non è quella della Giudea del primo secolo.
Il Maestro ebreo opera secondo categorie: miracoli agiti per orgoglio individuale che misurano la propria dimensione umana (le nozze di Cana, il fico disseccato), prodigi diretti in virtù di compassione per l’uomo nel mondo (le guarigioni, la resurrezione di Lazzaro, la moltiplicazione di pani e pesci), miracoli che terminano un insegnamento (la moneta di Cesare nella bocca del pesce).
In Sai Baba si trova viceversa una serialità, prodigi uguali e senza storia il cui scopo, in tutta la penombra più sopra evidenziata e nel per così dire piccolo cabotaggio dei miracoli, sarebbe quello di convincere ogni uomo della verità del messaggio del Purnavatar, del suo essere tale.
E’ possibile che tutto questo, incluso il deliberato indulgere alla prestidigitazione chiaramente testimoniato in diversi video su internet, sia voluto, per insondabili ragioni, qualcosa di simile alle provocazioni di Osho Rajneesh?

La questione sessuale

Circola da tempo, esposta su un sito di ex discepoli i cui aggiornamenti sono per la verità fermi al 2005, la tesi che Sai Baba avrebbe molestato/abusato sessualmente/violentato psicologicamente alcuni discepoli.
Mi pare che qualche tentativo di azione legale da parte degli ex seguaci si sia poi rivelato un fallimento.
Il popolo occidentale che frequenta gli Ashram indiani è quello che è e presenta mediamente una labilità mentale e nervosa di prim’ordine, anche quando apparentemente riposa nel grande campo dell’ Amore Divino; le forze asuriche che si aggirano intorno ai luoghi dotati di grande energia psichica fanno spesso il resto.
Si è pronti a credere e vedere ogni cosa e, soprattutto se non si è costituiti almeno un poco dal punto di vista psichico e vitale, il Maestro può diventare in poco tempo l’Avversario (si deve ammettere che su questo la fisiognomica applicata alle fattezze di Sai Baba non aiuta).
Così, ogni tipo di Guru crea la propria deviazione peculiare.
Ho frequentato l’Ashram di Pondicherry, ho visto giovani americani allampanati e scandinave in carne gridare che il loro corpo, coerentemente agli insegnamenti del Guru Sri Aurobindo, stava – finalmente! – subendo l’invocata trasformazione supermentale.
Si trattava invece di psoriasi, micosi cutanee, allergie varie, scaglie d’epidermide e non muta umana verso il nuovo corpo di Gloria.
Non è in fondo rilevante più di tanto chiedersi se le molestie che gli ex discepoli lamentano abbiano mai avuto luogo.
Come si diceva più sopra in relazione all’aspetto miracolistico ad un Guru non può che applicarsi una regola sovrana: ogni sua azione verso i discepoli, verso il singolo discepolo e diversa per ognuno, non può che essere l’azione giusta.
Osho viaggiava con una Rolls Royce bianca nei miseri dintorni di Poona e questo era per i discepoli certamente un’azione spirituale ed un insegnamento.
Per questo e quell’altro motivo.
Non si controbatterà mai facilmente, su questo punto.
La vera domanda è perché questo tipo di denunce di ex seguaci, che non mancano mai in qualunque Ashram, si riferiscano nel caso di Sai Baba quasi esclusivamente alla sfera sessuale ed abbiano come campo il rapporto diretto Guru/discepoli e non, per esempio, tensioni, aure distorte nella sfera sessuale tra discepoli.

La questione alcolica

Nel messaggio del Purnavatar non si scorge un disegno escatologico:

“Non sono venuto per fondare una nuova religione.
Tutte le religioni sono perfette per le anime che loro appartengono. Debbono essere solo di nuovo colmate di santità e di forza. Questo è il Mio compito. Segui i Miei insegnamenti, abbi fiducia che Io ti libererò, sii pieno di Ananda, pieno di Divina beatitudine.”

Non manca la dimensione etica, ferma però all’Uno e al Suo Ananda infinito:

“ Se tu vivi nella confusione, nell’infedeltà o nella menzogna, ciò ti farà cadere in una pesante, cioè dubbiosa situazione. Se invece vivi nell’amore, nella fedeltà e nella sincerità, il bimbo Divino verrà a te e tu potrai ricevere col cuore aperto questo dono infinito.
Allora non ci sarà più alcuna differenza tra uomo o donna, madre o padre, bambino o adulto.
Tutto è Uno.
Tutto è Dio.
Tutto sei tu. Tutto sono Io.”

