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Dossier Russia

di Gianni Petrosillo - 04/01/2011

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Sulla rivista online Regard sur l’est, specializzata in questioni internazionali e in analisi di geopolitica, è stato pubblicato un interessante dossier - a chiusura dell’anno “incrociato” di amicizia Francia-Russia, grazie al quale sono stati rafforzati i legami politici, economici e culturali tra la potenza eurasiatica e quella transalpina – che ci restituisce un’immagine diversa del Paese guidato dal duo Medved-Putin, in contrasto con le cattive narrazioni rilasciate ad abundantiam dall’informazione di casa nostra.



Sicuramente, il suggello ai rinnovati rapporti di collaborazione tra i due Stati è stato messo con la vendita della portaelicotteri francese Mistral alla marina russa. In seguito a questo affare, dal forte sapore simbolico (si deve difatti annotare che si tratta della prima vendita di una piattaforma militare da parte di un paese Nato ad un terzo esterno all'alleanza) oltreché strategico-militare, si sono levate pesanti voci di dissenso in Occidente, e, in special modo, nelle ex-colonie comuniste orientali, le quali temono ora la ripresa dell'aggressività del Cremlino che, dopo aver ridisegnato la sua dottrina di sicurezza, non accenna a far cadere i suoi interessi su territori considerati organici alla propria sfera d’influenza ed al proprio spazio vitale.



All’indomani della firma del contratto che prevede la cessione di questa portaelicotteri nonché la costruzione su licenza di ulteriori quattro esemplari nei cantieri navali russi, il comandante in capo della Marina, ammiraglio Vladimir Vysotsky, ebbe appunto a dichiarare esplicitamente alla stampa di tutto il mondo, gettando altra benzina sul fuoco, che se avessero avuto a disposizione quelle navi durante la Guerra in Georgia del 2008, in 40 minuti sarebbe stato possibile sbarcare “tanti uomini quanti scesero dalla flotta del Mar Nero in 26 ore”. Tali affermazioni suscitarono sconcerto e preoccupazione a Tbilisi, nelle Repubbliche vicine, ma anche, ça va sans dire, a Washington. Quest’ultima iniziò le solite pressioni mediatiche e diplomatiche affinché il governo francese rinunciasse all'intesa per non mettere in mani nemiche tecnologie così avanzate, capaci di incidere sugli equilibri geopolitici dell'area oltreché sul senso e sul ruolo stesso dell'alleanza atlantica in quelle zone.



