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Afghanistan, rinforzi per ritirarsi?

di Carlo Musilli - 13/01/2011



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Anche se a luglio dovrebbe iniziare il ritiro delle truppe, in Afghanistan stanno per sbarcare altri 1.400 marines. La notizia era sta anticipata dal Wall Street Journal e puntuale è arrivata la conferma dal Pentagono: il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, ha approvato l'invio dei rinforzi. Si tratta per lo più di reparti di fanteria da schierare in prima linea. Né tecnici specializzati né addestratori, ma uomini addestrati al lavoro sporco. Arriveranno a metà gennaio nel sud del paese, nella provincia di Helmand e soprattutto nella zona di Kandahar, dove gli americani hanno stanziato la maggior parte delle loro truppe.

Da Washington sottolineano che i rinforzi serviranno a "consolidare i progressi fatti negli ultimi mesi e al tempo stesso a mettere ancora più pressione sul nemico". Peccato che il nemico non se la passi poi così male. Nel 2010 i talebani hanno ucciso oltre 700 uomini della missione Isaf, il numero più alto dall'inizio del conflitto, nel 2001. Per il momento si trovano a svernare nei caldi e accoglienti rifugi pakistani. Come ogni anno, la guerra vera riprenderà in primavera, quando si scioglierà la neve nei passaggi fra le montagne e i ribelli potranno così facilmente tornare in patria.

E' proprio questa prospettiva a spaventare i vertici militari Usa, consapevoli che i prossimi sei mesi saranno decisivi. Bisognerà, infatti, dimostrare al mondo di aver finalmente compiuto dei progressi significativi nel controllo del territorio. Soprattutto, i nuovi attacchi dei talebani non dovranno far mettere in discussione per l'ennesima volta la strategia del Pentagono. Non più. La "deadline" di luglio è sempre più vicina e l'inizio del ritiro non dovrà sembrare una ritirata.

Per questa ragione l'esercito Usa sta valutando l'ipotesi di aumentare ulteriormente il numero dei soldati sul suolo afgano. Ai 1.400 già autorizzati se ne potrebbero aggiungere degli altri, che porterebbero il computo dei rinforzi a sfiorare le 3.000 unità. Ad oggi, in Afghanistan sono presenti circa 97 mila soldati americani, anche se non è chiaro quanti di loro siano attivamente impegnati nelle operazioni di combattimento. Secondo alcune fonti citate dalla stampa americana, tuttavia, i comandi militari starebbero da tempo facendo pressioni per sostituire diverse unità logistiche e di supporto  con nuovi reparti da impiegare al fronte.

Non esattamente uno scenario rassicurante. Eppure, il mese scorso Obama ha dichiarato che sono stati fatti sufficienti passi avanti per confermare l'avvio del ritiro in estate e il definitivo passaggio del testimone alle forze armate afghane nel 2014. Un'affermazione leggibile in chiave di politica interna, considerando l'aria infuocata che da qualche settimana si respira in Congresso, dove il Presidente si trova a dover gestire una situazione che ha del paradossale.

Molti dei suoi fratelli Democratici sono assolutamente contrari all'invio di altri ragazzi in Afghanistan. Ma, ironicamente, la loro opinione non è più la prima preoccupazione di Obama. In virtù delle elezioni di medio termine del novembre scorso, infatti, da qualche giorno il Congresso è passato nelle mani dei Repubblicani. Proprio loro, gli avversari di sempre, potrebbero rivelarsi molto più collaborativi sulla questione, forse con una lacrima di nostalgia per il "surge" iracheno del beneamato Bush Jr. I conservatori ritengono perfino che bisognerebbe dare all'esercito tutte le risorse necessarie per prevalere sul nemico, senza angosciare i generali con inutili scadenze.

E' significativo che i Repubblicani, dicendo di voler tagliare le spese dello Stato per 100 miliardi di dollari, abbiano subito specificato che non sarebbero state toccate le spese militari  (le più pesanti in percentuale sul bilancio). Purtroppo per loro, Gates ha da poco annunciato che il Pentagono sosterrà un programma di tagli alla Freddy Kruger: 178 miliardi di dollari in cinque anni. Com'è ovvio, non verranno toccati i fondi per la guerra in Afghanistan, ma la pesantezza del provvedimento la dice lunga su quanto sia importante per gli Stati Uniti evitare di rinviare ulteriormente il ritiro.