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Dall'analisi del profondo al condizionamento delle coscienze

di Adriano Segatori - 12/01/2011


 
Dall’individuo alla società.
“(…) non è più possibile distinguere nettamente tra
nevrosi dell’individuo e nevrosi del mondo, tra psicopatologia
dell’individuo e psicopatologia del
mondo”.1
James Hillman
 
Che la psicoanalisi abbia superato i limiti del suo fondatore, per inoltrarsi nei campi del sociale e del culturale più
disparati, è una constatazione e una denuncia che partono da lontano. Nata come strumento di conoscenza della
profondità della psiche e di cura per i sintomi di disturbo manifestati dalla stessa, questa tecnica è per certi versi
sfuggita di mano a Freud, o almeno molti l’hanno defraudata dallo spirito originario.
Certo, i presupposti c’erano dall’inizio.
Quando nel 1921, Freud scriveva sulla Psicologia delle masse e analisi dell’Io, è evidente che l’Autore intendeva
superare la ristrettezza individuale del lettino per addentrarsi nella vastità del mondo, delle relazioni e dei comportamenti
collettivi. Della possibile critica a questa dilatazione di interessi ne era, per altro, perfettamente consapevole,
tanto da mettere le mani avanti con le prime righe del saggio: “La contrapposizione tra psicologia individuale
e psicologia sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può sembrare molto importante, perde, a
una considerazione più attenta, gran parte della sua nettezza” 2.
È del resto scontato pensare che come l’individuo viene già forgiato nella sua personalità dalle altre personalità
delle figure genitoriali e comunque significative, è altresì ovvio che più individui uniti si influenzino a vicenda secondo
certi parametri di contaminazione.
Questa valutazione era già stata effettuata da Gustav Le Bon ben ventisei anni prima, e spiegata nel suo famoso
saggio Psicologia delle folle3 – in alcuni punti criticato da Freud perché troppo sociologico e troppo poco analitico.
A parte le differenze di impostazione culturale, entrambi concordano sul fatto che il singolo, all’interno di un gruppo
vasto di persone, quando la tensione emotiva sale e il sentimento prende il sopravvento sulla ragione, perde la
coscienza dei propri atti e delle proprie decisioni, aprendo una breccia incontrollabile alle pulsioni più recondite e
coartate.
Ognuno di noi, è noto, presenta solo la parte esteriore e migliore di sé, relegando nell’Ombra – secondo l’efficace
simbolismo junghiano – ciò che rifiutiamo, ci fa fastidio e paura. Queste pulsioni nascoste, che tecnicamente vengono
<<rimosse>> nel subconscio, di fronte a condizioni nuove – la deresponsabilizzazione di massa, il contagio
emotivo, la suggestione enfatica – emergono e straripano, spazzando via ogni censura.
Davanti a quella che può essere chiamata emozione collettiva, un sentimento incontrollato di compartecipazione,