Nell’assoluta dichiarazione monista il grado di complessità, di consapevolezza circa lo stato attuale della Manifestazione, la sensibilità nello scorgere l’azione di forze spiritualmente avverse e il campo dell’Universo come un campo di battaglia non può che ridursi, subentra nel ricercatore uno stato di anestesia e di allucinazione spirituale così proprio ad ogni tendenza New Age: tutto va come deve e per il meglio, il mondo non è che una scuola, siamo tutti qui per lavorare e crescere, le nostre vite passate, la Luce!, ecc.
Questa riflessione non ha nulla a che vedere con il contenuto e il senso dell’azione di Sai Baba, spiega piuttosto parte del suo successo in Occidente e chiarisce un comune denominatore per i suoi discepoli.
Non cediamo alle parole del Reverendo Farquhar e tuttavia non possiamo non pensare: cosa accadde di indicibile all’inizio del Tempo, quando l’Uno diventò plurale? Siamo il dispiegarsi glorioso dell’Uno in una evoluzione infinita o suoi frammenti che degradano in una inerzia universale? Quale è il futuro della Terra? Quali Forze, a favore o contro il piano di Dio, agiscono oggi nel mondo? Qual è il futuro dell’uomo sul piano materiale?
Non attendiamo tutti inevitabilmente, adamiticamente ebbri di messianesimo, di sapere per cosa lottare o se la nostra disperazione può infine essere lecita?
Qual è il Tuo volere, o Supremo? Quale il compito che hai riservato per noi?
Confortaci con la Tua parola e dì a noi, Tuoi figli, che Tu stesso non hai fallito.
Su questo piano il New Age ci appare come un bambino, egli non coglie la tragedia riducendola a piccola favola, non intuisce che all’inizio del tempo, in Genesi I, così come il primo accordo di un Canto di Gloria potrebbe nascondersi un segreto per noi insopportabile.
E’ ancora Sai Baba a fornirci un passaggio significativo in questo senso:

“Il Cristo era uno stretto vegetariano.
Mangiava poco anche cibi cotti come fagioli e verdure, si nutriva prevalentemente di bacche, radici, frutti e semi.
E non beveva alcool.”

Ecco Gesù trasformato, in virtù dei corretti insegnamenti di Sai Baba (evitate gli intossicanti, nutritevi di cibi sattvici) in un quasi vegano, con enorme soddisfazione di molte anime belle.
In Giovanni 2, 1-11 – il Miracolo di Cana – episodio che in virtù della discussione con la madre è giudicato verosimilmente non simbolico e privo di interpolazioni, Gesù ha a che fare con il vino; va detto che non era consueta per un giovane fariseo osservante – quale Gesù era in gioventù – l’astensione dalla bevanda in feste quali quelle nuziali e che certamente sarebbe stato notata dall’evangelista.
Shalom Ben Chorin usa un metodo storiografico simile per provare – nessun Rabbi avrebbe potuto essere diversamente credibile secondo la tradizione ebraica – che Gesù fosse sposato.

In Matteo, 11, 18-19 abbiamo:

“È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: «È indemoniato». È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: «Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori». Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie.”

Qui si legge la natura appassionata, orientale e sensuale di Gesù, evidente anche in altri passaggi evangelici.
E’ facile immaginarlo bere e mangiare robustamente e con gioia.
Non è impossibile nè irriguardoso nei confronti del Maestro pensare che alcune sue orgogliose parole (p.e. in Matteo, 10,23: “In verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo”) mai compiute e atrocemente sconfitte abbiano potuto essere aiutate dalla bevanda inebriante.

Di nuovo in Matteo, 26, 29:

“Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio.”

Qui vibra, umanissimo e già nostalgico, il momento dell’addio, il saluto rivolto anche al buon frutto della vite.
Questo gioco della “questione alcolica” circa Gesù chiarisce la complessità delle cose.
Nel monismo senza definizione, puramente tautologico, di tanta ricerca spirituale dei nostri anni, nei Guru che non lo contrastano ma lo confermano agiscono con ogni chiarezza forze avverse alla Restituzione.
Un uomo che sia precipitato moralmente, schiavo delle sue colpe o delle droghe o del karma che lo avvolge deve in qualsiasi processo di reintegrazione riconoscere, prima di ogni altra cosa e con precisione attraverso un semplice processo di messa in luce, la sua situazione.
Allo stesso modo noi dobbiamo agire con la Manifestazione materiale di cui siamo parte, caduta e divisa all’inizio del tempo.
Per potere infine formulare dal profondo del nostro cuore la più alta e sola preghiera, che ancora non può essere pronunciata senza disperazione: o Supremo, Impensabile Divino, mostraTi, svela il Tuo disegno infinito, sia possibile per noi, Tuoi figli, credere nell’Opera e nel nostro luogo in quella, nella Restituzione dell’Unità perduta. Amèn.

* * *

Per le citazioni di Sai Baba:

Sathya Sai Baba, Discorsi 1953-1960 Vol. I, Ed. Milesi.
Stephan von Stepski-Doliwa, Sai Baba parla all’Occidente, Ed. Il punto d’incontro, 2000.