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Confronto tra la “finanza internazionale” e quella islamica

di Vittoriano Peyrani - 11/01/2011


     
 
Dopo oltre due anni di crisi economico-finanziaria che, partendo dagli Stati Uniti, imperversa su tutto il mondo occidentale, è necessario soffermarsi a meditare per cercare di capire come si è generata, quali sono i responsabili e quali i possibili rimedi.
Innanzitutto occorre diffidare degli economisti perché non hanno dato preavviso dell’arrivo di tale crisi nonostante il precedente pericoloso indebitamento contratto dal dollaro, e perché oggi non stanno suggerendo disinteressate operazioni per rimediare ai crescenti guasti che vengono trasferiti dalla speculazione internazionale sui paesi dell’Euro. 
Tutte le scuole universitarie di economia e finanza, sono controllate dai poteri forti e quindi suggeriscono quello che questi vogliono ottenere. Presentano come panacea di tutti i mali ulteriori liberalizzazioni, vale a dire svendite delle proprietà pubbliche (emblematica quella dell’acqua potabile) per ridicoli importi, mai comunicati chiaramente dall’informazione, con conseguenti aumenti delle spese per servizi essenziali: i nuovi proprietari ricaricano, infatti, i propri guadagni sui prezzi precedenti. 
Giustificano prestiti ad usura agli Stati, lacrime e sangue per tutti. Quindi gli economisti sono persone socialmente pericolose in quanto disposte a decidere qualunque gravissimo sacrificio per le popolazioni pur di fare aumentare i guadagni del sistema bancario internazionale, del quale sono al soldo.
Per far carriera nel sistema, non fanno mai proposte efficaci perché queste dovrebbero toccare i profitti di gruppi di potere troppo grossi che sono tuttavia quelli che creano la rovina generale: non possono parlare di regolamentazioni sul commercio perché si frenerebbero gli esagerati lucri delle potentissime compagnie multinazionali commerciali, non possono mettere in discussione i tassi di interesse perché colpirebbero lo strapotere delle banche, non possono criticare il sistema democratico perché è l’ambiente in cui prosperano liberamente tutti gli speculatori che portano gravissimi danni alle comunità, con risultati sconquassanti per il risparmio. Anche quando si parla di energia si deve essere cauti perché si potrebbero mettere in discussione gli utili stratosferici dei monopoli petroliferi internazionali. 
I governi, pur gestiti come sono da “camerieri” della finanza globale, non possono decidere tassi di sconto e di interesse perché le Banche Centrali (private) di ogni paese si sono arrogate in diritto di emettere denaro in quantità incontrollata e di prestarlo con forme di usura più o meno elevate. Tale diritto spetta naturalmente ai popoli, che tale denaro usano per il lavoro e gli scambi e pertanto in tal modo gli danno il valore, che altrimenti sarebbe quello della carta che lo costituisce. 
Da questo signoraggio della moneta nascono le crisi finanziarie internazionali: i prestiti ad interesse sottraggono progressivamente risorse al lavoro fino a renderne impossibile la continuità. Responsabile di questa crisi è quindi il sistema bancario occidentale che, come una idrovora, risucchia tutte le risorse fino a disseccare il mondo del lavoro.
Si stima che circa la metà del costo di alcuni prodotti che noi acquistiamo viene a confluire nelle banche per interessi su ritardati pagamenti, commissioni di massimo scoperto, fideiussioni, spese di incasso, spese ipotecarie e tutti quei meccanismi imposti dalle banche ai clienti con contratti unilateralmente decisi senza alcun controllo vero di enti pubblici.
Questa cessione della sovranità monetaria genera un dissanguamento del sistema produttivo artigianale ed industriale che fa si che esso sia costretto, con danno della qualità dei prodotti, a fare ogni tipo di risparmio sulle progettazioni, sui materiali, sulle attrezzature e, infine, anche sulle retribuzioni del lavoro, facendo perdere commesse per pochi centesimi percentuali. Il commercio, invece, ricarica anche il cento per cento nella sua funzione, ormai dimenticata, che sarebbe quella della distribuzione, sostituita quasi sempre dal solo fine di un guadagno personale di livello insindacabile.
Dunque le manovre speculative e il sistema di usura bancaria costringono il mondo della produzione ad indebitarsi sempre più fino a che iniziano i primi crolli favoriti dalle banche che anche in queste situazioni aumentano i loro guadagni con acquisizioni di industrie in crisi, di proprietà date in garanzia o di immobili di persone in difficoltà. 
Nei paesi islamici troviamo, invece, meccanismi alternativi di credito basati su un codice etico.
