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Il Corridoio di Danzica fu creato dagli Alleati proprio per rendere inevitabile un nuovo conflitto?

di Francesco Lamendola - 10/01/2011




«Mourir pour Dantzig?» («Morire per Danzica?»), si chiedeva, decisamente perplesso, il politico francese Marcel Déat, in un articolo apparso il 4 maggio 19139 sul giornale «L’Oeuvre»: e il suo dubbio era anche il dubbio di una intera generazione europea.
Danzica era una città largamente tedesca, sebbene i sobborghi e i dintorni avessero anche una popolazione slava (Polacchi e Casciubi) e sebbene l’architettura fosse, in realtà, di impronta olandese, dovuta alla numerosa colonia di immigrati dai Paesi Bassi che vi si stabilirono al tempo in cui faceva parte della Lega Anseatica.
Dopo essere stata a lungo e sanguinosamente contesa, nel Medioevo, fra i re di Polonia e i Cavalieri dell’Ordine Teutonico, anche a causa della sua posizione strategica presso la foce della Vistola, che ne faceva una via commerciale privilegiata fra l’Europa centro-orientale e il Mar Baltico, nel 1793 (all’epoca della seconda spartizione della Polonia) venne definitivamente annessa alla Prussia, nonostante che i suoi abitanti - un po’ come avevano fatto i Triestini nei confronti di Venezia - avessero cercato a lungo di mantenere la propria indipendenza.
Al termine della prima guerra mondiale, il 28 giugno 1919, con il Trattato di Versailles le potenze vincitrici istituirono la Città Libera di Danzica, governata da un commissario nominato dalla Società delle Nazioni, allo scopo di dare alla Polonia il desiderato sbocco al mare, mediante il cosiddetto «corridoio polacco». Si trattava, comunque, di una palese finzione giuridica, poiché la città si trovava, “de facto”, sotto il controllo della Polonia; la quale, oltre alla unione doganale con Danzica, possedeva anche la Westerplatte cittadina, adibita a base militare. Solo il 6 marzo 1932 (quando Hitler non era ancora andato al potere) essa dovette rinunziare al controllo di Danzica, conservando in compenso il porto di Gdynia (Gdingen in tedesco).
Gdynia, che si trova ad appena 25 km. da Danzica, era stata, fino al 1914, un insignificante villaggio di pescatori, con una popolazione di appena 1.000 abitanti; ma dopo la guerra il governo polacco volle farne un grandioso porto militare. Vennero utilizzati investimenti stranieri e venne favorita una massiccia immigrazione dall’interno, tanto che, nel 1939, Gdynia aveva ormai una popolazione di ben 100.000 abitanti, ovviamente tutti polacchi.
Intanto i Tedeschi di Danzica non facevano mistero del loro desiderio di riunirsi alla madrepatria tedesca: e anche qui sorge spontaneo un parallelo con la situazione di Fiume dopo la prima guerra mondiale; con la differenza che il «corridoio» e lo status di città libera per Danzica creavano una discontinuità territoriale fra la Prussia Orientale e il resto della Germania, discontinuità che non esisteva nel caso di Fiume rispetto all’Italia.
A dire il vero, non esisteva nulla di simile in alcun Paese al mondo, almeno nel XX secolo, se si fa eccezione per l’assurda situazione di Panama, uno Stato che gli Stati Uniti d’America avevano creato dal nulla, fomentando una secessione dalla Colombia, al solo scopo di assicurarsi il possesso della Zona del Canale, che tagliava in due la neonata repubblica (1903). Infatti, quando il presidente Theodor Roosevelt aveva concepito l’idea di assicurare al proprio Paese il controllo del futuro Canale fra l’Atlantico e il Pacifico, il governo della Colombia, cui apparteneva la regione dell’Istmo, non aveva voluto cederne il controllo ad un consorzio nordamericano, rifiutandosi di ratificare il trattato del 1901, che avrebbe assegnato agli Stati Uniti non solo la costruzione del canale, ma anche la sua gestione, per un periodo di ben 100 anni.
