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Copti: discriminati e umiliati

di Giuliano Luongo - 20/01/2011



Ad ormai più di due settimane dall’attentato di Alessandria ed ancora memori del più recente attentato ai danni di alcuni copti a bordo di un treno, la questione dei cristiani d’Egitto pare aver ripreso il posto che da sempre i media internazionali le concedono: uno spazioso loft nel dimenticatoio. Probabilmente il silenzio stampa si protrarrà fino ai prossimi due “eventi” legati al caso, ossia la riunione a livello europeo dei Ministri degli Esteri, per decidere se e come implementare le ideone di Frattini e Sarkò su come organizzare le nuove crociate e soprattutto il prossimo vis-à-vis tra Berlusconi e Hosni Mubarak.

Uno dei problemi principali del come sia stata affrontata tale situazione dall’Occidente è proprio il punto di vista miope e limitato solo ad un eventuale problema che potrebbe colpire anche gli europei, quello della responsabilità di Al Qaida (per nulla confermata, anzi). L’attentato di Alessandria ha suscitato con tutta probabilità forti reazioni solo perché inquadrato nella “guerra al terrorismo” dai sempre più labili confini e nella serie di attacchi ai cristiani organizzati in varie parti del mondo da gruppi fondamentalisti islamici.

Quello che non è stato minimamente toccato o ricordato è il fatto che un tale attentato rientra in uno schema ben preciso di atti di violenza effettuati ai danni dei copti per indebolirne la comunità: questo avviene da tempo immemore, ma accade con forza rinnovata proprio da quando è iniziata la presidenza Mubarak, che pure ha avuto forti basi giuridiche ed istituzionali per contribuire a creare una situazione di grave discriminazione.

Ma quali sono i punti chiave dell’istituzionalizzazione della religione come punto di riferimento per cittadini ed enti statali? Tutto iniziò con la legge 462 del 1955, che portava all’abolizione delle corti confessionali e conformava la legge sullo statuto personale alla legge islamica. Tale legge riconosce ufficialmente tre religioni, islam, cristianesimo (diviso in tre riti, a loro volta classificati in tre sette) ed ebraismo; tutte le religioni (o riti o sette) che non sono incluse in quest'elenco non hanno alcun riconoscimento, e sono previste conseguenze legali per chi dovesse seguire un culto “non autorizzato”.

Se si pensava che uno Stato presente per molto tempo nell’orbita dell’Unione Sovietica fosse lontano da gravi derive religiose, ci si sbagliava alla grande: la modifica del 22 maggio 1980 all’art. 2 della costituzione pone la Shari'a come “fonte principale della legislazione”. Tradotto in fatti, ciò significa che la legge di origine parlamentare viene abolita nel caso dovesse trovarsi in contraddizione con l'islam.

Non va dimenticato che la Shari'a è una legge personale, non territoriale, pertanto renderla territoriale significa considerare il territorio a tutti gli effetti islamico. Questa modifica alla Costituzione ribalta completamente la dimensione della cittadinanza dei non-musulmani ed ha infiniti effetti sulla legislazione, che ora deve aggiornare di volta in volta le normative in contraddizione con l’articolo 2. Numerosi sono i casi che ancora chiedono una sentenza definitiva presso l'Alta Corte costituzionale circa l’articolo 2 o l’art. 46 sulla libertà religiosa, casi di reati considerati come gravi, tipo apostasia o omosessualità.

Sì, l’apostasia, ossia il “rinnegare” la religione islamica per un’altra (una qualsiasi, da quelle “autorizzate” come il Cristianesimo e fino al Voodoo) è considerato atto illegale. Essa viene punita come reato dalla Corte di Cassazione sulla base della legge generale, come reato contro l'ordine pubblico e in base al famigerato articolo 2 di cui sopra. Per intensificare il peggioramento della situazione, una sentenza del gennaio 2008 ha interpretato il diritto alla libertà religiosa come inapplicabile per i cittadini che abbandonano l'Islam, un’antinomia che conferma il cretinismo giuridico fazioso di chi sta agli scranni di governo.

Se, dunque, da una parte è impossibile abbandonare l'Islam, abbracciarlo è estremamente facile, con la conversione che ha effetto immediato. In più, i figli di coppie miste devono seguire “la religione migliore dei genitori” affermando la superiorità dell'islam sulle altre confessioni. Questo vale anche in caso di conversione: i figli seguono la religione del genitore convertito all'Islam, senza ulteriori fronzoli superflui, come il lasciare libera scelta sul tema.

Ma le meraviglie del sistema non finiscono qui: esiste un gruppo di avvocati e giudici, noto come “shaykh al-takfir” (takfir = accusa di apostasia) o “gruppo della hisba”, con l’abitudine del ricorso alla via legale della hisba, una sorta di azione popolare volta alla difesa dell'islam. E' grazie al tale istituto che, ad esempio, sono coinvolti i tribunali affinché applichino gli effetti civili dell'apostasia.

Negli ultimi anni è evidente un trend di statalizzazione di numerose istituzioni musulmane, tra cui Al-Azhar, noto centro religioso dell’Islam sunnita. Il gran Muftì viene nominato dal governo e le più alte cariche musulmane vengono inglobate a tutti gli effetti nell’organico dei funzionari di stato, portando di fatto l’ordinamento amministrativo e di governo ad uno specchio di quello della linea di comando della comunità religiosa islamica. Tutto questo stupisce meno, se si pensa che per legge il capo dello stato dev’essere di fede islamica. A margine, si deve ricordare che al governo - come agli alti livelli della pubblica amministrazione - non c’è alcun copto.

Va poi rammentata una nota sulla cittadinanza: nel 2007, durante un progetto di revisione costituzionale, Rif’at al-Sa’id,  segretario generale dello Hizb al-tagammu’ (partito di opposizione di sinistra) propose di ridefinire la voce “cittadinanza” presente nella Costituzione con l'inciso “totale uguaglianza tra i cittadini a prescindere da sesso, religione o provenienza sociale”. Cosa successe? Che la proposta fu respinta clamorosamente.

Queste sono solo alcune note sul come l’intellighenzia egiziana lasci funzionare il paese, mandando allo sbando i copti e le altre minoranze, fomentando gli integralismi e lasciando atterrita la stragrande maggioranza della popolazione, vicina ai propri fratelli di credo diverso ma incapace di opporsi ai subdoli eccessi di una leadership accentratrice.

A rendere ancora più ridicola la situazione, c’è il fatto che non solo l’Egitto è dietro solo ad Israele per finanziamenti dagli USA per “promuovere sviluppo e democratizzazione”, ma è anche legato alla nostra cara UE con un accordo programmatico del 2005, nel quale si parla non solo di cooperazione economica, ma anche di partnership per la promozione dello stato di diritto e della democrazia. Senza contare il vincolo attivo e passivo in termini di “law enforcement”, che, come visto dopo gli attentati alle minoranze - e gli attacchi di squali - é fuffa.

I nostri cari ministri, pertanto, dovrebbero decidersi, una volta incontratisi sia a Bruxelles che con Mubarak, a forzare per una buona volta verso una vera legittimazione dello Stato secondo il principio di cittadinanza e non lasciare correre il tutto verso un baratro di delirio autocratico dietro la facciata della legittimazione religiosa.