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Hariri, la pista israeliana

di Michele Paris - 19/12/2010



Nell’attesa del prossimo annuncio da parte del Tribunale Speciale per il Libano (STL) delle accuse formali in merito all’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri, il travagliato paese mediorientale continua a vivere un delicatissimo equilibrio. Nel caso, come previsto, l’organo internazionale con sede a L’Aja dovesse finire per mettere sul banco degli imputati membri di rilievo di Hezbollah, la conseguenza più immediata potrebbe essere la caduta del governo di unità nazionale guidato da Saad Hariri ed una probabile nuova esplosione di violenza nel paese.

Per evitare il conflitto in Libano si sta muovendo la diplomazia di mezzo Medio Oriente, a cominciare dai principali protettori delle due anime del governo di Beirut, Siria e Arabia Saudita, i cui leader sono stati protagonisti recentemente di un’eccezionale visita congiunta nel paese. Il gabinetto del premer Hariri si trova infatti in un situazione estremamente delicata. Già costretto a tenere assieme una coalizione nella quale dopo le elezioni del luglio 2009 a Hezbollah è stato garantito il diritto di veto su ogni decisione del governo, Hariri si trova ora a dovere gestire la patata bollente del Tribunale che indaga sulla morte del padre.

La sua Alleanza 14 Marzo aveva inizialmente fornito tutto il proprio sostegno all’indagine patrocinata dall’ONU, ma l’evoluzione della situazione interna ha dettato al premier un comportamento sempre più pragmatico e un approccio più sfumato al Tribunale. In un difficile equilibrismo, Hariri ha da un lato evitato di sconfessare apertamente lo stesso STL, come chiesto insistentemente da Hezbollah e dalle altre formazioni vicine al “Partito di Dio”, mentre dall’altro ha lanciato segnali di tregua verso gli sponsor di Hezbollah, Siria e Iran.

Alla visita del presidente Ahmadinejad in Libano dello scorso ottobre, nonché all’apparizione del premier turco Erdogan, ha fatto seguito quella recentissima di Hariri a Teheran dove, tra l’altro, l’ayatollah Ali Khamenei lo ha invitato a consolidare i rapporti con Hezbollah. In precedenza, oltre a varie trasferte a Damasco, il primo ministro libanese aveva sorprendentemente ritrattato le accuse al regime siriano circa il suo presunto coinvolgimento nell’assassinio del padre, fatto saltare in aria assieme ad altre 22 persone il giorno di San Valentino del 2005. Un cambiamento di rotta verosimilmente dettato da Riyadh, dove i regnanti sauditi appaiono disposti a sacrificare il Tribunale pur di conservare l’ordine a Beirut.

Saad Hariri, d’altra parte, è ben consapevole di non avere alcuna possibilità di ridurre l’influenza di Hezbollah, né tantomeno di disarmare la milizia sciita. Tanto più che negli ultimi mesi nel panorama politico libanese si sono moltiplicate le voci di quanti chiedono una condanna del Tribunale Speciale, tra cui l’influente leader druso Walid Jumblatt, numero uno del Partito Socialista Progressista e già co-fondatore della coalizione dell’attuale premier. “L’obiettivo del tribunale è la destabilizzazione del Libano piuttosto che la ricerca della verità”, ha dichiarato Jumblatt, dando voce ad un sospetto più che giustificato sulla natura politica dell’organo presieduto dal giurista italiano Antonio Cassese.

Se l’istituzione del Tribunale nel maggio del 2007 sembrava presagire un’accusa preconfezionata nei confronti del governo siriano, da qualche tempo esso appare piuttosto uno strumento per colpire Hezbollah, i cui effetti andrebbero a tutto beneficio di Washington e, soprattutto, di Tel Aviv. Senza mezzi termini, il leader di Hezbollah, Sayed Hassan Nasrallah, ha accostato il lavoro dell’STL agli interessi di Israele, da dove si auspicherebbe un’accusa esplicita contro la “Resistenza” in modo da costringere le forze di sicurezza libanesi ad agire per assicurare alla giustizia gli indagati.

Un tale scenario scatenerebbe quasi certamente un sanguinoso scontro tra sunniti e sciiti. Dal momento poi che il Tribunale è stato istituito sotto il Capitolo 7 dell’ONU, la prevedibile reazione di Hezbollah potrebbe essere contrastata dall’intervento di forze armate internazionali, autorizzate ad implementare con la forza qualsiasi verdetto verrà emesso.