Per inciso, l’esclusiva sovranità americana sulla Zona del Canale (con tanto di francobolli propri e con il dollaro come moneta ufficiale), rafforzata dalla presenza di basi militari e di ingenti forze navali, aeree e terrestri, è terminata solo nel 1979, per essere sostituita da una ventennale amministrazione congiunta statunitense e panamense; finché, nel 1999, la Zona del Canale è tornata a far parte integrante della Repubblica di Panama. 
Intanto, però, la Colombia, pur restando l’unico Stato sudamericano bioceanico (si affaccia, infatti, sia sull’Oceano Atlantico che su Pacifico), è rimasta esclusa da questa fondamentale area strategica e niente e nessuno potranno risarcirla del danno subito e della evidente forzatura nordamericana che presiedette alla nascita della Repubblica di Panama; la quale, guarda caso, appena nata con la secessione dal governo di Bogotà, si era affrettata a riconoscere tutti i diritti sul futuro canale ai suoi poco disinteressati protettori di Washington.
Il caso di Danzica, dunque, era un “unicum” giuridico nel mondo intero e solo lo stato di estrema prostrazione in cui venne a trovarsi la Germania al termine della prima guerra mondiale, accentuato dalle clausole punitive del Trattato di Versailles e specialmente da quelle relative alle cosiddette riparazioni economiche,  rese possibile il crearsi e, in seguito, il protrarsi di una situazione così paradossale, che di certo nazioni come la Francia o la Gran Bretagna non avrebbero mai tollerato quanto a se stesse.
La popolazione di Danzica non  smise mai di sentirsi tedesca e lo si vide ripetutamente, nelle elezioni per il governo cittadino; nel maggio del 1933 - dunque poco dopo l’ascesa al potere di Hitler in Germania - esse furono vinte dai nazionalsocialisti, i quali, ovviamente, cominciarono a chiedere con insistenza il ritorno alla madrepatria.
Eppure passarono cinque anni prima che il Führer ponesse ufficialmente sul tappeto la questione della sovranità tedesca su Danzica; ciò avvenne solo il 24 ottobre del 1938, quando offrì alla Polonia, contestualmente, un patto di non aggressione di durata venticinquennale.
La proposta venne rinnovata il 21 marzo 1933 (due giorni prima che i Tedeschi, in seguito a un accordo con la Lituania, rientrassero in possesso di Memel) e respinta come la volta precedente. Hitler ne riferì al Reichstag, in un discorso ufficiale del 28 aprile successivo,  nei seguenti termini:

«Considero tuttavia doveroso far presente al Governo di Varsavia che come la Polonia desidera uno sbocco sul mare, così la Germania ha bisogno di avere accesso alle sue province situate ad Est. Questi sono tutti problemi di difficile soluzione, ma la Germania non ne è responsabile; lo sono piuttosto gli impostori di Versailles che con la loro malvagità e avventatezza, hanno piazzato 100 barili di polvere intorno all’Europa muniti di miccia a lenta combustione. Questi problemi non possono essere risolti con idèe antiquate ma con nuovi metodi. 
Lo sbocco al mare della Polonia e una strada Tedesca attraverso il Corridoio, ad esempio, non hanno nessun tipo di rilevanza militare, ma hanno un’importanza esclusivamente economica e psicologica. Assegnare un’importanza militare ad una strada di questo genere significa ignorare completamente la tattica e la strategia militare. 
In seguito a queste considerazioni ho sottoposto al Governo Polacco le seguenti proposte: 
1) Danzica tornerà a far parte del Reich Tedesco come Città Libera. 
2) Alla Germania dovranno essere concesse una strada ed una ferrovia attraverso il Corridoio aventi entrambe lo status di extraterritorialità come lo stesso Corridoio. 
