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Popolazione e clima

di Giorgio Nebbia - 21/12/2010

Fonte: La Gazzetta del Mezogiorno.







Ogni tanto riemerge il problema dei rapporti fra la popolazione, quella mondiale e quella di singoli paesi, e i fattori economici e ambientali. 40 anni fa, quando è nata l’”ecologia”, la popolazione mondiale era meno di 3500 milioni di persone (oggi nel 2010 è quasi settemila milioni); già allora era stata manifestata la preoccupazione che le risorse planetarie non potessero bastare a soddisfare, per tutti i terrestri, “la fame” di cibo, di acqua, di petrolio, di acciaio, di plastica, eccetera.


L’analisi del rapporto fra popolazione che “cresce troppo” e risorse che crescono molto più lentamente (o, in qualche caso addirittura diminuiscono) risaliva a Malthus, alla fine del Settecento ed è stata poi ripresa molte volte. Negli anni settanta del Novecento esistevano associazioni che raccomandavano la “crescita-zero” della popolazione mondiale e il rischio di un aumento ”eccessivo” della popolazione era ripreso dal libro “I limiti alla crescita” del Club di Roma. Poi sono successe tante crisi politiche ed economiche e il problema è stato accantonato.


Ogni tanto il problema dei rapporti popolazione-risorse-inquinamento riemerge mostrando tutte le sue contraddizioni Un importante banchiere nei giorni scorsi ha scritto che la crescita della popolazione contribuisce a far aumentare il “Prodotto Interno Lordo” “grazie” ad un aumento dei consumi di cibo, acqua, merci, energia; purtroppo, di conseguenza, aumenta anche la massa dei rifiuti immessi nell’ambiente.


Un articolo apparso quasi contemporaneamente nei Proceedings (Atti) della Accademia delle Scienze degli Stati Uniti ha messo in evidenza che una diminuzione fino al 30 % delle emissioni annue di anidride carbonica (CO2), e quindi un allontanamento nel tempo delle conseguenze climatiche negative future, potrebbe essere ottenuta rallentando la crescita della popolazione. La quantità della CO2 immessa nell’atmosfera a livello mondiale, come quella di qualsiasi altro agente inquinante, dipende da tre fattori: il numero dei “consumatori”; la quantità di merci e beni materiali ed energia che ciascuna persona usa; la qualità, cioè il potere inquinante, di ciascuna merce o bene materiale.


Spingendo lo sguardo al 2050 (più in la nessuno può azzardarsi ad andare) si vede che in tale anno è inevitabile che la popolazione mondiale, anche se aumentasse più lentamente di oggi (circa 60-70 milioni di persone all’anno), sia inferiore a novemila milioni: una stima bassa. Se anche i consumi individuali, nei paesi industriali e in quelli emergenti, restassero uguali agli attuali, il che é impossibile perché tutti, specialmente nei paesi emergenti, vogliono avere più automobili, più case e più plastica, “inevitabilmente” aumenterebbero anche le quantità di carbone, petrolio e gas naturale estratti ogni anno dalle viscere della Terra e bruciati, con aumento della quantità di CO2 che ogni anno finisce nell’atmosfera.


Ma anche “se”, usando processi produttivi e fonti energetiche alternativi agli attuali, le emissioni di CO2 nell’atmosfera per il prossimo quarantennio restassero uguali a quelle attuali, circa 25 miliardi di tonnellate che ogni anno si aggiungono alla CO2 già esistente nell’atmosfera, da qui al 2050 la concentrazione della CO2 nell’atmosfera aumenterebbe dalle attuali 380 ppm (parti di CO2 per milione di parti di atmosfera, in volume) a circa oltre 450 ppm. Se ciò avvenisse, si avrebbe (a meno di indesiderabili catastrofi planetarie come esplosioni nucleari o gigantesche eruzioni vulcaniche) un ulteriore riscaldamento dell’atmosfera terrestre, maggiori cambiamenti nelle piogge e nella siccità delle varie zone del pianeta, anche se non è facile capire a chi toccherebbe l’uno o l’altro evento.


Lo studio americano mette inoltre in evidenza che, a parità di tutte le altre condizioni, un peggioramento del clima potrebbe essere provocato dall’apparentemente irrefrenabile aumento della popolazione nelle grandi città, nelle quali i consumi, di merci ed energia e di mezzi di trasporto, sono più concentrati e più rapidamente crescenti.


A complicare le cose contribuisce anche il fatto che settemila o novemila milioni di terrestri non sono una entità omogenea; un rallentamento della velocità con cui aumenta la popolazione, come si sta verificando in tutta Europa in seguito alla diminuzione della natalità, cioè del numero di figli in ciascuna famiglia, ha come effetto un aumento della proporzione degli anziani. E anche gli anziani hanno bisogno di beni materiali e di servizi, anche se diversi da quelli delle generazioni più giovani: gli anziani hanno bisogno di meno automobili, meno benzina e meno campi sportivi ma hanno bisogno di più ospedali e spazi verdi e ricreativi e assistenza personale. L’aumento del numero di anziani, per esempio in Italia, sta determinando una crescente immigrazione, dai paesi poveri verso i paesi “ricchi”, di persone giovani disposte a fare gli assistenti familiari e gli infermieri. Tutto questo fa aumentare, non diminuire, la richiesta di merci ed energia e il relativo inquinamento.


Quali effetti avranno questi complessi, contrastanti, cambiamenti sull’inquinamento e sui mutamenti climatici (un tema che sarà affrontato nel prossimo novembre dalla ennesima conferenza che si terrà a Cancun, nel Messico, alla ricerca di un improbabile accordo internazionale sulla diminuzione delle emissioni di gas serra nell’atmosfera) ? E quali effetti avranno sulla richiesta mondiale di merci e sulla produzione industriale, sulla richiesta di cibo e quindi sulla struttura dell’agricoltura che a sua volta richiede acqua, concimi e energia e altera la superficie del suolo e contribuisce ai mutamenti climatici ?


Il 16 ottobre scorso si è tenuta l’annuale giornata mondiale dell’alimentazione, col solito ritornello di quanti sono i milioni (sono mille) di sottoalimentati nel mondo; noi ce la caviamo con una scrollata di spalle e con qualche avara donazione, dimenticando che popolazione, e cibo, petrolio e inquinamento sono tutti legati fra loro. Se la politica si occupasse di questo, e non di frivolezze, potrebbe venirne solo del bene per tutti.