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Contro questo Stato, viva l’Antistato

di Alessio Mannino - 22/12/2010


Per ora la battaglia si ferma a un piano simbolico: il Potere si chiude in se stesso, mentre i cittadini riempiono le piazze. Il simbolo, appunto, di una distanza incolmabile

“Lasceremo soli i palazzi della politica”. Questo, mi pare, è il messaggio-chiave che le voci ufficiali della protesta studentesca hanno voluto lanciare alla vigilia della giornata campale di oggi. Distanza calcolata dalla “zona rossa” romana, manifestazioni creative e spiazzanti, promessa di una rigorosa condotta pacifica e un pizzico di misteriosa riservatezza per tenere alta l’attenzione, ma il tutto col preciso scopo di smentire i gasparreschi strepiti repressivi e rovesciare l’immagine di facinorosi che giocano alla battaglia contro gli “sbirri” (una contrapposizione che piace tanto al Potere: un problema sociale, generazionale ed esistenziale ridotto all’assalto dei barbari contro le mura del consesso civile).

Se i fatti dovessero confermare questa strategia della diversione, i giovani decembristi eviterebbero la trappola della violenza inutile e avrebbero già vinto l’unica sfida che per ora si può vincere: lo scontro simbolico. Non avendo alcun senso politico, cioè nessuna chance di coagulare e letteralmente armare il consenso ad un attacco rivoluzionario che non c’è e non può esserci, il ricorso alla forza è solo un sintomo d’impotenza, benché giustificata dalla devastazione delle vita a norma di legge (Biagi e, sia detto per la cronaca, dell’intera legalizzazione del business unico régolo e dio). La battaglia si combatte allora fra simboli. Da una parte lo Stato, il Potere, il governo visibile e il governo-ombra dei poteri opachi dei consigli di amministrazione (follow the money: seguite il tragitto di chi tiene i cordoni della Borsa e delle casseforti e capirete chi comanda davvero): il Sistema che con la finzione delle riforme necessarie e ineluttabili, del giudizio dei mercati e dei vincoli europei, della concorrenza globale e della responsabilità nazionale dipinge ogni vagito di rivolta come terrorismo di piazza da risolvere coi Daspo e i paternalistici appelli all’ordine. 

Dall’altra una folla solitaria di ragazzi privi di un disegno e di un’alternativa pensata e organizzata alla società del malessere, ma che questo malessere lo hanno portato sulle strade con un vigore  e una rabbia che da tempo non si vedevano. Il fatto che, stando almeno a quanto hanno annunciato, intendano porsi in contrasto con le istituzioni sorde e grigie mettendo in atto un embrionale rifiuto tout court di esse è un segnale che dovrebbe essere sviluppato, per costruire l’altro fronte del campo. Se sull’altra barricata c’è lo Stato, su questa deve sorgere l’Antistato. Se nel centro chiuso e asserragliato della capitale si trincera il Parlamento, nella piazza luogo principe della democrazia deve riunirsi l’Antiparlamento. Se, e veniamo al punto fondamentale, nell’immaginario collettivo spadroneggia il Regime, di facciata pseudo-rappresentativo e nella sostanza controllato dalla finanza internazionale, chi si ribella ha non solo il diritto ma il dovere di elaborare un Antiregime fatto di pensiero critico e azione intelligente. 

Non vorremmo sembrare retorici e velleitari. Il nostro sforzo è intravedere un segno di buon augurio per una ribellione ancora tutta da fare. Ci sono trentenni, seri e motivati, accampati a casa a carico dei propri vecchi con stipendi intermittenti da fame, umiliati nella propria dignità e costretti a vedere nero il futuro che gli viene negato perché “il Pil non cresce abbastanza” e il Paese “non corre” (ma correte voi, posapiano col culo incollato a decine di poltrone che vi passate fra voi come figurine). Eppure non siamo ancora scesi al livello di non ritorno che consentirebbe di scrostarsi di dosso i residui blocchi mentali – la paura del salto nel buio – che impediscono alla rivolta, sacrosanta ma monca, di munirsi delle armi che ci vogliono. Prima fra tutte la consapevolezza che se non si esce dall’ossequio obbligato a questo Sistema, a questa economia e anche, cominciamo a dirlo, a questa Costituzione, non si esce dal cortocircuito della contestazione senza sbocco. Se non si ha il coraggio dell’Antitutto, ci cuccheremo ancora per un bel pezzo questo Tutto, e con la insopportabile sensazione, cari ragazzi, che ciò che meritoriamente fate non serva a Nulla.