In cambio la Germania è pronta a: 
1) Riconoscere alla Polonia ogni diritto economico su Danzica.
2) Assicurare alla Polonia un porto franco a Danzica con accesso al mare completamente libero. 3) 
3) Considerare definitivi gli attuali confini tra la Germania e la Polonia.
4) Concludere con la Polonia un patto di non aggressione della durata di 25 anni, cioè oltre la durata della mia vita. 
5) Garantire l’indipendenza dello Stato Slovacco dalla Germania, dall’Ungheria e dalla Polonia che in pratica significa la rinuncia ad ogni egemonia Tedesca su questo territorio.
Il Governo Polacco ha respinto la mia proposta dichiarando di essere pronti soltanto a:
1) Negoziare la questione relativa alla nomina del sostituto per la carica di Commissario della Società delle Nazioni.
2) Prendere in considerazione le richieste tedesche relativamente al transito attraverso il Corridoio. Sono profondamente amareggiato da questo incomprensibile atteggiamento del Governo Polacco che da solo non sarebbe così preoccupante se non fosse accompagnato da un altro fatto ancor più grave e cioè che la Polonia, come la Cecoslovacchia un anno fa, sotto la pressione di una mendace campagna internazionale, ritenga necessario chiamare alle armi le proprie truppe, nonostante la Germania non abbia compiuto finora alcun atto di ostilità nei suoi confronti. 
È una situazione estremamente spiacevole e i posteri un giorno giudicheranno se è stato sensato e giusto rifiutare le proposte da me avanzate. Il mio è stato un tentativo per risolvere una questione intimamente sentita dal popolo Tedesco, attraverso un compromesso vantaggioso per entrambi i Paesi. Sono assolutamente convinto che in questa situazione la Polonia non sia affatto disposta a dare, ma sia pronta soltanto a ricevere, senza rendersi conto che Danzica non diventerà mai Polacca. La presunta intenzione di attaccare da parte della Germania, inventata dalla stampa internazionale, ha spinto il Governo Polacco a sottoscrivere un impegno con l’Inghilterra in base al quale la Polonia, in determinate circostanze, sarebbe obbligata a prendere le armi contro la Germania in caso di conflitto tra la stessa Germania e un’altra qualsiasi Potenza Europea. Quest’obbligo è in netto contrasto con l’accordo sottoscritto a suo tempo da me e dal Maresciallo Pilsudski che prevedeva che la Polonia mantenesse inalterati i soli impegni assunti in precedenza con la Francia e dei quali peraltro eravamo a conoscenza.»

Poi, è noto cosa accadde.
La Gran Bretagna offrì alla Polonia una cambiale in bianco, ossia un patto di alleanza militare che la impegnava ad entrare in guerra al suo fianco, qualora fosse stata aggredita da un’altra potenza: una cosa inaudita per la diplomazia britannica, che mai si era impegnata a quel modo nei confronti di alcuno Stato europeo, nemmeno con la Francia e la Russia, le sue alleate dell’Intesa, alla vigilia della prima guerra mondiale.
Era avvenuto che Chamberlain, dopo l’ingresso dei Tedeschi a Praga, aveva dato formale assicurazione al governo polacco che l’avrebbe sostenuto in ogni caso ed aveva invitato anche il governo francese ad aderire all’iniziativa, cercando di estenderla pure all’Unione Sovietica, allo scopo di proteggere la Romania; la quale ultima, in quel momento, gli sembrava - a torto - minacciata dalle mire hitleriane.