Inutile negare che queste aperture sono state il frutto del buon lavoro di ricostruzione del Paese svolto dai governanti russi che, dalle dimissioni di Eltsin in poi (1999),  hanno saputo rilanciare il proprio Stato diventando interlocutori di primo piano delle principali Capitali del Vecchio Continente.  Queste, dichiarazioni ufficiali a parte, erano in cerca di uno sbocco economico alla crisi sistemica globale e di un diverso percorso storico dopo l’indebolimento dell'unipolarismo americano. Nella rinata Potenza russa esse hanno trovato una staffa sulla quale fare leva per l’uno e per l’altro. Poiché la Russia non era riuscita a farsi capire dall’Ue, si è rivolta singolarmente ai suoi membri più rappresentativi (Germania, Italia e appunto Francia), inaugurando una pragmatica diplomazia di rapporti bilaterali, di tipo win-win, che ha depotenziato l’atteggiamento aprioristicamente preclusivo di Bruxelles nei suoi confronti. D’altro canto, l’Unione Europea, dopo l’inclusione a pieno titolo nella sua membership di quei Paesi che per decenni avevano fatto parte del blocco comunista, ha introiettato passivamente i timori dei nuovi aderenti che temevano di essere ancora risucchiati dalla forza gravitazionale russa. Per rassicurarli Bruxelles ha sostenuto le loro istanze isteriche con azioni di supporto economico e politico senza visione strategica e convenienza economica. Uno di questi programmi, il Partenariato orientale, fortemente voluto da Polonia e Svezia, ha l’obiettivo di riconfigurare le strutture finanziarie e sociali di Ucraina, Moldavia e Bielorussia sul modello occidentale per allontanarle da Mosca. Queste provocazioni e ingerenze sull'estero prossimo russo hanno accresciuto stolidamente l’idiosincrasia tra potenziali perni geopolitici della massa eurasiatica che sono accomunati, piaccia o meno ai conservatori di ogni ordine e grado, da una geografia favorevole e da una affinità culturale che stimola l'attrazione reciproca. Del resto, secondo i russi, ed anche secondo noi, è strano che l’Europa concentri tutte le sue energie in un’area non ancora così appetibile economicamente, distraendo essenziali risorse da altri assi più strategici come l’Unione per il Mediterraneo che potrebbe essere un volano per il rilancio delle regioni del sud-europee fortemente colpite dalla crisi, Italia meridionale compresa. Ma sono stati propri questi atteggiamenti continentali a convincere la Russia a riorientare il proprio approccio verso i suoi vicini ricorrendo maggiormente al guanto di velluto piuttosto che al classico pugno di ferro dei decenni precedenti. Questo significa, innanzitutto, che la Russia è diventata un paese molto più sicuro di sé e delle sue potenzialità che non originano solo dalla copiosa disponibilità di gas e petrolio. Le élite politiche russe hanno ridefinito la loro linea politica sin dal discorso nazionale di Puntin del 2005, allorché fu lanciata la campagna di “civilizzazione” dell'insieme eurasiatico per dare un diverso sviluppo alle relazioni con il vicinato. Se si eccettua l'incidente georgiano, peraltro inevitabile alla luce dell'aggressione unilaterale portata dall’esercito di Tbilisi agli osseti e alla forze d'interposizione russe, Mosca ha scelto di attutire i dissidi con l'estero, prossimo e lontano, accantonando le questione ideologiche e basandosi su principi di concretezza relazionale. Come viene sottolineato in uno di questi articoli che compongono il dossier, la traduzione di questi concetti nella realtà passa, in primo luogo, dalla modernizzazione di strumenti formali ed informali. Attraverso questi strumenti la CSI è stata ridisegnata per dare maggiore performatività agli interessi reciproci nella regione. Basti osservare come sono mutati gli atteggiamenti russi nei confronti tanto dei paesi membri che delle nazioni associate, partecipanti o ex aderenti alla Comunità degli Stati indipendenti. Il partito Russia Unita costituisce, sotto tale profilo, il punteruolo di una strategia d’influenza che si fa valere in molti contesti. La piattaforma politica del partito segnala questo nuovo approccio orientato al pragmatismo e alla flessibilità ideologica, utile a sostenere il dialogo con altre formazioni parlamentari estere di differente tradizione culturale e rappresentatività sociale. Russia Unita, principale compagine maggioritaria della Duma, seguendo questo percorso proteiforme si ritrova a discutere senza preconcetti con gruppi politici stranieri di destra e di sinistra ai quali dà il suo appoggio, mettendo a disposizione le sue strutture economiche e propagandistiche, in cambio di un’apertura verso le politiche russe e le esigenze geopolitiche di questo paese. Russia Unita contribuisce così a sviluppare forme di diplomazia parallela che influenzano la politica dei partiti degli stati vicini per accordarla alle esigenze globali della zona di cui Mosca vuole essere centro regolatore. Non vi è nulla di antidemocratico in ciò ed anzi sembra che dalle parti del Cremlino abbiamo imparato presto a servirsi dei mezzi di condizionamento tipici delle società occidentali. Tanto per riportare un esempio dell’uso spregiudicato dei media che anche in Russia si fa per dette finalità, dopo la caduta in picchiata dei rapporti con la Bielorussia sono stati mandati in onda dal canale NTV (di proprietà del gigante energetico Gazprom) dei docufilm contro il Presidente Lukashenko che denunciano la corruzione e le malversazioni operate dalla casta di cui egli è il leader. Il thriller, articolato su più puntate, descrive Lukashenko come il padrino di un sistema di clan che reprime e deprime la società bielorussa impedendo alla stessa di crescere economicamente e democraticamente. Questi episodi dimostrano come anche in Russia il soft power sia diventato un’ arma essenziale (gli americani lo sanno da anni) per fare breccia in società forti e stabilizzate che non possono essere attaccate frontalmente. Anche dalle parti di Mosca non sono dei santi ma il ruolo che svolgono è oggettivamente rivoluzionario per raggiungere quella massa critica geopolitica necessaria ad accelerare il confronto con il blocco occidentale a guida Usa ed entrare così nell’epoca policentrica.



Comunque vi invito alla lettura del materiale di cui indico qui il link:




http://www.regard-est.com/home/breve_contenu.php?id=1154