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La morte di Edoardo Agnelli e l’ascesa degli Elkann (PARTE VI)

di Mario Consoli - 16/01/2011


     

 
Le prime tragedie di famiglia colpiscono proprio il capostipite, il senatore Giovanni. Dopo la prematura morte della figlia Tina, che lasciò cinque orfani in tenera età, perse il figlio maschio destinato ad essere l’erede dell’impero di famiglia. 
Siamo nel 1935; Edoardo era di ritorno da Forte dei Marmi dove era andato a trovare i figli in villeggiatura, a bordo di un idrovolante pilotato dal leggendario Arturo Ferrarin; ammarato a Genova, scese sull’ala e si mise in posa per i fotografi, ma un pattino del velivolo urtò contro un tronco; Edoardo perse l’equilibrio e cadde verso l’elica ancora in movimento che praticamente lo decapitò. 
La giovane vedova, Virginia Bourbon del Monte, figlia del principe di San Faustino, è ricordata da tutti come bellissima e piena di vita. Non rassegnata al ruolo di perenni gramaglie cui la famiglia del marito avrebbe voluto costringerla, riprese presto a frequentare il “bel mondo”, si occupò dei suoi sette figli, ma non disdegnò occasioni di svago e divertimento. È nota una sua lunga relazione con il famoso giornalista Curzio Malaparte, che la presentava in qualità di sua “fidanzata”, come riferisce Giuseppe Prezzolini.
Gli scontri con il suocero si fecero sempre più violenti e frequenti. Dopo aver rinunciato al controllo del comportamento della nuora, il senatore fece di tutto per sottrarle i figli. Voleva essere nominato tutore dei nipoti così come era riuscito a fare, avendo poca stima del genero, con i figli di Tina. Si arrivò a situazioni d’ogni tipo: dall’utilizzo della polizia per bloccare il treno sul quale Virginia viaggiava con i figli – riportando con la forza i bambini a Torino, dal nonno – alla richiesta della donna di intervenire in sua difesa fatta direttamente a Mussolini, che si occupò del caso e ottenne che i bambini rimanessero affidati alla madre. Ciò nonostante Agnelli riuscì a decidere sull’educazione del maschio primogenito, Gianni, che fu affidata a Franco Antonicelli, un intellettuale antifascista amico di Piero Gobetti e Norberto Bobbio. I litigi con la nuora finirono nel 1945 con la morte violenta della donna in un incidente automobilistico, mentre si recava da Roma a Forte dei Marmi.
Fu poi la volta della tragica fine di Giorgio – fratello di Gianni – a soli 36 anni. Uomo brillante e giudicato da molti di viva intelligenza, finì invischiato in storie di droghe ed esaurimenti. Secondo la versione ufficiale si sarebbe gettato dall’ultimo piano della clinica dove era ricoverato.
Gianni fa un matrimonio di alto rango: sposa Marella, la figlia di Filippo Caracciolo, principe di Castagneto, duca di Melito e Segretario generale del Consiglio d’Europa. Da questo matrimonio nascono due figli: Edoardo e Margherita. 
Edoardo, personaggio schivo e riservato, si dedica a studi filosofici e orientali. Nel 1974 si converte all’Islam. Nel 1988 si viene a sapere che fa uso di eroina: a Roma è indagato e poi prosciolto perché viene riconosciuta la detenzione di droga per uso personale. Nell’ottobre del 1990 è, per gli stessi motivi, arrestato in Kenia, a Malindi; a toglierlo dai guai si precipitò sul posto suo cugino Giovannino. Tra i due intercorrevano ottimi rapporti ed Edoardo non aveva mai manifestato disappunto per il fatto che il figlio di suo zio Umberto fosse stato designato come futura guida della Fiat.
Ma, dopo il 1997, le cose cambiano: Giovannino – a soli 36 anni – muore per una rara forma di cancro, la questione della successione si riapre e l’ “avvocato” sembra prendere in considerazione la candidatura del nipote John Elkann, primogenito della figlia Margherita. Edoardo non è d’accordo: “Se il potere della nostra famiglia cadesse nelle mani sbagliate – afferma – sarebbe una cosa estremamente pericolosa per questa nazione”; si dichiara disponibile, alla morte del padre, a prendere le redini dell’impero di famiglia; comincia a delineare scelte strategiche ed economiche nuove. Edoardo crede nelle energie alternative e ritiene maturi i tempi perché un’azienda come la Fiat si dedichi a immettere nel mercato autovetture non inquinanti e a bassi consumi. I rapporti col padre cominciano a guastarsi; si parla di discussioni e di malumori. 
Della ventilata successione al giovane John, Edoardo non vuole nemmeno parlare. Gli vengono presentati dei documenti che prevedono la rinuncia, sua e della sorella Margherita, a posti di comando all’interno delle aziende di famiglia in cambio di un’adeguata liquidazione in denaro e beni immobili. Edoardo si rifiuta di firmare e denuncia pubblicamente il “tentativo di estromissione radicale dalla Fiat”.
Alle 10 di mattina del 15 novembre 2000 il corpo del primogenito di Gianni Agnelli viene trovato sotto un cavalcavia dell’autostrada A6 Torino-Savona, in località Fossano. Lo chiamano “il ponte dei suicidi”; dal greto del sottostante torrente Stura l’altezza del cavalcavia fa paura: 80 metri.