Ma Stalin non volle impegnarsi in favore della Romania (aveva ben altri progetti in materia, lui), se la Polonia non avesse fatto altrettanto; e quest’ultima, non fidandosi del dittatore sovietico, declinò l’invito di una alleanza a quattro (Inghilterra, Francia, Unione Sovietica e Polonia) a protezione della Romania. Allora, il 26 marzo, Londra ruppe gli indugi e stipulò un patto di assistenza bilaterale con Varsavia, legandosi le mani ad occhi bendati, come mai aveva fatto in passato, essendo anzi sempre stata regola fondamentale della politica britannica verso l’Europa, quella di non assumere mai impegni unilaterali, ma di tenersi le mani libere, per decidere se e quando intervenire in eventuali conflitti tra le potenze continentali.
La cosa paradossale, che sa di cinismo, è che sia il governo inglese, sia i vertici delle forze armate britanniche sapevano benissimo di non poter recare alcun aiuto efficace alla Polonia, in caso di guerra fra questa e la Germania; per cui il trattato del 26 marzo, benché diretto esplicitamente contro la Germania, mentre spingeva la Polonia all’intransigenza sulla questione di Danzica, di fatto la relegava al ruolo di pedina avanzata della strategia inglese sul continente, una pedina che si sarebbe potuto sacrificare per permettere alla Gran Bretagna di bloccare le coste tedesche con la sua flotta e di mobilitare le risorse del suo Impero per vincere una guerra di logoramento, senza doversi impegnare direttamente “sul campo”.
Lo storico militare inglese Sir Basil Liddell Hart ha così commentato quella decisione del governo britannico («La seconda guerra mondiale», in «Storia del mondo moderno» dell’Università di Cambridge, vol. XII, pp. 895-96):
«Nel marzo del 1939, Hitler occupò il resto della Cecoslovacchia e accerchiò così il fianco della Polonia. Fu questa l'ultima delle manovre "non sanguinose": il destino volle che questo suo passo fosse seguito da una mossa sconsiderata da parte del governo britannico, cioè la garanzia improvvisamente da esso offerta alla Polonia e alla Romania, entrambe strategicamente isolate, senza prima garantirsi una qualche assicurazione da parte della Russia, la sola potenza che potesse dare a queste due nazioni un appoggio effettivo. 
Per il momento in cui cadevano, era inevitabile che queste garanzie facessero l'effetto di una provocazione; e infatti, come ora sappiamo, finché non si trovò davanti a questo gesto di sfida Hitler non ebbe intenzione di attaccare immediatamente la Polonia. Concesse a parti d'Europa inaccessibili alle forze della Gran Bretagna e della Francia, le garanzie costituirono una tentazione quasi irresistibile. Così le potenze occidentali minarono alla base il solo tipo di strategia a loro accessibile, data la loro deficienza di forze d'attacco mobili: invece di fermare l'aggressione presentando un fronte molto forte contro qualsiasi attacco in occidente, dettero a Hitler una facile occasione di abbattere un fronte debole e di ottenere così un successo fin dall'inizio.
La cosa più strana di questo periodo fu la fiducia degli uomini politici che la garanzia data alla Polonia - una vera e propria assurdità dal punto di vista strategico - potesse costituire un deterrente per Hitler. L'unico che si espresse contro questa follia fu Lloyd George; Churchill invece, che pure era in grado di vederne i lati deboli, parlò a suo favore.
Hitler, che aveva una mente da stratega, fu lesto a capire che solo l'aiuto della Russia avrebbe potuto rendere efficace la garanzia inglese. Così, ingoiando il terrore e l'odio per il bolscevismo, egli dedicò tutti i suoi sforzi e le sue energie ad accordarsi con la Russia e ad assicurarsene l'astensione dal conflitto.»

Il 26 marzo vennero rotti i negoziati fra la Polonia e la Germania per il futuro assetto di Danzica; il 28 aprile il governo tedesco denunciò la rottura del patto di non aggressione tedesco-polacco e di quello navale anglo-tedesco del 1935: e, in entrambi i casi, con una certa ragione - o, se si preferisce, con una certa apparenza di ragione.