il singolo rimane come ipnotizzato – termine da tenere a mente per altre occasioni –, e la personalità individuale,
cosciente e razionale, viene diluita fino a scomparire. In questa circostanza l’individuo è capace di compiere qualunque
atto e prendere parte a qualsivoglia azione, perché il discernimento e la capacità critica hanno perduto
ogni possibilità di controllo.
L’analisi di Freud, e di Le Bon, sono compatibili con le osservazioni di eventi storici che hanno segnato tutta la
storia dell’uomo. Fino qui, nulla di nuovo, solo una più accurata e precisa osservazione del fenomeno.
Come è altrettanto comprensibile che, dopo gli studi sull’<<inconscio collettivo>> di Jung e sull’<<inconscio etnico>>
di Devereux, non si possa pensare di puntare solo sull’analisi del singolo senza tener conto del contesto di
nascita e di appartenenza, come se l’uomo fosse una monade impermeabile concentrata sulla propria psiche, a
sua volta autoreferenziale e refrattaria alle influenze del mondo esterno.
La società, in una qualche misura, ha una sua psiche, che è diversa – indipendentemente se in bene o in male –
dalla somma di ogni psiche individuale.
A questo proposito basti pensare al saggio di Massimo Recalcati dove si parla di “disagio della Civiltà ipermoderna”
4. Si va oltre all’idea di una psiche collettiva per giungere all’ipotesi di una vera e propria “estinzione del soggetto
dell’inconscio, di una sua progressiva abrogazione”5. In questa disamina delle varie patologie a diffusione di
massa si conferma quanto considerato già da Hillman ventotto anni fa: “I nuovi sintomi sono la frammentazione,
la settorializzazione, l’iperspecializzazione, la depressione, l’inflazione, la perdita di energia, l’uso di linguaggi settoriali
e la violenza. Abbiamo edifici anoressici, un mercato paranoide, una tecnologia maniacale”6. E Lacan conferma,
con il “Discorso del capitalista”, nell’unica conferenza tenuta in Italia nel 1972, l’accordo della psicoanalisi
freudiana con la psicologia archetipica, quando denuncia la solitudine del piacere, l’individualismo sregolato, la
repressione del simbolico, la volontà di omologazione, l’uniformazione dei desideri e la negazione di ogni stile.
È vero, verissimo, che il capitalismo, nella sua massima riuscita, convalida la denuncia contenuta nelle parole di
Pier Paolo Pasolini riportate dallo stesso Recalcati: il potere ipermoderno non ha bisogno di sudditi ma di liberi
consumatori; però bisogna anche ammettere che il capitalismo è una idea, una visione, una modalità di intendere
la vita personale e i rapporti con i propri simili, ma proprio per essere <<soltanto>> una teoria economica ha avuto
ed ha la necessità di avvalersi di strumenti di persuasione per giungere all’effetto desiderato. E così la psicoanalisi,
nata come cura della persona, passata per un metodo di comprensione del collettivo, trasformata in un fenomeno
culturale, è diventata, alla fine, uno strumento di supporto per il sistema che denuncia.
 
