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2037. Pensioni piccole così

di Massimo Frattin - 14/12/2010


L’Inps tira il sasso e nasconde la mano. Prima elabora un dossier in cui si evidenzia il crollo verticale dei trattamenti previdenziali del futuro, poi dice che sono solo ipotesi 


Il 17 agosto. Il presidente dell’Inps Antonio Mastropasqua rispondeva così al giornalista del Sole 24 ore, Marco Rogari, in merito al sistema pensionistico italiano: «Con la manovra di quest'anno, credo che sia stata messa la parola fine al cantiere delle pensioni, perché sono state adottate due misure che mettono al riparo e stabilizzano il nostro sistema pensionistico. (...) Oggi il resto d'Europa ci guarda con interesse, non le nascondo che già da altri paesi europei qualcuno ha chiesto all'Inps di venire a conoscenza di queste norme».

Oggi, dopo la pubblicazione da parte del Corriere di un dossier dell’Inps con le stime relative alle future pensioni degli italiani, magari questi fantomatici paesi europei si muoveranno con più cautela. Già, perché a leggere le cifre del futuro che ci aspetta c’è da farsi venire i brividi. Nulla che non si  potesse immaginasse, certo, ma vedere le cifre nero su bianco e all’interno di uno studio organico è tutta un’altra cosa.

La previsione dell’Inps, che non tiene conto per la verità degli interventi dello scorso luglio – la “finestra mobile” che ritarda il pensionamento di un anno rispetto alla maturazione dei requisiti, e l’adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita a partire dal 2015 – dipinge uno scenario a lungo termine, fino al 2037, durante il quale gli assegni di pensione scenderanno gradatamente. Fino a toccare, e solo nei casi più fortunati, il 46% dell’ultima busta paga. Il tutto, beninteso, nella speranza che il sistema non collassi: nonostante la forte riduzione degli importi erogati ai singoli percettori, infatti, l’invecchiamento della società e la gestione dei fondi separati produrranno, secondo le cifre fornite dal documento, un inevitabile e crescente deficit di bilancio, con un disavanzo che nel 2037 assommerebbe a ben 702 miliardi.

A pagare lo scotto maggiore, sempre secondo lo studio dell’Inps, saranno i lavoratori oggi sospesi nel precariato. E non è certo una sorpresa. Per loro non solo si parla di cifre davvero esigue, che secondo le prime stime si aggirerebbero intorno a poco più di 500 euro al mese, ma i loro contributi sembrano costituire una sorta di fondo al quale attingere per far fronte ad altre emergenze, considerando che i primi di loro abbandoneranno il mondo del lavoro solo nel 2031. Per farla breve, tutti coloro che hanno davanti ancora almeno un ventennio di lavoro, dopo essere già stati praticamente costretti a usare il proprio tfr per integrare la futura pensione, continueranno a versare contributi di cui godranno in minima parte, e senza che nei calcoli dell’Istituto vi sia il benché minimo accenno a questioncelle come l’adeguamento al costo della vita. 

Ma attenzione al colpo di scena. Dopo che il Corriere ha diffuso questi dati, dall’Inps è arrivata una secca smentita: «Il valore dei bilanci tecnici attuariali, per l'Inps e non solo, consiste nel fornire indicazioni in relazione alla sostenibilità dei sistemi. Non sono certo, e non possono essere mai, utili per valutare la consistenza delle singole prestazioni, in un futuro remoto, secondo attese derivanti da percorsi lavorativi non standardizzabili e comunque imprevedibili nel corso non solo degli anni, ma addirittura di decenni».

Cioè, se capiamo bene: hanno analizzato uno scenario di lungo termine, ma non bisogna darci peso in quanto è  «impossibile prefigurare la prestazione previdenziale a 20-30-40 anni dal momento del godimento poiché i percorsi di lavoro non sono standardizzabili e poiché le attese macroeconomiche che influenzano i coefficienti di trasformazione non sono prevedibili ma anche perché l'aspettativa di vita è in costante crescitaAncora più difficile infine – conclude la nota – fare previsioni sulle prestazioni derivanti dalla gestione separata, dove la permanenza degli assicurati è di poco superiore ai cinque anni: la maggior parte di questi lavoratori transita dopo questo periodo in altri fondi». 

Ma perché mai l’hanno fatto allora, se è impossibile prefigurare alcunché? Certo, se queste sono la serietà e la capacità previsionale di chi deve provvedere alle nostre pensioni possiamo dormire tra due guanciali.