In tal modo si giunse alla repentina stipulazione del patto tedesco-sovietico del 23 agosto 1939 e, all’alba del 1° settembre, alla fulminea invasione tedesca della Polonia, seguita, il 17 successivo, dalla invasione sovietica sull’altra frontiera di quella sventurata nazione.
Ma torniamo alla questione che fu all’origine di tutto: la questione di Danzica e del cosiddetto «corridoio polacco».
Ci siamo occupati a su tempo della geopolitica di Karl Haushofer e sulla sua eventuale dimensione di attualità (cfr. l’articolo «La geopolitica di Karl Haushofer ha ancora qualcosa da insegnare al mondo attuale?», sul sito di Arianna Editrice in data 01/04/10).
Ebbene il figlio di Karl, Albrecht, oltre che diplomatico di carriera, e poeta fu anch’egli, come il pare, un altissimo esponente della scuola geopolitica tedesca ed anzi la sua figura di maggiore spicco nel periodo tra le due guerre mondiali.
Nel 1931 (prima, quindi, dell’assunzione al potere dei nazisti) egli pubblicò una importante monografia sul problema del “Corridoio polacco”, dal titolo «Che cosa è un corridoio”, in cui si sforzava di mostrare non solo l’artificiosità di esso, ma anche la pretestuosità delle ragioni con le quali gli Alleati ne avevano deciso la  creazione: non tanto, a suo parere, per dare uno sbocco al mare alla Polonia, quanto per spezzare la continuità territoriale della Germania e porla in uno stato di inferiorità permanente, sperando forse di esasperarla e spingerla a qualche passo irrimediabile, che avrebbe offerto agli Alleati l’occasione ideale per aggredirla.
Tale saggio è stato pubblicato in Italia solo una quindicina di anni fa, a cura della Rivista Italiana di Geopolitica «Limes», corredato dalle interessanti cartine geografiche originali; ne riportiamo alcuni stralci essenziali (n. 3 del 1995, traduzione di Vanda Perretta, pp. 177-196):

«In Germani tutti sono d’accordo sul fatto che il corridoio polacco sia dannoso. È possibile che qualcuno non ne sia del tutto convinto ma prolungare la discussione sul corridoio cin un angolatura che suscita interesse solo nei tedeschi ha poca attualità.
È necessario invece conquistarsi la comprensione dei paesi stranieri. […]
La superficialità e l’ignoranza con cui si è operato nel 1919 a Versailles è cosa nota. E sarebbe un ottimismo assolutamente infondato il credere che dodici anni di dimostrazioni pratiche siano bastati a eliminare quella superficialità e quell’ignoranza.  Non si può quindi fare a meno di una chiara, anche se in parte sommaria, descrizione del problema.
Cominciamo quindi col porci una semplice domanda: che cosa è un corridoio?
Porremo la domanda prima da un punto di vista politico-geografico e quindi dovremo necessariamente verificare se nel mondo esistano, o siano esistiti, altri corridoi oltre quello che ci interessa, coi quali poter instaurare un paragone. […]
Il corridoio è stata creato con la motivazione che anche la Polonia doveva avere un libero sbocco al mare. Molti ritengono che il significato più importate del corridoio della Vistola risieda appunto nella sua qualità di libero accesso al mare. Questa è una mezza verità e quindi un errore molto pericoloso.