Arriva sul posto la polizia e il procuratore di Moncalieri, Riccardo Bansone, che dichiarerà al giornalista del Corriere della Sera: “Di sicuro c’è che il signor Agnelli è finito qui sotto. Non ho le prove inoppugnabili per affermare che si tratti di suicidio. Il suicidio è una delle tre possibilità che stiamo vagliando. Le altre due sono malore e omicidio”.
Il padre, l’ “avvocato” Gianni, riesce a raggiungere il posto, per il riconoscimento, solo nel primo pomeriggio. Alle 15 la salma è trasportata all’obitorio del cimitero di Fossano. Alle 17 è già a Villar Perosa dove prontamente arriva il nullaosta per la sepoltura. Lo scrupolo dei magistrati manifestato la mattina si è dissolto: nessuna indagine, niente autopsia. Trovato il corpo a metà mattina, la sera è già nella tomba di famiglia. In questi ultimi dieci anni molti giornalisti hanno cercato di analizzare i dettagli del “suicidio” ed hanno tentato di riaprire un’indagine così frettolosamente archiviata. 
Come mai non c’era – come accadeva abitualmente – né autista né scorta? Perché alcuni testimoni parlarono di un corpo “quasi intatto”? Perché, sotto i vestiti, aveva la giacca del pigiama? Come faceva, dopo un volo di 80 metri – e quindi dopo un impatto calcolato sui 150 km orari – ad avere ancora le scarpe ai piedi, le bretelle allacciate e al collo una collana di palline di legno intatta? Come mai aveva del terriccio nelle mani, mentre il greto su cui era stato trovato il cadavere era una pietraia? Che logica può avere il fatto che, prima di morire, Edoardo avesse telefonato al dentista per spostare l’appuntamento? Come mai un pastore di mucche, tal Luigi Asteggiano, ha testimoniato di aver visto il cadavere sotto il cavalcavia già alle ore otto, mentre il Telepass della Croma di Edoardo ha registrato il passaggio al casello autostradale alle 8.59?
Inoltre, lo psicologo-amico Alberto Pini, che lo seguiva da undici anni, dichiarò che mai aveva avuto l’impressione che in lui potessero prender corpo intenti suicidi. Il suo amico e consulente finanziario Marco Bava affermò: “La storia di Caino ed Abele si ripete... Edoardo è morto perché era contro i giochi di potere che prima ti blandiscono, poi ti escludono, infine ti eliminano!”. E ancora: “Non mi pare credibile il suicidio. Negli ultimi giorni della sua vita Edoardo stava occupandosi di tante cose, studiava, era pieno di attività. Fra l’altro si riproponeva di ristrutturare casa sua, avrebbe voluto iniziare subito i lavori e aveva fissato per questo un appuntamento preciso col sindaco di Torino. Strano, no? Volersi suicidare e al tempo stesso voler chiedere di sveltire una pratica burocratica per ristrutturare quanto prima la propria casa...”.
Il giornalista Giuseppe Puppo, nel febbraio 2009, ha pubblicato un libro, Ottanta metri di mistero, dove sviluppa meticolosamente i molti aspetti inquietanti della morte di Edoardo Agnelli; ad oggi nessuna risposta è giunta ai quesiti formulati da Puppo.
Il giornalista Giovanni Minoli ha recentemente riproposto il “giallo”, dedicandogli un’intera puntata della sua trasmissione televisiva La storia siamo noi (RaiDue, 23 settembre 2010). Per l’occasione Sette, il supplemento settimanale del Corriere della Sera, è uscito con in copertina la foto di Edoardo Agnelli e il titolo Omicidio o suicidio? A Teheran si è parlato apertamente di “complotto sionista” messo in atto per eliminare un ostacolo che si frapponeva alla presa del potere all’interno della Fiat da parte di elementi ebraici; Edoardo, nella capitale iraniana, è stato ricordato, e onorato, come “martire”.
Soffermiamoci ora sulla sorella Margherita, il cui figlio primogenito, dopo tante tragedie, si è saldamente insediato al comando dell’impero Agnelli.
Bella e ribelle, già a 17 anni esce di casa e va a Roma dove conosce il giovane Carlo Torlonia, col quale vive per due anni, finché lui non si fa sopraffare dalla droga, che arriva ad ucciderlo. Di lì a poco incontra Alain Elkann, giovanotto elegante e apparentemente timido. Ha le nazionalità francese e americana e lavora a Torino, all’IFI. Pochi mesi dopo chiede di sposarla. Lui è di padre e madre ebrei, lei cattolica, optano quindi per il matrimonio civile. La cerimonia si svolge a Villar Perosa; “celebra”, in qualità di sindaco del paese, il padre, l’ “avvocato” Gianni, sotto il ritratto del “senatore”, capostipite della famiglia.
Gli sposi si trasferiscono a New York, dove Alain viene assunto nella casa editrice Bantam Books, una delle tante aziende sparse per il mondo con partecipazione Fiat. Alla nascita del primo figlio cominciano gli scontri tra Margherita e la famiglia del marito: “Io intendevo agnellizzare il mio bambino, mentre l’altra parte voleva a tutti i costi elkannizzarlo”. Il primo round, quello della scelta dei nomi, si concluse con un compromesso: il bambino si chiamerà John, Philip – in onore del nonno e del bisnonno di Margherita – e Jacob – in ossequio alla religione ebraica –. Ma in famiglia è sempre stato chiamato Yaakov – poi contratto nel diminutivo Jaki – tanto per chiarire quale dei tre nomi avesse maggior peso. Alain Elkann, nel suo recente libro “Nonna Carla”, dedicato alla famiglia e alla morte della madre, non indica mai il suo primogenito con il nome John; è Jaki, Giacobbe, e basta.