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Il governo israeliano non si ferma. Un nuovo progetto per la costruzione di 1400 nuove abitazioni

di Umberto De Giovannangeli - 17/01/2011

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Un colpo di grazia per il negoziato con i palestinesi.

È il colpo di grazia a un negoziato agonizzante. Un nuovo progetto per la costruzione di alloggi israeliani in una zona colonizzata di Gerusalemme Est sta per essere approvato dal governo dello Stato ebraico. Secondo quanto riferito ieri dalla radio militare israeliana, si tratterebbe di un piano per la costruzione di circa 1.400 nuove abitazioni nella zona di Gilo, nella parte sud-orientale della Città santa. Il progetto potrebbe ricevere l’avallo della Commissione per la pianificazione regionale già nei prossimi giorni, secondo la radio. Alcuni consiglieri comunali hanno confermato il piano, alcuni per denunciarlo, altri per esprimere soddisfazione. «Non c’è alcun dubbio che il semaforo verde a questi nuovi alloggi sarà il colpo di grazia al processo di pace con i palestinesi», da oltre due mesi congelato dopo il rifiuto di Israele di prolungare la moratoria sulla sua politica coloniale in Cisgiordania, rimarca il consigliere comunale Méir Margalit del partito Meretz (sinistra). «Il 2011 è iniziato nel modo peggiore, con un’accelerazione dell’aggressività del governo Netanyahu-Lieberman – dice a l’Unità Colette Avital, parlamentare laburista. -. È come se Netanyahu intendesse approfittare della debolezza, vera o presunta, di Barack Obama per portare a compimento i suoi piani. Mi auguro – conclude Avidal – che questa nuova provocazione svegli l’America e il suo presidente».
ESCALATION
«Gilo è parte integrante di Gerusalemme. Non ci può essere alcun dibattito in Israele sulla costruzione di questo quartiere», taglia corto Elisha Peleg, consigliere comunale del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu. La realizzazione di queste nuove unità abitative estenderà il quartiere fino alla colonia di Har Gilo che Israele considera parte integrante del blocco di insediamenti di Gush Etzion: «Il governo Netanyahu prosegue nella realizzazione del disegno della Grande Gerusalemme. E questo disegno è a sua volta parte di un piano che tende a trascinare il negoziato alle calende greche e nel frattempo svuotarlo di ogni significato concreto», ci dice Sari Nusseibeh, rettore dell’Università Al Quds di Gerusalemme est. «Le autorità israeliane – spiega Nusseibeh – stanno trasformando gli insediamenti in vere e proprie città. Per poi dire: come posso cancellarle. Alla fine vorrebbero che i palestinesi si accontentassero di uno Stato francobollo. E se dovessimo rifiutare, ecco pronta l’accusa: vedete, sono incontentabili». «Penso che sia il tempo per l'amministrazione americana di ritenere ufficialmente Israele responsabile del fallimento del processo di pace», gli fa eco il capo dei negoziatori dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Saeb Erekat. Per il segretario generale di Peace Now, Yariv Oppenheimer, il nuovo progetto israeliano «non solo danneggerà le possibilità di raggiungere un accordo sulla questione di Gerusalemme, ma potrebbe anche creare un problema internazionale per Israele e per la sua legittimità all'estero».
SIMBOLO DEMOLITO
Costruzione di nuovi alloggi e demolizione di edifici-simbolo: è il caso dello Shepherd Hotel, che si trova dentro il quartiere palestinese Sheik Jarrah, vicino alla residenza storica del Gran Mufti Haj Hamin al-Husseini. Con l’occupazione di Gerusalemme est da parte d’Israele nel 1967, lo Shepherd Hotel fu usato come base della polizia di frontiera israeliana. Poi l’edificio rimase abbandonato e venne dichiarato proprietà abbandonata dal governo israeliano, fino a quando fu acquistato da un uomo d’affari statunitense, Irving Moscowitz, e da questi donato ad «Ateret Cohanim», un’organizzazione ebraica di estrema destra a sostegno della colonizzazione israeliana della Cisgiordania. Nel 2009 le autorità governative di Gerusalemme hanno deciso di destinare il sito di Shepherd Hotel alla realizzazione di 20 residenze da dare in uso abitativo ai coloni israeliani. Nei giorni scorsi le ruspe hanno cominciato l’opera di demolizione, nonostante le proteste dell’Ue, di Stati Uniti e del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon che ha definito «profondamente deplorevole» la decisione israeliana.
Decisione che ha provocato l’immediata reazione della segretaria di Stato Usa Hillary Clinton che ha chiesto, con una nota ufficiale, al governo israeliano di rinunciare alla costruzione di insediamenti israeliani. Ma la risposta di Benjamin Netanyahu è stata lapidaria: «Non ci può essere una parte di Gerusalemme che gli ebrei non abbiano diritto di acquistare». La Gerusalemme di Netanyahu non è quella di Avraham Burg, già presidente della Knesset: «Non sento mia – afferma – una città che assiste ogni giorno al triste, tragico spettacolo di intere famiglie palestinesi costrette a lasciare le loro case. È un silenzioso esodo di massa, una “pulizia etnica” strisciante, che dovrebbe indignare».