Non è questo il luogo ove discutere se sia proprio necessario che uno Stato abbia uno sbocco al mare. Le opinioni in merito possono essere diverse; alle varie ipotesi citate da Erich Murawski nel suo articolo sul dibattito internazionale relativo al problema che ci interessa, ne aggiungiamo una sola, l’ultima: E. de Martonne, nel suo lavoro, peraltro evidentemente ostile alla Germania, definisce la mancanza di un accesso al mare come “un certo svantaggio economico” che però “non rappresenta un insopportabile difetto organico”. […]
Per cominciare, riconosciamo che la destinazione del corridoio polacco è quella di rappresentare il libro sbocco al mare, nella misura in cui essa è data ed è parte della sostanza stessa del corridoio. Tuttavia l’accesso libero al mare può essere raggiunto anche in altri modi.  Tuttavia l’accesso libero al mare può essere raggiunto anche in altri modi. Anche quando si parta dall’opinione secondo cui ‘accesso libero al mare possa essere garantito solo territorialmente – opinione che noi non condividiamo - questo sbocco territoriale può attuarsi con diverse modalità.  Esso può percorrere più stati stranieri, oppure può passare attraverso un altro Stato. Il corridoio polacco della Vostola passa attraverso la terra tedesca; questo taglio nello Stato tedesco definisce l’essenza del corridoio del corridoio tanto quanto il libero accesso al mare.
Negli scritti propagandistici polacchi si preferisce ignorare questo dato di fatto. I polacchi disconoscono le particolarità politico-geografiche del corridoio della Vistola. […]
“Non c’è nulla la mondo che possa essere paragonato al Corridoio”. Dicendo questo Money ha perfettamente ragione. Anche ripercorrendo la storia passata, per lo meno sino a epoche in cui sia possibile comparare situazioni economiche e di comunicazioni, non troveremmo niente di simile al corridoio della Vistola. Verro è che sulla terra esiste tutta una serie di  casi in cui sarebbero state possibili soluzioni territoriali simili, ove i confini fossero stato disegnati anche solo approssimativamente in maniera così insensata come quelli tracciati a Versailles.
Esaminiamo le diverse possibilità: a prescindere da piccole entità statali, come San marino, il Liechtenstein e Andorra, che non hanno particolare significato economico, esistono nel mondo diversi Stati che dopo gli avvenimenti polacchi, avrebbero ogni diritto a un”libero sbocco sul mare” in versione territoriale. Essi sino quattro Stati europei di media grandezza:  la Svizzera, l’Austria, l’Ungheria e la Cecoslovacchia. Tutti e quattro hanno un peso economico pari a quello della Polonia e un peso culturale superiore. Inoltre, vi sono due piccoli Stati europei  il Lussemburgo e la Città del Vaticano, che meritano un’attenzione particolare: uno per la particolare potenza economica, l’altro per essere il centro di una grande potenza spirituale. Ancora, due Sati sudamericani di media dimensioni quali Bolivia e il Paraguay. E poi, altri Stati interni in Asia e in Africa, tra cui citeremo solo i più importanti, come L’Abissinia e l’Afghanistan. Infine tutta una serie di casi in cui, per motivi particolari (posizione sfavorevole, clima glaciale, eccetera) sarebbero auspicabili esiti diversi da quelli attuali.
Rinunciamo a trattare in modo più approfondito e in questa sede gi Stati danubiani. Ai tempi della vecchia Austria-Ungheria essi avevano accesso al mare. Oggi invece sono costretti a servirsi di vie d’acqua internazionalizzate come il Danubio e l’Elba.
Una soluzione territoriale per l’Austria e l’Ungheria sarebbe pensabile solo in direzione dell’Adriatico. […] Una soluzione austriaca sarebbe possibile senza la dichiarata formazione di un corridoio poiché uno sbocco austriaco sull’Adriatico, tra l’Italia e la Slavia meridionale, sarebbe realizzabile senza dover passare attraverso le regioni di uno Stato straniero.
Come è noto, nessuno pensa a proporre cose del genere. E nessuno parla nemmeno di un corridoio ceco verso il Baltico, anche se un territorio da Eichengen a Stettino sarebbe appena più assurdo di quello polacco da Thorn a Edingen.
