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Più realisti del Re

di Gianni Petrosillo - 16/01/2011



Dopo le rivelazioni di Wikileaks che hanno avuto l’effetto di far traballare i rapporti diplomatici tra gli Usa e i suoi storici alleati, gli statunitensi cercano pazientemente di ricostruire la credibilità perduta e di ricucire le relazioni con i governi esteri rilasciando smaccate attestazioni di simpatia e cortesia in ogni direzione. 

I feluchei americani si sono resi responsabili di quadretti non proprio lusinghieri su leaders politici ed esecutivi amici, rei di non rispettare pedissequamente la “segnaletica” internazionale che la Casa Bianca aveva predisposto per regolare il “traffico” sulle strade geopolitiche mondiali. Anche la classe dirigente italiana ha preso i suoi schiaffi in faccia ma dopo gli iniziali strascichi è passata a sminuire il valore delle informative degli ambasciatori statunitensi che, secondo essa, vanno derubricate nel novero di pareri personali un po’ sopra le righe oppure al livello di misunderstandings linguistici che non possono compromettere decenni di feeling con Washington. Sia come sia, l’ambasciatore americano a Roma D. Thorne ha sentito l’esigenza, in una intervista a La Stampa di Torino, di  tornare sull’argomento per affermare che Italia e Stati Uniti sono nazioni gemellate e perseguenti, in un clima di ottima concordia, il benessere dei rispettivi popoli. Tuttavia, si sa, la lingua batte dove il dente duole e Thorne ha anche avvertito il bisogno di ribadire che sulla politica energetica ci sono state piccole incomprensioni con il Belpaese ma che esse non hanno intaccato la visione complessiva rinveniente da più profondi legami politici. Anche sui rapporti con Mosca il diplomatico Usa ha elargito parole di comprensione, rilanciando persino la teoria berlusconiana del ruolo di mediazione giocato da Roma per facilitare l’avvicinamento del Cremlino ad una mentalità occidentale. Parole testuali di Thorne: “Questa è anche la posizione di Obama”. Del resto, ha sottolineato ancora costui, anche l’Eni, ha mostrato grande trasparenza e affidabilità allorché è stata richiamata per alcuni dossiers, come il South Stream e gli affari iraniani, non rinunciando ad un confronto franco con il Dipartimento di Stato americano. Ed eccoci arrivati al punto saliente della diatriba. Scaroni, qualche tempo fa, proprio a causa delle pressioni ricevute dal Governo stellestrisce aveva lanciato la proposta di rendere interdipendenti i due gasdotti Nabucco (sponsorizzato da Ue ed Usa) e South Stream (joint venture tra la russa Gazprom e il nostro Cane a sei zampe), almeno per farli combaciare in un piccolo tratto dalla Bulgaria in su. Il diplomatico ha valutato positivamente gli sforzi di collaborazione messi in atto dal nostro gigante energetico ed ha riferito l’apprezzamento di Obama per tale “riconciliazione”. Tuttavia, proprio l’ad di San Donato che nelle settimane passate aveva lanciato l’idea dell’integrazione progettuale, in una intervista alla stessa Stampa di martedì scorso, ha espresso delle perplessità poiché “il Nabucco non avanza… non si può essere sinergici con chi non esiste”. Lo avevamo scritto già noi in precedenti articoli denunciando pure lo sperpero di denaro dei contribuenti europei da parte dell'europark. La vicenda era entrata nel rapporto del 2008 sulla sicurezza energetica voluto dall’ex direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’Energia, secondo il quale tutta la questione era stata inusitatamente caricata di una strana aggressività politica, dietro la quale aleggiava l’incoraggiamento degli Stati Uniti e quello degli ex satelliti europei di Mosca aggrappati al pretesto della maggiore indipendenza comunitaria dagli approvvigionamenti russi. Adesso che Obama ha ammorbidito la sua posizione sposando, anche se per nascondere meglio le sue reali intenzioni, l’idea dell’unione tra Nabucco e Gazprom, Buxelles si mostra più realista del re. Per bocca della portavoce del Commissario Europeo per l’energia, i vertici dell’Unione fanno sapere che non ci sarà nessuna fusione perché la priorità resta il Nabucco, il quale ha già ricevuto 250 mln (ma è solo una parte minima delle spesa prevista) di finanziamenti. Parlare a questo punto di divaricazione tra gli obiettivi di Eurolandia e quelli dei suoi principali membri e fondatori diventa persino un eufemismo. L’Italia, la Francia e la Germania che stanno sostenendo le pipelines North Stream e South Stream proprio per garantire quella sicurezza energetica venuta a mancare in occasione delle guerre dell’oro blu tra Mosca ed il suo estero prossimo, non sono tutelate nei loro investimenti mentre si decide di sacrificare qualsiasi criterio di profittabilità economica (e di sviluppo di una politica estera autonoma che da questi interessi viene veicolata) per accontentare gli Usa e i suoi scherani post-comunisti. Non c’è molto altro da aggiungere a questo scenario imbarazzante, ma possiamo sollevare qualche interrogativo. Forse ne bastano solo due. A che serve l’UE se poi va contro le priorità dei suoi aderenti? Ma, soprattutto, chi serve realmente?