La legge vigente nei paesi musulmani, basata sulla Shari’a (la via maestra per la salvezza), non accetta regole create da parte di entità non ammissibili su attività proibite da una religione che permea il tessuto socioeconomico di questi paesi e che proibisce, ad esempio, sovvenzioni ai commerci di alcol, tabacco, droga e ad altre attività dannose alla comunità chiamata “Umma”.
La riba proibisce i pagamenti di tassi di interesse sotto qualsiasi forma come remunerazione del capitale prestato e quindi non ammette azioni ordinarie e privilegiate e tanto meno la loro compravendita speculativa. Si tenga presente che il denaro non deve essere usato come prodotto in sé per generare altro denaro. 
Si sono quindi studiati meccanismi alternativi per ottenere un ritorno sui capitali e per favorire gli investimenti a sostegno di un’economia moderna, che non devono essere disgiunti da una componente morale che evita azzardo, speculazioni e ambiguità nei contratti.
Il denaro deve essere considerato come mezzo o strumento produttivo, collegato ad investimenti reali e compartecipati: se questi investimenti hanno successo si condividono gli utili con la banca islamica, altrimenti si condividono le perdite. Questo implica per le banche una maggiore attenzione prima di operare investimenti.
La banca islamica ha vantaggio solo se il proprio cliente-imprenditore ha successo mentre le banche del sistema capitalistico occidentale spesso conseguono guadagni dal fallimento della stesso. Infatti queste si garantiscono con ipoteche immobiliari, cauzioni ed altro, sempre sopradimensionate rispetto al rischio.
Questi sistemi di rapporti fiduciari creditizi del resto erano vigenti anche nel mondo europeo ed erano praticati dalla Lega Anseatica e nella Repubblica di Venezia. In quest’ultima, per esempio, famiglie ricche sovvenzionavano capitani coraggiosi che partivano con navi e capitali ricevuti in fiducia e dividevano i guadagni o la perdita per il fallimento dell’impresa, con chi li aveva sovvenzionati. 
Su questo modello oggi vengono effettuate forme di sovvenzione compartecipativa che possono essere totali, qualora si valuti positivamente l’apporto lavorativo. In quest’ultimo caso profitti e perdite verranno suddivisi fra banca e attività sovvenzionata nella stessa percentuale dell’investimento o sulla base di una percentuale anticipatamente concordata. Nel caso particolare di sovvenzione totale ad un imprenditore singolo, egli apporta la propria capacità imprenditoriale e sarà l’unico responsabile della gestione senza ingerenze da parte dell’ente finanziatore se non nei casi di costosi progetti a lungo termine; la perdita di denaro sarà esclusivamente della banca, salvo i casi di comprovata negligenza del gestore, la cui perdita resta generalmente limitata al suo impegno lavorativo. Non sono previste garanzie collaterali di tipo ipotecario.
Le banche dei paesi cristiani, invece, si appropriano degli interessi disinteressandosi delle eventuali perdite del debitore. I paesi cristiani sono dunque più ebraicizzati. Già nel medio evo si proibiva ai fedeli di prestare denaro ad interesse favorendo così indirettamente guadagni usurai da parte degli ebrei.
Le prime esperienze di banche islamiche sono state effettuate negli anni cinquanta nel Basso Egitto e a Kuala Lumpur in Malesia, queste ultime sostenute validamente dal governo. Esse prevedevano che parte delle risorse fossero utilizzate obbligatoriamente per aiutare i poveri e finanziare, in toto o in partner pellegrinaggi alla Mecca. 
Le banche islamiche hanno avuto una forte crescita di depositi e di investimenti fino a prima della crisi del 2008. Esse sono state favorite dagli investimenti di petrodollari arabi e dai depositi dei lavoratori immigrati in Europa che si servono di tali banche anche per le rimesse ai loro familiari, molto onerose per il nostro sistema. Poi, con la crisi economica, la crescita è continuata in misura minore.
Duole osservare che la nostra Europa, frastornata da un’informazione-deformazione che la vuole istupidita, e spaventata dal debito pubblico e privato con le banche, è talmente malridotta dalla crisi finanziaria partita dagli Stati Uniti che forse dovrebbe prendere esempio dalla finanza islamica. Questo potrebbe essere un buon inizio per cominciare a riappropriarsi della propria sovranità, sono solo monetaria e finanziaria ma anche culturale, politica e militare.
La finanza internazionale ha già guadagnato abbastanza e ha già creato abbastanza danni per pretendere anche la restituzione di capitali che, tra l’altro, ha messo insieme esclusivamente sul lavoro altrui e sugli assurdi interessi percepiti.