La Svizzera poi rappresenta un esempio ancora migliore, perché è lontana da tutte le considerazioni della politica attuale; infatti essa, a prescindere dalla navigazione sul Reno con tutte le sue limitate possibilità, deve procurarsi un accesso al mare senza nessuna garanzia. […]
Un altro caso è quello dell’acceso al Mare Egeo per la Bulgaria e la Slavia meridionale. È noto che la divisione della Macedonia nella prima guerra dei Balcani fu la causa immediata della seconda guerra balcanica, nel corso della quale la Bulgaria fu cacciata dalla Macedonia occidentale ma le fu lasciato l’accesso all’Egeo. […]
Tutti questi esempi […] hanno una cosa in comune essi Appaiono, agli occhi dei cittadini appartenenti agli Stati percorsi dai corridoi, come creazioni in certo qual modo fantastiche. Sia che esse riguardino l’India [per un ipotetico corridoio afghano o per uno tibetano], il Cile [per il corridoio boliviano], il Brasile [per quello paraguayano], o gli Stati Uniti [per quello canadese mirante ai porti dell’Atlantico liberi dai ghiacci], la Norvegia [per quello svedese diretto al porto di Narvik], la Francia [per un corridoio svizzero attraverso il Rodano], l’Italia [per quello svizzero verso l’Adriatico] o la Grecia [per quello bulgaro fino all’Egeo]: il solo pensarci suscita stupore o ilarità.
Allora non rimane altro da fare che osservare quanto segue: un corridoio lungo la Vistola è altrettanto fantasioso che un corridoio lungo l’Indo o l’Hudson, o il Rodano o il Po. Eppure esso è una realtà!
Riassumendo: nel mondo non esiste nessuna creazione politica paragonabile al corridoio della Vistola. L’unico corridoio ancora esistente è quello finlandese di Petsamo che conduce, attraverso un deserto subpolare, lungo una frontiera che esiste da  lunghissimo tempo. In nessun luogo al mondo uno Stato viene diviso in due parti da un corridoio straniero. Al contrario, esiste una gran quantità di stati separati territorialmente dal mare, parte dei quali hanno diritti riservati su grandi fiumi, o su porti e ferrovie, mentre e altri stati sono stati esclusi dal’accesso al mare senza nessuna garanzia di legge. 
Esiste anche un esempio in cui l’accesso al mare è stato garantito e riconosciuto, senza il ricorso a modifiche territoriali. [..]
Abbiamo assodato che, in tempi di pace, la Polonia non può ottenere un libero accesso al mare in mancanza di garanzie territoriali. […]
Vediamo ora se il corridoio attuale è in grado di garantire l’accesso al mare in tempo di guerra.  Non sono necessarie grandi spiegazioni. Sino a quando il Reich tedesco sarà impotente a livello militare  e isolato nel panorama politico mondiale, non ci saranno guerre, a meno che esse on vengano iniziate da altri. Sino ad allora solo la Germania sarà in pericolo, non la Polonia, e questo con o senza corridoio. Ove però le armi fossero equamente distribuite, quale esperto di cose militari avrebbe il coraggio di sostenere che il corridoio sarebbe in grado di garantire l’accesso polacco al Baltico, anche solo per 24 ore? E anche nel caso che il corridoio resistesse, contro ogni evidenza militare - che valore avrebbe allora, in caso di guerra, la navigazione sul Baltico: qual è stata l’ultima occasione in cui la flotta del Baltico è stata di una qualche utilità per una potenza in guerra, se navi nemiche controllano  passaggi a ovest? Certo, in epoche in cui ancora non esistevano né blindati veloci né cacciatorpediniere o sommergibili. Basta solo rifarsi al passato, e pensare a quali territori, da entrambe le parti, sono stati bloccati durante la guerra mondiale, basta ricordare i corridoi di navigazione neutrali attraverso il Mediterraneo, il Mare del Nord e le acque atlantiche periferiche, per capire che, in caso di guerra, lò’accesso della Polonia al mare sarebbe totalmente privo di valore.
O la guerra non dovrà assolutamente mettere in pericolo la Polonia - e ciò anche a prescindere dal corridoio - oppure la guerra minaccerà la sopravvivenza di questo Stato da oriente o da occidente o da entrambe le parti - e allora il corridoio sarebbe poco di più di una trappola militare.