Lo schermo dell’ONU serve insomma a dare il via libera ad un assalto a Hezbollah, contro cui è già in corso una campagna mediatica internazionale che, con ogni probabilità, finirà per intensificarsi in vista dell’annuncio ufficiale dei sospettati della morte di Rafiq Hariri. Le previsioni che Nasrallah continua a ripetere da alcuni mesi a questa parte, circa le incriminazioni che verranno formulate per alcuni membri della sua organizzazione, erano già state confermate da varie testate occidentali. L’ultima uscita in ordine di tempo è stata quella della televisione pubblica canadese CBC, che ha pubblicato un’indagine basata su fonti anonime che proverebbe la responsabilità di Hezbollah nei fatti del febbraio 2005.

Mentre il Tribunale ha fondato la sua inchiesta su testimonianze tese ad incriminare la Siria che si sono successivamente dimostrate false, si è al contrario rifiutato anche solo di prendere in considerazione altre evidenze che condurrebbero ad una pista differente. Già la scorsa estate era stato Hassan Nasrallah a presentare al pubblico e al governo libanese alcune registrazioni di agenti israeliani che, a suo parere, dimostravano come Tel Aviv avesse monitorato i movimenti di Rafiq Hariri fin dagli anni Novanta per inscenare il suo assassinio e incolpare poi Hezbollah.

Credibili o meno, le accuse lanciate da Nasrallah sollevano la questione innegabile della parzialità di un Tribunale Speciale che continua ad escludere dalle indagini ogni ipotesi di coinvolgimento israeliano. Nessun rilievo è stato dato, ad esempio, allo smantellamento di una rete spionistica in Libano che ha portato all’arresto di un centinaio di agenti infiltrati al servizio del Mossad, così come pressoché ignorata è stata la rivelazione da parte di Hezbollah che Israele aveva penetrato il proprio sistema di telecomunicazioni.

La compromissione di quest’ultima struttura risulta di particolare rilievo, dal momento che, come sembra, le eventuali prove delle responsabilità di Hezbollah nella morte di Hariri sarebbero basate proprio su dati raccolti dai tracciati telefonici. Come hanno confermato le autorità libanesi, Israele ha avuto la facoltà di controllare buona parte della rete di telecomunicazioni del vicino settentrionale. In questa situazione, confermano gli esperti del settore, è teoricamente possibile clonare telefoni e falsificare conversazioni o SMS sia in uscita che in entrata.

Un’ipotesi questa ribadita anche dal Ministro delle Telecomunicazioni libanese, Charbel Nahhas, nel corso di una recente conferenza stampa e rafforzata dall’arresto qualche mese fa di quattro spie piazzate da Tel Aviv all’interno della compagnia telefonica Alfa. Oltre a ciò, sempre il segretario generale di Hezbollah ha mostrato un filmato registrato da ricognitori israeliani che seguivano l’identico tragitto percorso dal convoglio al seguito di Rafiq Hariri il giorno stesso del suo assassinio. Un insieme di indizi, insomma, che dovrebbe quanto meno richiamare l’attenzione di un tribunale teoricamente incaricato della ricerca della verità dei fatti, soprattutto alla luce del lungo elenco di omicidi mirati portati a termine da Israele sul suolo libanese nei passati decenni.

A Beirut, in ogni caso, si assiste ad una corsa contro il tempo per cercare di mettere al riparo il governo dagli effetti di un’incriminazione che metterebbe a rischio la stabilità del paese. Lo stesso Saad Hariri, pur non potendo ripudiare apertamente un tribunale sul quale molti dei suoi alleati hanno scommesso il proprio futuro politico, si è dato da fare per cercare almeno un rinvio dell’annuncio ufficiale dei sospettati. Per liquidare del tutto l’STL sarebbe necessario d’altronde un improbabile voto del Consiglio di Sicurezza del’ONU.

Una possibile via d’uscita per il premier libanese, con il beneplacito saudita, potrebbe essere quella di lasciare ad un voto del Parlamento la condanna del Tribunale Speciale. Questa soluzione è stata proposta qualche giorno fa dal presidente del parlamento Nabih Berri e consentirebbe a Saad Hariri di salvare la faccia e le sorti del proprio gabinetto. Alla Camera dei Deputati di Beirut, Hezbollah e i suoi alleati, che controllano direttamente 57 seggi su 128, sarebbero infatti in grado di raccogliere i voti sufficienti ad una mozione contro il Tribunale. Un espediente che non farebbe certo la felicità di Stati Uniti e Israele ma che appare forse l’unico modo per evitare che la violenza settaria riesploda nuovamente nel paese dei cedri.