Dalla cura alla manipolazione.
“I manipolatori di simboli e i loro investigatori hanno
imparato a studiare e a conoscere il nostro subcosciente
grazie a psichiatri e a studiosi di scienze
sociali (in special modo psicologi e sociologi), i
quali prestano opera di consulenti <<pratici>>
presso varie ditte, oppure aprono per conto proprio
degli istituti di ricerca”.7
Vance Packard
Non ho mai creduto né credo all’esistenza dei cattivi maestri, di coloro che dall’alto della loro autorità, e attraverso
parole e scritti, debbano essere ritenuti responsabili delle cattive azioni dei loro allievi. Ma certamente una qualche
mancanza di previsione in certi casi esiste.
Questa deviazione dall’obbiettivo originario, e un superamento dei limiti stessi della sua fondazione, nella psicoanalisi
si è verificato. E non poteva essere altrimenti per una scienza profana, nata per affrontare alcune forme di
psicopatologia, che si è basata, dall’inizio, sulla generalizzata “inversione di valori: l’Es, l’inconscio, è il soggetto,
l’agens; l’Io diviene l’oggetto, che subisce l’azione”8.
Una volta appresi degli strumenti di conoscenza della psiche individuale, e stabilito come l’effetto-massa possa
modificare la stessa espressione psichica con la condensazione collettiva delle pulsioni infere del singolo, qualcuno
naturalmente si pose anche il problema se si potessero trovare delle tecniche per creare dei desideri a molti
e, in contemporanea, indirizzarli verso un'unica scelta. La questione che pose la psicoanalisi – ed altre tecniche
più o meno apparentate – è che se l’uomo può essere influenzato attraverso la parola in modo tale da far emergere
dal subconscio sentimenti rimossi e quindi riportarlo ad uno stato di consapevolezza, è possibile attraverso
la stessa parola – e magari associando suoni e immagini – innescare nel subconscio degli indirizzi programmati
di comportamento? Oltretutto, se anche senza stimoli speciali l’individuo può spontaneamente suggestionarsi e
conformarsi alla massa, a maggior ragione si sarebbe potuto ottenere un risultato migliore con una suggestione
indotta su larga scala.
Si iniziò così a studiare e a sperimentare come induzioni di desideri, indirizzi di scelte, tendenze di gusti, orientamenti
di mode potessero essere letteralmente creati ed immessi in quella parte profonda della coscienza che comunque
determina, in modo inconsapevole, un preciso comportamento. Allo stesso modo del rimosso, che si
manifesta con l’espressione di precisi disturbi e che il paziente rifiuta di accettare con l’applicazione inconsapevole
‘di certi meccanismi di difesa, così la pubblicità crea dei comportamenti indotti di massa, la cui origine viene
negata dal singolo e razionalizzata come scelta autonoma e personale: “Mentre erano alla ricerca di nuovi stimoli
psicologici dei quali dotare i prodotti, potenziandone così la forza di attrazione, gli analisti si imbatterono, e subito
ne trassero preziose indicazioni, in quella regione dell’inconscio in cui si agitano i nostri bisogni, desideri, aspirazioni
e nostalgie. (…) La psichiatria freudiana, secondo la quale molti adulti ricercherebbero inconsciamente quelle
piacevoli sensazioni orali provate durante il periodo dell’allattamento e nei primi anni dell’infanzia, dischiuse
nuovi orizzonti ai maghi della pubblicità”9.
A parte l’imprecisione di “psichiatria” affibbiato alla psicoanalisi, Packard chiarisce in maniera inequivocabile il
ruolo della tecnica di Freud, o della sua distorsiva finalità, nell’intervento di manipolazione delle coscienze.
Sapendo perfettamente che la gente ha bisogno di sognare, di identificarsi, di emulare; che dentro ognuno di noi
c’è un margine più o meno ampio di insoddisfazioni e di frustrazioni represse; che il senso di inadeguatezza e di
inquietudine spinge ad essere superato e soddisfatto, l’azione sull’inconscio è l’unico metodo raffinato e inavvertibile
per condizionare la massa, con grande piacere degli imbonitori di ogni genere e grado. In questo senso “Le
concezioni psicoanalitiche sono state abusivamente generalizzate, sono state considerate valide non per una particolare
casuologia clinica ma anche per l’uomo e per la vita dell’anima in genere”10.
Da questa deformazione deriva la nascita di remunerate professioni come ricercatore motivazionale, esperto in
risorse umane, direttore pubblicitario, organizzatore di marketing; per non parlare poi di quel genere variegato e
mistificatorio della guida spirituale. Perché, per scontato paradosso, avendo la psicoanalisi negato qualsivoglia
trascendenza, e avendo ridotto l’uomo ad un semplice contenitore di conflitti sotterranei, ha favorito la nascita e lo
sviluppo di quella pseudospiritualità che pesca nel torbido e promette finte elevazioni, all’interno di quel cascame
generalizzato che veniva indicato come New Age. Ma la responsabilità del freudismo nella creazione di questo
misticismo accattone è tutta un’altra storia.
 
1 J. HILLMAN, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, trad. it., Adelphi, Milano 2002, p. 121.
2 S. FREUD, Psicologia delle masse e analisi dell’Io in Il disagio della civiltà e altri saggi, trad. it., Bollati Boringhieri,
Milano 1971, p. 65.
3 Cfr. G. LE BON, Psicologia delle folle, trad. it., TEA, Milano 2004.
4 Cfr. M. RECALCATI, L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano 2010.
5 Ivi, p. IX.
6 J. HILLMAN, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, cit., p. 125.
7 V. PACKARD, I persuasori occulti, trad. it., Einaudi, Torino 1989, p. 9.
8 J. EVOLA, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Mediterranee, Roma 2008, p. 66.
9 Ivi, pp. 68 e 93.
10 J. EVOLA, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, cit., p. 63.