Per concludere. Se, in tempo di guerra, il corridoio, e quindi il libero accesso della Polonia al mare, è privo di senso, se esso è superfluo in tempo di pace, grazie al fatto che tutto quanto è importante dal punto di vista economico può essere garantito per altre vie, perché è stato creato questo corridoio?
La Francia taccia a proposito del motivo etnografico. Ognuno sa che la Prussia occidentale e i distretti della Netze erano per due terzi tedeschi. Ognuno sa che lungo la Vistola, da sud a nord, non esiste una zona compatta di insediamenti polacchi, ma che una sequenza ininterrotta di insediamenti tedeschi lungo la Netze e la Vistola congiunge la vecchia Prussia con la regione dell’Oder. Anche a Versailles tutto questo era noto, altrimenti perché s sarebbe temuto un referendum popolare sul corridoio?
Così sono possibile solo due motivazioni: da una parte crassa ignoranza e sconfinata indifferenza; dal’altra gelido, consapevole odio.
Si sapeva che si sarebbero distrutte molte più cose di quante se ne sarebbero edificate, tracciando il confine tedesco-polacco come esso è oggi. E questo è quanto hanno voluto fare. Clemenceau è stato tanto grande da non mentire: “Ceterum censeo, Germania esse delendam”.
Intanto in Europa si è diffusa la convinzione che una Germania distrutta potrebbe significare anche un’Europa distrutta… Il corridoio della Vistola deve scomparire, se l’Europa vuole risanarsi.»

Certo, si potrebbe obiettare a tutto questo che lo status di città libera per Danzica e l’esistenza del «corridoio polacco», se da un lato potevano apparire, e di fatto erano, una stranezza rispetto alo Stato tedesco, di fatto non recavano a quest’ultimo un vero e proprio danno e non ne minacciavano degli interessi vitali.
Questione di opinioni.
Non siamo persuasi che il governo di Parigi avrebbe accettato una sistemazione territoriale che obbligasse merci e persone (ivi comprese le forze armate) a raggiungere Bordeaux, per esempio, solo via mare, oppure passando attraverso un «corridoio» appartenente ad un’altra potenza; potenza che, da parte sua, avesse costruito una grande base militare, dal nulla, a soli 25 km. di distanza; né che il governo di Londra avrebbe tollerato una situazione equivalente sul proprio territorio, ad esempio con la sottrazione di una striscia d’interesse strategico, poniamo all’altezza del Vallo di Antonino, che separasse l’Inghilterra dalla Scozia.
Meno ancora crediamo che Londra e Parigi avrebbero tollerato che lo Stato così insediatosi in un punto sensibile del proprio territorio nazionale stipulasse un patto di alleanza con una grande potenza, ricevendo la promessa di un sostegno incondizionato in caso di conflitto.
Perciò, sorge spontanea la domanda: il Corridoio di Danzica era stato creato dagli Alleati allo scopo deliberato di rendere inevitabile un nuovo confitto, spingendo la Germania sulla via delle rivendicazioni e dei progetti di rivincita?
Non facciamo queste considerazioni per attenuare le responsabilità di Hitler nello scatenamento della seconda guerra mondiale; ma per mostrare che, esattamente come era avvenuto nel 1914, esse non furono tutte e solo della Germania.
E questo è un punto sul quale tutti gli storici onesto dovrebbero consentire, dopo sessantacinque anni di verità parziali e di mistificazioni interessate, aventi lo scopo di rifare una verginità assoluta alle democrazie occidentali.
Da sempre i vincitori si prendono la libertà di scrivere la storia a proprio uso e consumo; sta agli uomini intellettualmente onesti contrastare tali tentativi, dal momento che collidono con il fondamentale principio della assoluta imparzialità nella ricostruzione storiografica.